Di seguito una traduzione del compagno Marco Camenisch dal lager Lenzburg di Svizzera sulle nanotecnologie e il nano argento. Lasciamo la sintesi, la traduzione e i commenti così come li abbiamo ricevuti:
Dalla WOZ n. 22, 30 Maggio 2013, cultura/scienze, trad. M.C., Lenzburg, Maggio 2013
NANOARGENTO PERICOLO MUTANDE
L’industria produce sempre di più beni di consumo che contengono del nanoargento. Ma la maggior parte di questi beni di consumo non sono né utili né sensati. Semmai sono una minaccia per l’ambiente.
Di Franziska Meister
È calato il silenzio sul clamore attorno alla nanotech. Nuovi materiali con nuove proprietà dovrebbero diffondersi grazie a minuscole nanoparticelle. Molto reattive. Dove sono finiti, questi nuovi materiali?.
La risposta sorprende: i nanomateriali sono approdati nel nostro quotidiano già da tanto tempo, anzi, sono penetrati nella sfera più intima. Per esempio il nanoargento. Con il nanoargento ci laviamo, ci puliamo i denti, lo spalmiamo sotto le ascelle ed in faccia e su tutto il corpo fin nelle zone più intime, e ce ne vestiamo dai calzini fino alla biancheria intima e le scarpe. Lo usiamo per cucinare ed imballare gli alimenti. Poiché il nanoargento disinfetta, uccide i funghi. I batteri ed altri micro-organismi. La carne dura più a lungo sotto una pellicola di nanoargento, sterilizza le stoviglie, i nostri calzini non puzzano – noi non puzziamo.
Con l’igiene si fa buoni affari. A livello mondiale, nessun altro nanomateriale è utilizzato in tanti prodotti di consumo come il nanoargento. Negli anni più recenti, il tasso di crescita del suo utilizzo ha avuto un’impennata mai vista. L’impiego annuo mondiale di nanoargento è valutato più di le trenta tonnellate, in Svizzera ci sarebbe una produzione annua di circa tre tonnellate. Un terzo è lavorato nell’industria tessile. Questo in Europa fa, dopo la Germania, della Svizzera la seconda produttrice di nanoargento per tessili.
Ma l’affare con le nostre esigenze igieniche ha il suo rovescio. Un numero sempre più grande di studi dimostrano che, seppur con velocità diverse, il nanoargento è completamente slavato. Come ha dimostrato l’Empa, l’istituto federale di collaudo e di ricerca dei materiali, per certi tessuti possono bastare pochi lavaggi in lavatrice ed il nanoargento non c’è più. Anche le facciate perdono subito il loro strato anti-putredine che dovrebbe tener lontano i parassiti: secondo uno studio svizzero circa il trenta % del nanoargento entro un anno si ritrovava nello scolo della facciata, dopo due anni e mezzo il nanoargento era assente.
Che succede nell’acqua?
Perciò gran parte del nanoargento proveniente dai beni di consumo finisce nell’acqua: passando per le canalizzazioni finisce negli impianti di depurazione o direttamente nel laghi e fiumi. E questo è un problema. Poiché il principio attivo del nanoargento è basato sul fatto che in soluzione acquosa isola degli ioni d’argento. L’effetto tossico vero e proprio sui batteri viene da questi ioni e non si ferma nemmeno davanti ad altre vite acquatiche. “Abbiamo collaudato delle particelle di nanoargento di diverse misure in diversi rivestimenti” dice una ricercatrice della ETH (politecnico federale), “ il risultato era sempre uguale: gli ioni d’argento delle nanoparticelle hanno un effetto tossico acuto sulle alghe”. E le alghe stanno sempre all’inizio della catena alimentare acquatica.
Nell’ambito del programma nazionale di ricerca “Chances e rischi dei nanomateriali” il suo team esamina in ambiente reale l’effetto delle particelle di nanoargento sulle comunità acquatiche come le alghe, le muffe ed i micro-organismi. “Osserviamo una grande suscettibilità delle alghe verso gli ioni d’argento” dice la ricercatrice. Nelle comunità di alcune muffe e di alcuni funghi nei tempi più lunghi cambiarebbe la varietà dei funghi e dei batteri. Le ricerche di tale complessità sono finora molto rare, come anche gli studi fatti su varie generazioni d’organismi acquatici – mentre senza questi studi non si può valutare la possibile pericolosità ambientale del nanoargento, sottolinea la ricercatrice.
Ma in quale misura il nanoargento penetra davvero l’ambiente?. Anche su questo non esistono dati attendibili, tra l’altro perché è molto difficile rilevare le nanoparticelle nell’ambiente e di misurarne la quantità Tuttavia un collega della ricercatrice ha potuto dimostrare in uno studio recente che gli impianti di depurazione possono ritenere circa il 95% del nanoargento. Già nell’acqua di scarico una parte delle nanoparticelle si trasforma in solfuro d’argento salino. “Grazie a questo la loro tossicità cala molto, poiché non emanano quasi più nessuno ione d’argento” dice il ricercatore. “le nostre preoccupazioni iniziali erano proprio che, tuttora antibatteriche, le particelle di nanoargento danneggiassero il residuato”.
Infatti, vari studi hanno dimostrato che le particelle di nanoargento rimangono attive anche nel residuato. Dove ostacolano il lavoro dei batteri nitrificanti che sono addetti all’eliminazione della sostanza tossica nell’acqua. Se al contrario che in Svizzera, questi residuati non sono bruciati bensì sparsi sui campi come fertilizzante, secondo uno studio USA possono essere addirittura più tossiche ancora. “Facendo questi esperimenti il nanoargento è direttamente versato nel residuato”, dice il ricercatore. “Questi esperimenti non si possono equiparare alle condizioni reali, poiché le nanoparticelle d’argento hanno una storia, e quella inizia già nella canalizzazione”: Continue reading Marco Camenisch: Nanotecnologia e trasparenza →