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[Grecia] Nikos Romanos: Sullo sciopero della fame dei prigionieri politici

Il 2 marzo 2015, anarchici/prigionieri politici hanno iniziato uno sciopero della fame con richieste riguardanti il contesto repressivo prodotto dalla crociata antiterrorismo che procede regolarmente, malgrado il governo di sinistra dei mercanti di speranza. I compagni anarchici riuniti nella Rete dei Prigionieri Combattenti (DAK) e i compagni Maziotis, Koufontinas e Gournas hanno ricostruito un quadro generale che descrive lo sviluppo della repressione negli ultimi anni. Ecco perché ogni loro richiesta separatamente smantella il regime emergenziale e la sua espressione basilare: nient’altro che repressione. Con l’elezione di SYRIZA molti compagni, me compreso, hanno ritenuto fosse necessario provocare da un punto di vista anarchico, per costringere SYRIZA a rivelare il suo vero volto. Quello del capitalismo, della direzione dei poteri moderni, dei servi del capitale.

Inoltre, a questa mascherata con ospiti di tutti periodi storici, gli spettatori sono costretti a scoprire che dietro le maschere si nasconde il volto del potere che non può essere migliorato né riformato, solamente distrutto attraverso una lotta continua con ogni mezzo. E facciamolo sapere a tutti gli anarchici che si sono fatti attrarre dalle urne per dare il voto a SYRIZA.

Ma, come tutti noi ben sappiamo, era evidente che SYRIZA si tramutasse rapidamente dall’essere braccio istituzionale delle lotte sociali e retorica tollerabile per il realismo di governo del periodo pre-elettorale.

Questo perché l’ondata repressiva a livello internazionale che spazza tutto al suo passaggio, è implicitamente legata alla crisi strutturale del capitalismo e alla sua ricostruzione a tutti i livelli della vita sociale. La questione centrale del dominio sui suoi subordinati continua. Dopo essersi comprata la loro coscienza offrendo loro tessere per accedere al paradiso capitalista tramite prestiti bancari, ora si sta cercando di garantire la loro fiducia nel fatto che la democrazia è senza vicoli ciechi. Naturalmente, il cammino per l’inferno è sempre ricco di buone intenzioni. E non è né la prima né l’ultima volta che la Sinistra da un contributo essenziale all’indirizzo strategico nel dominio del mondo. Così, l’ultimo atto compreso nel puzzle repressivo si è avuto con l’arresto della compagna Aggeliki e con i pogrom  dell’Agenzia antiterrorismo diretti contro i parenti e gli amici dei prigionieri della Cospirazione delle Cellule di Fuoco.

Quelli che hanno trascorso parte della propria vita dietro le mura, possono facilmente cogliere la grandezza del ricatto emotivo prodotto dal vedersi accanto i propri cari nella ripetizione monotona quotidiana della prigionia dietro le sbarre. Un vero incubo istigato dall’Agenzia antiterrorismo e dai giudici. E se devono essere sollevati dal costo personale, il prezzo politico va fatto ricadere sui loro responsabili politici. E per far finta che abbiano l’onore, lasciamoli pure alzare i pugni quando sarà il momento. Così, lo sciopero della fame dei prigionieri membri delle CCF e il suo esito vincente comporteranno il blocco  della vendetta persecutoria contro i parenti dei detenuti che si ribellano. Allo stesso modo, la vittoria dei compagni di DAK e di Maziotis, Koufontinas e Gournas porrà maggiore ostacolo di fronte all’attacco del dominio contro i suoi oppositori politici. Quindi, in questo contesto, è grande l’importanza della lotta dei prigionieri che si ribellano e del movimento di solidarietà.

La possibilità di aprire crepe non solo nelle mura delle prigioni, ma nell’autorità medesima (e nella sua immagine) progredisce. Capiamo le circostanze, coordiniamo le nostre azioni, uniamo gli sguardi e la passione contro ogni autorità, di qualunque origine e retorica. Perché chi ama la libertà e odia l’ingiustizia cercherà sempre dei modi per distruggere le prigioni.

NESSUNA TREGUA CON LA CIVILTA’ DELLO SFRUTTAMENTO
VITTORIA PER LA LOTTA DEI PRIGIONIERI CHE SCIOPERANO
IMMEDIATA SODDISFAZIONE DELLE LORO RICHIESTE

Nikos Romanos
sezione E del carcere di Koridallos
15 marzo 2015

Grecia: Testo redatto da Nikos Maziotis sulle elezioni tenutesi il 25 gennaio 2015 e sulla coalizione di SYRIZA e ANEL

Le elezioni del 25 gennaio sono uno dei maggiori “trionfi” della democrazia civile. Sono state anche la prova del discredito cui è giunto un sistema politico marcio in cui oltre 1/3 dell’elettorato ha voltato le spalle alla “festa” della democrazia e non ha votato. Su circa 9.800.000 aventi diritto al voto, vi ha partecipato il 63,5%, vale a dire che i voti validi sono stati circa 6.180.000, mentre i rimanenti 3.620.000, pari al 36,5%, non sono andati a votare. Di tutti i votanti, SYRIZA ha ottenuto il 36% pari a circa 2.200.000 voti, cioè il governo di SYRIZA si è basato sul voto di ¼ dell’elettorato.

Trattasi, pertanto, di un trionfo “a prevalenza popolare” e caratterizzato dalla centralizzazione democratica! Infine, non è la maggioranza a “governare”  tramite i propri rappresentanti, come dovrebbe essere, ma la minoranza. Ancora una volta si è dimostrato che il sistema politico basato sul parlamentarismo civile è discreditato da milioni di cittadini. È stato esattamente provato che, a causa del discredito verso il sistema politico come risultato della crisi economica, tutti i governi succedutisi negli ultimi anni sono governi di minoranza e che ora confidare in se stessi è impossibile. In realtà si potrebbe dire che il potere principale sia nelle mani di quelli che si astengono dalle illusioni elettorali e dai circoli organizzati di impostori e truffatori di professione, a destra e a sinistra.

Milioni di cittadini non sperano e non si aspettano niente da qualunque partito politico. Ma la rabbia e il risentimento, se non accompagnati da azione politica attiva per il rovesciamento del potere dell’élite economica sovranazionale e del parlamentarismo civile che la sostiene, non porta risultati. Usciremo dall’attuale stato di sofferenza solo se la rabbia e il risentimento di milioni di cittadini si trasformerà in un’azione politica dinamica. Ovvero, in un’ampia tendenza di classe e sociale che si ponga la prospettiva rivoluzionaria, il sovvertimento armato e violento del Capitalismo e dello Stato nella prospettiva della democrazia diretta in cui, invece di affidare le questioni sociali a politici di professione, queste sono affrontate tramite strutture autogestite. Come ci si aspettava, i risultati delle elezioni del 25 gennaio hanno prodotto un governo  di coalizione di sinistra e destra.

Perché, come si potrebbe definire diversamente ANEL (partito dei “Greci Indipendenti” con cui l’ala destra di SYRYZA ha formato la coalizione), se non un partito proveniente dal profondo della destra nazionalista tradizionale? Ha un programma di estrema destra basato su dogmi ortodossi e nazionalisti quali “nazione-religione-famiglia”, una linea politica caratterizzata da autoritarismo dello Stato, dai dogmi incentrati su ordine e disciplina, da crescente intolleranza, retorica della teoria della cospirazione e della paura e dall’atteggiamento favorevole al pugno di ferro contro quelli considerati pericolosi per il Paese, cioè gli immigrati, gli anarchici, i combattenti della lotta armata.

Mancano solo le svastiche. Ma la sete di autorità di quelli di SYRIZA e di ANEL ha reso possibile questo strano coniugio fra sinistra ed estrema destra, fondato in modo sporco su un nebuloso blocco anti-memorandum, cosa mai vista prima non solo in Grecia, ma anche a livello internazionale. Ma pure il partito nazista “Alba Dorata” è giudicato un partito anti-memorandum. Contrariamente a SYRIZA è fermamente contro la UE. La stragrande maggioranza dei suoi votanti proviene dall’area della destra nazionalista tradizionale, delusa dal partito di “Nuova Democrazia” (corrente di destra del governo uscente), fino a poco tempo fa espressione della maggioranza di quest’area, parte della quale da sempre ha considerato i collaborazionisti e i traditori (dell’occupazione nazista), i “Chites” (membri del gruppo militare “X”che ha cooperato con i nazisti durante l’occupazione della Grecia) e i componenti del “Battaglione di Sicurezza” (gruppi paramilitari che hanno operato a stretto contatto con le forze italo-tedesche durante l’occupazione della Grecia) dei “patrioti greci” che hanno salvato il Paese dal comunismo, alleandosi con i tedeschi.

Molti degli elettori di ANEL hanno la stessa opinione. Perciò è un paradosso che, mentre parecchi, anche anarchici, hanno votato per SYRIZA come baluardo contro l’estrema destra, SYRIZA  stia cooperando con parte dello schieramento politico di estrema destra per governare. È un dato di fatto che molti hanno votato SYRIZA per la disperazione, credendo di scegliere il minore dei mali. E lo stesso avviene per quegli anarchici che, tradendo i propri valori hanno votato SYRIZA perché aveva promesso di abolire le carceri di massima sicurezza di tipo C contro i prigionieri politici e i combattenti della lotta armata, hanno creduto a un’attenuazione dello stato di oppressione da parte del nuovo governo rispetto alle mobilitazioni e manifestazioni. Ma anche se il governo di SYRIZA-ANEL con una mossa tattica dovesse abolire le carceri di tipo C, ciò non scuserebbe il voto e il tradimento dei valori anarchici rivoluzionari.

Questo perché le conquiste si ottengono lottando come ha mostrato la storia del movimento rivoluzionario, non tramite le concessioni di ogni autorità competente per motivi tattici, che in tal caso al fine di assimilare l’area anarchica-antiautoritaria, sa come usare la carota e se necessario il bastone. I voti degli anarchici per SYRIZA sono stati comprati. È un fenomeno ridicolo vedere anarchici che manifestano con settori giovanili del partito di governo che ha cooperato con membri di estrema destra di ANEL in occasione dell’anniversario riguardante l’incidente di Imia, contro il raduno di “Alba Dorata”.

Sono i movimenti che hanno sviluppato la lotta antifascista, la lotta antifascista armata, come gli anarchici in Spagna nel 1936, non i governi eletti. Ora lo stato di coalizione dato da SYRIZA e dall’estrema destra di ANEL è “antifascista”!! Così come il governo Samaras era presumibilmente “antifascista”, perché ha imprigionato membri di “Alba Dorata”!! In realtà, tutti quelli che si considerano contestatori o anarchici e hanno votato, non hanno dato prova di una buona manovra tattica, ma della loro debolezza politica e della mancanza di volontà politica nel contribuire alla creazione di un movimento rivoluzionario anticapitalista capace di sovvertire il regime, responsabile della crisi e dei mali che ha provocati.

Con il loro atteggiamento, tutti quelli che si considerano contestatori o anarchici e hanno votato hanno dimostrato di essere stati assimilati e di accodarsi al governo, stampella di sinistra del capitalismo. Naturalmente hanno dimenticato lo storico slogan che lanciavamo alle manifestazioni “I padroni sono sempre gli stessi, sia a destra che a sinistra”, L’avvento al potere di SYRIZA non cambia la posizione di quegli anarchici che si considerano coerenti e si dedicano alla lotta per la rivoluzione, la lotta per la sovversione del Capitale e della Stato e in questa lotta SYRIZA, come ogni governo, si frappone come ostacolo e nemico.

Come ho precisato nel testo “La soluzione non si ha con le elezioni ma con il popolo in armi”, sarà breve la durata della coalizione SYRIZA-ANEL e avrà la stessa fortuna dei precedenti governi di Samaras e Papandreou. Questo perché subirà una decomposizione, un collasso sotto il peso delle sue contraddizioni e la violazione delle  sue dichiarazioni elettorali, non potendo evitare la responsabilità per le politiche che è costretta ad attuare e i compromessi con i dirigenti della’élite economica sovranazionale. Una grossa questione per l’era post-SYRIZA è quali riserve politiche il sistema ha per gestire la crisi in Grecia. Una prova ulteriore dell’instabilità evidente del governo attuale che accelererà la crisi e il suo crollo, non è rappresentata solo dalla tendenza pluralistica dei suoi componenti, ma anche dalla collaborazione con ANEL di estrema destra.

È un dato di fatto che questo governo deluderà molti elettori di SYRIZA, esattamente per le aspettative che ha creato e per il suo profilo “di sinistra”. Già le dichiarazioni del nuovo governo la notte delle elezioni, da parte del Premier, Tsipras, secondo le quali non si sarebbe entrati in conflitto con istituti di credito ed élite economica sovranazionale, presagiscono prossimi compromessi. Perché non esistono vie di mezzo fra conflitto e soggiogamento. E dato che il nuovo governo non creerà conflitto, dovrà assoggettarsi.

Ciò che abbiamo affermato come “Lotta Rivoluzionaria” è dimostrato, ovvero né SYRIZA né qualunque altro partito del regime vuole fare la guerra all’élite economica sovranazionale e agli istituti di credito e il loro unico interesse è l’autorità, assicurarsi la torta del potere. Già la questione dell’abolizione delle convenzioni del memorandum, come alcuni membri di SYRIZA avevano propagandato prima delle elezioni, è qualcosa del passato, ora dentro l’orologio della storia, sostituito da quanto atteso, la rinegoziazione del memorandum e del debito.

Ciò significa che non rifiutano il memorandum o il debito, cioè le catene per il popolo greco. Anche prima che “il gallo cantasse” si è consumato il primo principale tradimento e si è avuta la violazione delle dichiarazioni pre-elettorali per le quali sono stati votati. Anche se affermano che stanno sospendendo il completamento di alcune privatizzazioni, quali quella parziale del porto del Pireo (OLP) e della Società Nazionale per l’Elettricità (DEI) o della Società Pubblica per il Gas Naturale (DEPA), dichiarano che rispetteranno ancora le convenzioni esistenti e che lo fanno per favorire gli investimenti, in particolare per sfruttare la gente, i lavoratori e le risorse naturali del Paese in favore del capitale. Lafazanis, ministro per la Ricostruzione Produttiva, l’Ambiente e l’Energia, nonché membro della piattaforma di sinistra e difensore della drachma (valuta greca prima dell’euro) ha sostenuto di essere per la privatizzazione della DEPA ma ha anche detto che tutti i memorandum saranno aboliti man mano.

Quanto al nuovo ministro dell’Economia, Varoufakis, questi afferma che è a favore della privatizzazione, ad esempio di OLP. Il Premier, Tsipras, su Bloomberg assicura che il Paese non verrà mano agli obblighi contratti con la Banca centrale europea (BCE) e il Fondo monetario internazionale (FMI), mentre Varoufakis all’incontro di Parigi con la sua controparte francese dice di essere favorevole alla stipula di un nuovo contratto o a un nuovo accordo con i soci-finanziatori. Vale a dire, adozione di un nuovo programma, indipendentemente dal fatto che si chiami memorandum o meno, con l’imposizione di nuove misure, tagli o modifiche strutturali correttive. Lo ha ripetuto al banchetto organizzato nella City di Londra da Deutsche Bank e Merrill Lynch. Vorrei ricordare che il precedente governo Samaras stava per adottare nuove misure dopo l’ultima stima fatta dalla Troika (FMI-UE-BCE) con un nuovo programma che, secondo loro, non sarebbe stato un nuovo memorandum.

La rinuncia di SYRIZA rispetto alle dichiarazioni pre-elettorali continua senza sosta sotto il peso degli istituti di credito e specialmente dopo la decisione della BCE di non accettare le obbligazioni greche, decisione sebbene con effetto dal 28 febbraio quando scadrà l’attuale programma di memorandum, cosa che avverrà molti giorni prima per esercitare pressione sul governo greco a sottomettersi, con la paura della liquidità, della mancanza e della bancarotta, perché le riserve di liquidità del Paese stanno divenendo sempre più scarse. Così i regressi, le contraddizioni palesi e le auto-smentite di affermazioni e dichiarazioni continuano. Sebbene Varoufakis, incontrando Dijsselbloem abbia parlato di strappare il memorandum, nella riunione con il ministro delle Finanze tedesco, Schaeuble, ha detto che rispetterà il 67% degli obblighi derivanti dal memorandum.

Il nuovo vice-ministro dell’Economia, Valavanis, malgrado avesse inizialmente richiesto le dimissioni del TAIPED (Fondo di sviluppo delle risorse della repubblica ellenica) con la prospettiva di svilupparlo, la settimana dopo ha annullato la sua decisione in seguito agli sviluppi intervenuti. Altrimenti, continuano a ingannare il popolo sulla fine dell’era del memorandum. Sono i più volgari mercanti di speranza di un intero popolo.

Già con le prime avvisaglie di quanto abbiamo scritto come “Lotta Rivoluzionaria” pochi giorni dopo le elezioni, quando abbiamo attaccato il Controllo di gestione della Banca di Grecia, si sono manifestati l’inattuabilità e l’utopismo delle proposte socialdemocratiche di SYRIZA con il suo totale arretramento su tutte le questioni riguardanti la gestione della crisi e la sua trasformazione in partito socialista-neoliberale. Non si è mai verificato un rifiuto delle promesse pre-elettorali nella storia della politica greca più rapido di quello di SYRIZA.

La politica del governo di SYRIZA-ANEL non differisce da quella dei suoi predecessori e prima o poi porterà al suo fallimento politico e al collasso, come è stato per  i suoi predecessori. Si devono tagliare completamente le catene che trattengono il popolo greco, in particolare il debito e il programma di memorandum per il salvataggio.

Non si deve negoziare il loro prolungamento. Questo può essere fatto dopo una rivoluzione solo con il popolo in armi e succede con il non riconoscimento e la cancellazione unilaterale di tutto il debito, l’abolizione del memorandum e l’annullamento di ogni debito contratto dal popolo verso le banche, la restituzione di piccole proprietà di cui le banche si sono appropriate, l’abolizione del sistema bancario e la socializzazione degli attivi bancari.

Così come la riappropriazione e socializzazione della ricchezza del Capitale e dello Stato, delle grandi imprese e della multinazionali.

Una riappropriazione che comprenderà liquidità, beni mobili e immobili. La ricostruzione economica sarà finanziata e supportata materialmente in base all’autogestione e autorganizzazione. Così come la ricostruzione produttiva e industriale, la ricostruzione della produzione agricola e l’autorganizzazione della vita sociale sarà sostenuta ovunque. Solamente un tale processo rivoluzionario fornirà una soluzione alle sofferenze prodotte dalla crisi capitalista. Si elimineranno divisioni sociali e di classe, si affiderà la gestione dei problemi sociali al popolo, tramite strutture autorganizzante e autogestite, attraverso un sistema confederale di assemblee popolari e di consigli dei lavoratori che avvieranno il comunismo libertario.

Pertanto, è dovere di tutti i combattenti, è dovere dell’area anarchica-antiautoritaria, di tutti noi lavorare per la creazione di un movimento rivoluzionario per il sovvertimento  del Capitale e dello Stato e sfruttare il fallimento politico dei pagliacci di SYRIZA e del sistema politico in generale.

NESSUNA TREGUA – NESSUNA ASSIMILAZIONE
COSTRUIAMO UN MOVIMENTO RIVOLUZIONARIO
ARMATO di CONTRATTACCO PER IL SOVVERTIMENTO DELLO STATO E DEL CAPITALE

Nikos Maziotis, membro di Lotta Rivoluzionaria
carcere di Domokos

08/02/2015

Il vaso di Pandora e il minestrone dell’antiterrorismo spagnolo

La mattina di martedì 16 dicembre siamo stati sorpresi da un’ondata di perquisizioni e di arresti… Sorpresi? Inutile mentire. Riprendiamo dall’inizio. La mattina del 16 dicembre non siamo rimasti sorpresi. La polizia autonoma catalana, i Mossos d’Esquadra, la Guardia Civil e gli agenti giudiziari della Audencia Nacional* sono partiti all’assalto di oltre una decina fra abitazioni e spazi anarchici a Barcellona, Sabadell, Manresa e Madrid, col loro armamentario di perquisizioni, arresti, sequestro di materiale di propaganda ed informatico, approfittando dell’occasione per rivoltare tutto e saccheggiare, utilizzando tutti i corpi antisommossa della Brigata Mobile dei Mossos d’Esquadra nella vecchia Kasa de la Muntanya, uno spazio occupato che ha appena festeggiato i suoi 25 anni.

Secondo la stampa, che ha come di consueto mostrato il suo ruolo di portavoce delle veline poliziesche, l’obiettivo di questi arresti è disarticolare «un’organizzazione criminale con finalità terroristiche e dal carattere anarchico violento». Benché sia facile ripetere la solita frase fatta, lo faremo ancora una volta: la sola organizzazione criminale che cerca di terrorizzare le persone col suo carattere violento è lo Stato con i suoi tentacoli: la stampa, l’apparato giudiziario, i suoi corpi repressivi e i suoi politici, da qualsiasi parte provengano.

Perché questa repressione non ci sorprende? Perché ce l’aspettavamo.

Non si tratta di atteggiarsi a fare gli oracoli, niente di tutto ciò, solo di saper leggere tra le righe, e a volte letteralmente, gli avvenimenti. Com’è già avvenuto con la detenzione di altri compagni l’anno scorso, da tempo vengono orchestrate retate come quella di martedì contro gli ambienti libertari ed antiautoritari. E anche se le varie retate non sono mai state così vaste, hanno comunque messo in evidenza un orizzonte disseminato di situazioni del genere.

Operazione «all’italiana»

Da circa due decenni l’ambiente anarchico della vicina Italia deve far fronte di tanto in tanto, e sempre più regolarmente negli ultimi anni, a macro-operazioni simili a quelle di martedì. Non solo perché si tratta di retate simultanee con perquisizioni di diverse abitazioni, ma anche a causa dell’utilizzo di nomi facili da ricordare e dotati di un certo humour nero, come nel caso di questa operazione, chiamata Pandora poiché nello specifico, secondo ciò che la stampa ha ripreso dalle sue fonti giudiziarie, «era un contenitore che, per i numerosi timori che avevamo, era impossibile aprire». Con «numerosi timori», si riferiscono a diverse azioni avvenute negli ultimi anni in tutto il territorio dello Stato spagnolo. Per tornare alle operazioni italiane, basterebbe ricordarne qualcuna degli ultimi anni, come l’Operazione Thor, il cui nome riguardava l’accusa di una serie di attacchi a colpi di martello contro bancomat e altri uffici; l’Operazione Ixodidae, che si riferisce al nome tecnico della famiglia delle zecche, il modo con cui i fascisti si rivolgono a comunisti e ad anarchici; o altre come Ardire, Cervantes, Nottetempo, ecc.

Oltre alla procedura e alla nomenclatura, un altro fattore che ci ricorda molto il vicino paese è il ruolo della stampa, grazie alla quale abbiamo capito ciò che stava per accadere. Da circa tre anni, o poco più, la stampa spagnola ha avviato una campagna per preparare il terreno in modo che operazioni del genere siano non solo possibili, ma anche prevedibili. Puntando il dito su ambienti, e talvolta anche su precisi spazi e persone con nome e cognome, o collettivi, ecc. essa cerca di costruire un’immagine caricaturale e uno strano nulla di un nemico interno che, benché ciò sia abituale da diverso tempo, ha assunto negli ultimi anni i caratteri più specifici dell’«anarchico violento», dell’«insurrezionalista», dell’«antisistema che si infiltra nei movimenti sociali», eccetera.

Il fiasco cileno

Il 2010 è stato un anno glorioso per lo Stato cileno. Sebastian Piñera, di destra, imprenditore e quarto uomo più ricco del paese, oltre ad essere eletto presidente, ha orchestrato un’operazione poliziesca, mediatica e giudiziaria contro l’ambiente antiautoritario con oltre una decina di perquisizioni ed arresti – conosciuta come Operazione Salamandra, ancor più nota come «Caso Bombas», in quanto partiva dall’inchiesta su una serie di attentati esplosivi degli anni precedenti – e la creazione attraverso l’immaginario poliziesco di una macro-struttura gerarchica di una presunta rete incaricata di tutti quegli attentati: un circo che non solo ha indebolito l’immagine dello Stato, oltre a farlo cadere nel ridicolo, ma che ha soprattutto messo in evidenza la grossolanità delle procedure investigative, che comprendono la falsificazione di prove, il ricatto e le pressioni per ottenere informazioni o “pentiti”, possibilità, ecc. Il processo è cominciato col rilascio di tutte le persone coinvolte e una sete di vendetta da parte dello Stato cileno contro il movimento e le persone mescolate nell’inchiesta.

Un anno dopo la finalizzazione di quella farsa che era il «Caso Bombas», e attraverso un’altra operazione da questa parte dell’oceano, i ministeri, i giudici e gli sbirri spagnoli e cileni hanno lavorato di concerto su un nuovo caso. Mónica Caballero e Francisco Solar, entrambi perseguiti prima nel «Caso Bombas», vengono arrestati a Barcellona, dove vivevano allora, con altre tre persone che più tardi sono state dichiarate estranee, con l’accusa di aver posizionato un congegno esplosivo nella basilica del Pilar a Saragoza, cospirazione in vista di realizzare un analogo atto e appartenenza ad una presunta organizzazione terrorista. Questi compagni sono attualmente in carcere preventivo, in attesa di un processo di cui si ignora la data, e inoltre non sappiamo in cosa il loro processo sarà alterato da questa nuova ondata repressiva.

La situazione è più o meno conosciuta da tutti e tutte, e se siamo certi di qualcosa, è che i recenti arresti servono a dare corpo ad una operazione che non sta in piedi da sola.

Un caso?

Alcune ore prima degli arresti di martedì, il governo spagnolo amplificava nei media il fatto che «i ministeri dell’Interno spagnolo e cileno aprono una nuova fase di collaborazione rafforzata nella lotta contro il terrorismo anarchico». Lo scorso lunedì 15 dicembre, il ministro dell’Interno spagnolo, Jorge Fernández Diaz, ha incontrato in Cile il vicepresidente e ministro dell’Interno cileno Rodrigo Peñailillo, nel palazzo della Moneda, sede del governo a Santiago del Cile. «Nella lotta contro il terrorismo il Cile troverà nella Spagna una solida alleata», si gargarizzava lo spagnolo, mentre riceveva la Gran Croce dell’Ordine del Merito cilena, «la più grande onorificenza di merito civile del paese», secondo la stampa, un trofeo che lo Stato cileno concede nello specifico per il lavoro poliziesco e come prezzo per l’arresto dei compagni Mónica e Francisco lo scorso anno.

Oltre a questi prezzi e a questi elogi, Fernandez il bottegaio ha venduto un po’ della sua mercanzia: perfezionamento poliziesco e giudiziario, materiale repressivo di vario tipo, eccetera.

E ciò che accadrà…

Quale sarà il prossimo episodio repressivo? Lo ignoriamo. Finora non si sa quasi nulla della situazione dei nostri compagni e compagne, di cosa siano accusati esattamente, a quali misure repressive saranno sottoposti, se li attende il carcere preventivo, ecc.

Ciò che è certo, è che questa operazione non è un fatto isolato, ma piuttosto un ulteriore anello di una catena. Una catena repressiva a volte brutale e a volte sottile, in cui potrebbero rientrare le nuove leggi (basti pensare alla recente Ley Mordaza**), l’attacco condotto contro i senza-documenti con retate razziste sempre più imponenti, la brutalità poliziesca, o ancora l’aspirazione a gestire la miseria e ad amministrare la repressione (che dopo tutto è ciò che fa lo Stato) da una parte della pseudo-sinistra (con Podemos*** in testa) ridotta in modo sempre più evidente ad una parodia di se stessa. Espulsioni abitative, pestaggi fascisti, recrudescenze legali e punitive di ogni sorta, giochi di specchio nazionalisti e socialdemocratici, è ciò che ci delinea il presente. Non c’è nulla di peggiore da aspettarsi: il peggio non è mai iniziato. La gamma di possibilità dell’antiterrorismo spagnolo è un minestrone. È là, bene in vista, a ricordarci che per lo Stato la lotta è sinonimo di terrorismo. Funziona come uno spauracchio. Dovremmo farci spaventare?

Lo Stato e i suoi agenti affermano di aver aperto il vaso di Pandora. Nella mitologia greca, Pandora è l’equivalente della biblica Eva. Con la misoginia caratteristica delle due mitologie, Pandora apre il suo vaso come Eva mangia la sua mela, liberandone tutti i mali contenuti.

Noi siamo in grado di creare la nostra narrazione e di sbattercene della loro mitologia di merda se vogliamo. La nostra storia è differente. Il «vaso» che questa operazione repressiva ha aperto ci esorta ad agire, a non abbassare la guardia, a prestare attenzione ai loro prossimi movimenti. Ci fa pensare e ripensare al mondo che vogliamo e alla distanza tra questo mondo e il loro. Ci porta a vedere l’urgenza di agire, di andare avanti.

Le compagne e i compagni arrestati fanno parte di diversi progetti, spazi, collettivi, ecc. ed è molto importante che questi non ne risentano, che la rovina (in ogni senso del termine) che queste situazioni solitamente generano non induca all’impotenza e alla paralisi. Affermiamo sempre che «la migliore solidarietà è continuare la lotta». D’accordo. Ma cosa significa nella pratica? Ribadiamo anche che «chi tocca uno di noi, tocca tutti e tutte». Ciò è stato dimostrato dalle risposte e dalle manifestazioni che hanno avuto luogo in differenti luoghi, così come il calore incondizionato di chi è rimasto fuori.

Se siamo sicuri di qualcosa, è che le compagne ed i compagni detenuti possono sentire questo calore che passa oltre le sbarre e l’isolamento, perché è il medesimo calore che loro stessi hanno saputo dare in altre occasioni.

Barcellona, 18 dicembre 2014

Note:
* L’Audencia Nacional è un tribunale supremo che si occupa, tra le altre cose, di tutte le inchieste dell’antiterrorismo in Spagna.
** La Ley Mordaza è la nuova legge sulla sicurezza pubblica in Spagna, che limita i “diritti fondamentali”, fissa le quote dell’immigrazione, criminalizza le occupazioni di immobili e nelle strade, ecc. Diverse iniziative sono previste in questi giorni contro l’attuazione di questa legge.
*** Podemos è un’organizzazione di sinistra nata dall’incontro dei politicanti dei resti del movimento 15M [indignados] e della sinistra trotskista, che si presenta alle elezioni e pretende di rappresentare l’alternativa ai politici liberali.

da finimondo.org

Radiocane: A proposito dello sciopero della fame di Nikos Romanos

Lo sciopero della fame di Nikos Romanos, incominciato nelle galere greche lo scorso 10 novembre, sta scatenando la rabbia di molti compagni e solidali in Grecia e altrove. A riguardo una breve corrispondenza con un compagno di Atene.

Ascolta: Radiocane.info

Atene: Comunicato dell’occupazione del Centro Culturale Melina, nel quartiere Thissio

Lo striscione recita: “Lo stato di diritto uccide. Solidarietà con Nikos Romanos e gli altri compagni in sciopero della fame”

Il 6 dicembre 2014 occupiamo il Centro Culturale Melina, all’incrocio tra la strada Irakleidon 66 e Thesalonikis, nel quartiere Thissio, ad Atene.

L’occupazione è in solidarietà con la lotta in corso di Nikos Romanos, sei anni dopo la morte di Alexandros Grigoropoulos.

Il nostro obiettivo è una continuazione e escalazione dell’azione anarchica multiforme. Sosteniamo tutte le iniziative che contribuiscono all’inasprimento della guerra sociale.

Vittoria per la lotta degli scioperanti della fame Nikos Romanos, Yannis Michailidis, Andreas-Dimitris Bourzoukos e Dimitris Politis.

Forza al compagno G.S., da Mesolongi, che è in sciopero della fame dal 3 dicembre 2014.

Sosteniamo la lotta dei rifugiati e delle rifugiate provenienti dalla Siria.

Un pugno alzato per i detenuti nelle carceri greche che si rifiutano di entrare nelle loro celle, o si astengono dal cibo della prigione, o attuano simbolici scioperi della fame in solidarietà con l’anarchico Nikos Romanos.

FUOCO ALLE FRONTIEREFUOCO ALLE CARCERI

NON DIMENTICHIAMONON PERDONIAMO

PS: Ci vediamo sulle strade, barricate e occupazioni

Bergamo: Comunicato in solidarietà agli sgomberi

Chi governa legittima il proprio potere attraverso strumenti da lui inventati per irreggimentare e uniformare. Chi governa vuole che ogni persona si rivolga a lui per essere felice perchè ha bisogno che ogni azione, sia essa sociale o individuale, si caratterizzi come “un utile” per lo Stato. Chi governa ha chiamato l’imposizione di tale ingiustizia “legalità”, “maggioranza”, “bene comune”, “sicurezza”. Non a caso, in molti territori, per le istituzioni, autogestione ed autodeterminazione sono diventate sinonimo di “associazione a delinquere”. Questo perchè autogestione e autodeterminazione espropriano ai criteri di sottomissione e alle logiche di sopraffazione le necessità, i bisogni e i desideri degli individui.

In questi ultimi mesi, però, un po’ dovunque, l’occupazione di stabili sfitti e la conseguente affermazione di pratiche solidali all’interno dei quartieri popolari sta minando alla base quella gerarchia sociale che, fino ad ora, ha garantito potere ad istituzioni locali e nazionali.

In molte città, l’ ennesimo teorema questurino, architettato ad arte da media e politicanti in cerca di consenso, ha trovato sulla propria strada lotte condivise e determinate che hanno parzialmente distrutto un’impalcatura propagandistica, nata nelle stanze del Partito Democratico e allargate a tutto l’apparato politico istituzionale. A Milano, infatti, i quartieri Corvetto, Giambellino, San Siro non si sono piegati né davanti alla violenza delle forze dell’ordine e né davanti alle campagne mediatiche. Nelle scorse settimane, infatti, il quartiere Corvetto ha subito l’ennesimo attacco poliziesco che ha portato allo sgombero di alcune abitazioni e di due spazi occupati: “Il Corvaccio” e “Il Rosa Nera”, entrambi in prima linea nella lotta per l’occupazione delle case nel quartiere. A seguito di tali azioni poliziesche, pilotate da alcune sedi di partito, si è anche verificato l’arresto di cinque compagni rilasciati il giorno dopo. Il quartiere, tuttavia, non si è fatto intimorire e  si è stretto attorno agli arrestati in modo solidale e compatto non cadendo nella solita trappola poliziesca che è solita dividere chi scende in piazza tra “buoni” e “cattivi”. Dopo una mattinata di scontri e barricate, in serata infatti si è risposto con una passeggiata nel salotto buono della città; passeggiata che avrebbe voluto portare un saluto ai cinque compagni rinchiusi a San Vittore, ma che è stata dispersa da una caccia all’uomo condotta a suon di cariche e lacrimogeni.

Il Piano Casa, insomma, sta mostrando il suo vero volto: propaganda politica da un lato, repressione dall’altra; un modo per  mettere a tacere  tutte quelle realtà che attraverso l’autogestione e l’autodeterminazione stanno cercando di evitare una “normalizzazione” sempre più repressiva che sta assumendo ovunque i caratteri di un aut-aut: o ti assoggetti, o vieni manganellato e denunciato.

Il Piano Casa è, dunque, l’ennesimo contenitore propagandistico di un nuovo modello autoritario da somministrare a gocce e, se non direttamente attaccato e sabotato, esso sarà parte  di ciò che sancirà il definitivo passaggio da un sommario e verticistico principio di libertà calato dall’alto, all’ instaurazione di un preventivo piano di sicurezza sociale.
 
Ci dichiariamo quindi complici e solidali con tutti gli occupanti “abusivi”e con tutti i compagni che stanno subendo sulla propria pelle azioni repressive.

AD OGNI SGOMBERO UNA BARRICATA!

AUTOGESTIONE DIFFUSA OVUNQUE!

Anarchici e Anarchiche di via bonomelli (BG)

Atene : Lo scioperante della fame Nikos Romanos trasferito all’ospedale

Striscione sulla scuola Politecnica di Exarchia : Solidarietà con l’anarchico Nikos Romanos, in sciopero della fame dal 10/11

Il 24 novembre del 2014, il prigioniero anarchico Nikos Romanos, in sciopero della fame dal 10 novembre, è stato trasferito dalle prigioni di Koridallos verso l’ospedale Gennimatas, sul corso Mesogeion, 154. E’ stato chiamato un presidio solidale per il giorno di oggi, 25 novembre, alle 17.00 di fronte all’ospedale.

Prigioni greche: Attualizzazione sullo sciopero della fame di Nikos Romanos (20/11)

Striscione ad Atene: “Ora tocca a noi. Ora cadiamo senza esitazione… Forza Nikos Romanos.”

La mattina del 20 novembre, undicesimo giorno di sciopero della fame, il compagno Nikos Romanos è stato trasferito al cosiddetto ospedale del carcere di Koridallos, a seguito della richiesta del medico responsabile.

L’ovvio deterioramento del suo stato di salute ha reso necessario il trasferimento in ospedale, dove sono stati condotti ulteriori esami prima di un nuovo trasferimento in cella.

Forza e solidarietà con Nikos Romanos.

Nessuno venga lasciato solo nelle mani dello stato.

fonte: athens imc

Carcere di Spoleto: Lettera del prigioniero in lotta Maurizio Alfieri

La lettera che pubblichiamo e che chiediamo di diffondere il più possibile (siti, radio di movimento, situazioni di lotta ecc.) è un coraggioso atto di accusa contro il carcere di Terni e contro tutta l’amministrazione penitenziaria. Non ci facciamo certo illusioni su di un’inchiesta da parte della magistratura, ma non possiamo lasciare solo Maurizio, uomo retto che non ha mai avuto paura di esporsi. Il DAP e i carcerieri devono sapere che a fianco di Maurizio ci siamo tutti/e noi ad urlare che sono degli assassini.

Una coraggiosa denuncia da parte di Maurizio Alfieri

Carissimi/e compagni/e

Prima di tutto vi devo dire una cosa che mi sono tenuto dentro e mi faceva male… ma la colpa non è solo mia e poi potete capire e commentare la situazione in cui mi sono trovato e che ora rendiamo pubblica.

L’anno scorso mentre a Terni ero sottoposto al 14 bis arrivarono due ragazzi, li sentivo urlare che volevano essere trasferiti perché le guardie avevano ammazzato un loro amico… così mi faccio raccontare tutto, e loro mi dicono che un loro amico di 31 anni era stato picchiato perché lo avevano trovato che stava passando un orologio (da 5 euro) dalla finestra con una cordicina, così lo chiamarono sotto e lo picchiarono dicendogli che lo toglievano anche dal lavoro (era il barbiere), lui minacciò che se lo avessero chiuso si sarebbe impiccato, così dopo le botte lo mandarono in sezione, lui cercò di impiccarsi ma i detenuti lo salvarono tagliando il lenzuolo, così quei bastardi lo chiamarono ancora sotto e lo presero a schiaffi dicendogli che se non si impiccava lo uccidevano loro. Così quel povero ragazzo è salito, ha preparato un’altra corda, i suoi amici se ne sono accorti ed hanno avvisato la guardia, ma nel frattempo era salito l’ispettore perché era orario di chiusura, l’agente iniziò a chiudere le celle, ne mancavano solo tre da chiudere, tra cui quella del povero ragazzo, i due testimoni gridano all’ispettore che il ragazzo si sta impiccando e per tutta risposta ricevono minacce di rapporto perché si rifiutavano di rientrare in cella, finché dalla paura anche loro sono rientrati dopo aver visto che il loro amico romeno si era lasciato andare dallo sgabello con la corda al collo, e quei bastardi hanno chiuso a tutti tornando dopo un’ora con il dottore che ne costatava la morte e facendo le fotografie al morto…

Quei ragazzi mi hanno scritto la testimonianza quando sono scesi in isolamento, poi li chiamò il comandante Fabio Gallo e gli disse che se non dicevano niente li avrebbe trasferiti dove volevano… quei ragazzi vennero da me piangendo, implorandomi di non denunciare la cosa e di ridargli ciò che avevano scritto, io in un primo tempo non volevo, mi arrivò una perquisizione in cella alla ricerca della testimonianza ma non la trovarono, loro il giorno dopo furono trasferiti, poi mi scrissero che se pubblicavo la cosa li avrebbero uccisi, io confermai che potevano fidarsi. I fatti risalgono a luglio 2013, ai due ragazzi mancava un anno per cui ora saranno fuori. La testimonianza è al sicuro fuori di qui, assieme ad un’altra su un pestaggio di un detenuto che ho difeso e dice delle cose molto belle su di me. Ecco perché da Terni mi hanno trasferito subito!

Ora possiamo fare aprire un’inchiesta e a voi spetta una mobilitazione fuori per supportarmi perché adesso cercheranno di farla pagare a me, ma io non ho paura di loro.

Perdonatemi se sono stato zitto tutto questo tempo ma lo ho fatto per quei due ragazzi che erano terrorizzati… ora ci vuole un’inchiesta per far interrogare tutti i ragazzi che erano in sezione, serve un presidio sotto al DAP a Roma così a me non possono farmi niente.

Non possiamo lasciar impunita questa istigazione al suicidio… devono pagarla.

Ora mi sento a posto con la coscienza, sono stato male a pensare alla mamma di quel povero ragazzo che lavorava e mandava 80 euro alla sua famiglia per mangiare, quei due ragazzi erano terrorizzati, non ho voluto fare niente finché non uscissero, adesso per dare giustizia iniziamo noi a mobilitarci… sono sicuro che voi capirete perché sono stato zitto fino ad ora.

Un abbraccio con ogni bene e tanto amore.

Carcere di Spoleto, 20 settembre 2014

Maurizio Alfieri (a-cerchiata)

Francia: Un manifestante ucciso al Testet

Un compagno ucciso al Testet

Chiamata a manifestare contro la violenza di Stato – a Nantes e ovunque

Presidio sto lunedì alle 18.00 di fronte alla prefecture di Nantes.
Appuntamento dalle 15.00 place du Bouffay per preparare e informare

Nella notte tra sabato e domenica, un manifestante, Rémi, è stato ucciso negli scontri che hanno avuto corso durante il presidio contro la costruzione della diga di Sivens, al Testet. Più o meno 7000 persone si sono ritrovate sulla Zad del Testet dopo mesi di attacchi da parte della polizia, di distruzione della zone umeda e delle abitazioni di chi la difende. Nella fine del pomeriggio, e poi più tardi nella notte, decine di persone si sono svolte contro le forze del ordine che proteggevano il cantiere. Volevano esprimere così la loro rabbia e ritardare la ripresa dei lavori, che era inizialmente prevista questo stesso lunedì. Sono state respinte col uso di palle di gomma, di granate assordanti, a frammentazione e di gas lacrimogeni. Secondo i racconti dei compagni del Testet, la persona deceduta sarebbe crollata dopo spari di granate e sarebbe stata portata via dalle forze del ordine. La Prefecture (questura) dice di non voler’ dichiarare niente sul fatto prima dei risultati dell’autopsia di lunedì. Il governo ha già cominciato ad infamare i manifestanti e prova a dividerli per fare dimenticare quello accaduto. Ma sanno benissimo, qualsiasi sia il loro prossimo passo, che questa morte avrà consequenze esplosive.

Purtroppo, questa morte rivoltante non ci sorprende dentro quel contesto. A Notre dames des landes, al Testet e dovunque sia, quando ci siamo oppost* ai loro proggetti, abbiamo dovuto confrontarci allo sviluppo crudo della violenza di Stato. Nonostante abbiamo benissimo capito, per quanto ci riguarda, che non potevamo contentarci di docilmente guardarli distruggere le nostre vite, essi hanno dimostrato che non ci faranno nessun regalo. Durante i mesi di sgombero della ZAD di NDDL, molt* compagn* sono stat* ferit* pesantemente dagli spari di palle di gomma e dalle granate. Nella sola manifestazione del 22 febbraio 2014 a Nantes, 3 persone hanno perso un occhio da questi spari. Da settimane, ormai, anche al Testet più persone sono state ferite, e ci voleva poco perche altri incidenti tragici succedassero quando gli opponenti sono stati sgomberati dalle case costruite sugli arberi.

E’ però pure per questa ragione, tra altre, che migliaia di persone si sono opposte fisicamente ai lavori, agli sgomberi, all’occupazione poliziesca dei luoghi di vita loro, che il proggetto di areoporto di Notre Dame des Landes si trova oggi moribondo, e che la diga del Testet e quelle che dovrebbero seguirla sono rimesse in questione. E quel impegno negli atti che ha permesso dare una potenza contagiosa a queste lotte, e che minaccia ormai ovunque la ristrutturazione mercantile del territorio.

Più quotidianamente, la repressione si esercita contro quell* che lottano nei carceri, nei quartieri e nei CIE, e là ancora trascina il suo peso di morti, troppo spesso dimenticate, più decine ogni anno. Di fronte agli sollevamenti e altre insottomissioni, la democrazia liberale mostra che rimane al suo posto grazie non solo alla domesticazione precisa degli individui e degli spazi di vita, o alle dominazioni economiche e sociali, però anche grazie al uso determinato del terrore.

Chiamiamo all’occupazione delle strade e dei luoghi di potere, per marcare la nostre tristezza, salutare la memoria del compagno ucciso sabato, e per esprimere la nostra rabbia contro la violenza di Stato. Non li lasceremo ammazarci con le loro armi cosidette “non letali”. Dobbiamo reagire con forza per fare in modo che abbia un prima e un dopo questa morte. Affirmare più forte che mai la nostra solidarietà verso tutt* quell* che lottano al Testet e altrove contro i loro proggetti guidati dalle logiche di controllo e di profitto, ma anche con quell* che cadono con meno rumore sotto i colpi della repressione, dovunque sia. Non ci lasceremo ne dividere, ne paralizzare dalla paura. Continueremo a vivere e lottare sugli spazi che sognano annichilare, ed a bloccare la strada.

Non lasceremo tornare il silenzio, non dimenticheremo!

Occupant* della ZAD di Notre dame des Landes

Un altro corteo si prepara per il sabato alle 14.00

Per maggiori informazioni: zad.nadir.org & nantes.indymedia.org

[Svizzera/Italia] Breve aggiornamento sul caso di Costa, Silvia e Billy

L’Italia incrimina Silvia Costa Billy una seconda volta per i fatti svizzeri

In un precedente comunicato di aggiornamento avevamo scritto della definitiva chiusura del nostro caso in Svizzera dove la rincorsa ai ricorsi sulle macchinazioni da parte dei vari apparati di sicurezza statali italiani e confederati elvetici non avevano portato a nulla, se non che in tema di repressione la collaborazione poliziesca è sempre forte, soprattutto se i soggetti di interesse sono degli oppositori alla loro democrazia di oppressione.

Fin dal momento del nostro arresto in Svizzera con l’accusa di voler attaccare con esplosivo il nuovo centro di ricerche, allora in costruzione, di IBM e del Politecnico di Zurigo fiore all’occhiello per la ricerca nanotecnologica a livello mondiale, l’Italia ha fatto partire un’inchiesta in stretta collaborazione con la polizia elvetica volta a dimostrare l’esistenza di un’organizzazione sovversiva con finalità di terrorismo sul suolo italiano e ramificata anche in Svizzera.

Di fatto, con copione già noto, questo ha portato negli anni della nostra carcerazione ad una intensa attività spionistica in primis contro la rete di solidali che nel mentre si era creata e poi verso gli ambienti ecologisti radicali più attivi nelle varie battaglie fuori per seguire il nostro caso e per far uscire questioni come quella delle nanotecnologie che si sarebbero volute silenziate o ridotte ad un’unica voce, meglio se quella dei suoi promotori.

La Procura di Torino non contenta a quanto pare dell’esito svizzero che ci ha visto condannati per il fatto specifico e assolti per l’importazione di materiale esplodente e non contenta di non aver trovato alcuna organizzazione in Italia e neanche altrove, ha recentemente chiuso l’indagine tutta concentrata al 270 bis (associazione sovversiva con finalità di terrorismo) e ha chiesto invece il rinvio a giudizio per tutti e tre con le seguenti accuse: “art.110, 280 c.p. … perchè in concorso tra loro, a nome dell’ELF-Earth Liberation Front, movimento ispirato all’ecologismo radicale, per finalità di terrorismo, compivano atti diretti a danneggiare cose mobili o immobili altrui, mediante l’uso di dispositivi esplosivi o comunque micidiali”, art.110, 81,61 c.p. … perché in concorso tra loro, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso… illegalmente detenevano e portavano in luogo pubblico, trasferendo dalla Valchiusella a Bergamo e quindi in Svizzera il seguente materiale esplosivo atto all’impiego… art.110, 648 c.p. … perché in concorso tra loro… conoscendone la provenienza delittuosa, ricevevano da soggetti rimasti ignoti il materiale per ordigni esplosivi… prevento di sottrazione illecita ai danni di una delle imprese rimasta non identificata che, autorizzata all’utilizzo di esplosivi.” Tutte le accuse contengono l’aggravante della finalità di terrorismo.

Come parte civile offesa avremo pensato di trovarci di fronte i tecno-nazi di IBM e invece la Svizzera si presenta con la sua eccellenza nella ricerca: l’Istituto Politecnico di Zurigo da sempre impegnato in ricerche nocive di cui le nanotecnologie sono solo la punta dell’iceberg.

In attesa che venga fissata a breve l’udienza preliminare che ci vede passare dalla posizione di indagati a quella di imputati ribadiamo la necessità di mobilitarci e costruire un’opposizione a queste frontiere delle tecno scienze che usano il mondo come l’allargamento del loro laboratorio.

In vista del processo ci troviamo a sostenere numerose spese legali, chiediamo a tutte e tutti supporto con iniziative benefit e donazioni al conto corrente postale intestato a Marta Cattaneo codice Iban: IT11A0760111100001022596116, specificare la causale: solidarietà a Silvia Billy Costa

Per contatti: info@resistenzealnanomondo.org
resistenzealnanomondo.org, silviabillycostaliberi.noblogs.org

Grecia: Sull’arresto del compagno Antonis Stamboulos

Mercoledì 1° ottobre a Vyronas, quartiere di Atene, è stato arrestato il compagno anarchico Antonis Stamboulos. La polizia ha fatto irruzione in un garage – a loro dire un covo – e poi a casa dei suoi genitori a Maroussi, sua sorella a Thissio e in una casa a Kypseli affittata con un altro nome. In tutte le case non hanno trovato niente. Dicono che al momento dell’arresto Antonis Stamboulos aveva uno zaino all’interno del quale c’era un’agenda in cui, sempre a loro dire, c’era la mappa e il piano per un attacco a Marinakis (presidente dell’Olympiakos e ricco imprenditore). Su questo fatto i media hanno creato il solito spauracchio del terrorismo. Consensualmente il PM e procuratore hanno deciso il suo arresto. Il compagno si è rifiutato di parlare e, come ha detto l’avvocato, probabilmente lo farà quando avrà a disposizione tutti i documenti che lo riguardano e, nello specifico, di cosa esattamente è accusato dal momento che nell’accusa in realtà non compaiono neanche le cose menzionate dai media. Ad Antonis Stamboulos è stata formalizzata l’accusa di partecipazione a un’organizzazione terroristica e, secondo i documenti del caso redatti dall’antiterrorismo, figurerebbe come un membro di Lotta Rivoluzionaria (in stretto rapporto con Nikos Maziotis). Domenica 5 ottobre, giorno della convalida dell’arresto, anarchici e antiautoritari si sono radunati fuori dal tribunale. Inoltre, alcuni compagni hanno fatto due volantinaggi, uno a Vyronas dove è stato arrestato, e uno a Marousi fuori dalla casa dei genitori per rompere il clima di terrorismo creato dalla polizia e dai media.

Di seguito pubblichiamo il primo comunicato del compagno, che dal 6 ottobre ha iniziato uno sciopero della fame e della sete per protestare contro il suo trasferimento nel carcere di Larissa. Il 11 ottobre Antonis Stamboulos ha sospeso lo sciopero.

Sono stato arrestato il 1° ottobre, incappucciato e portato in una stanza per gli interrogatori dell’unità antiterrorismo. Dalle 5 del pomeriggio all’1 di notte, un gruppo di sbirri incappucciati – mentre ero ammanettato dietro la schiena – hanno preso con la forza campioni del mio DNA, le mie impronte digitali e (hanno provato) a farmi delle foto, mentre venivo deriso, soffocato, picchiato e minacciato di essere sottoposto a elettroshock, con la speranza che ciò mi avrebbe fatto collaborare. All’una di note ho visto per la prima volta gli sbirri senza cappuccino, che mi hanno comunicato di essere accusato di terrorismo. Fino alle 5 e mezza della mattina sono rimasto in una cella di un metro per tre, sempre ammanettato dietro la schiena. Il giorno dopo hanno provato a fotografarmi di nuovo.

Da parte mia non ho toccato né cibo né acqua dal primo momento e ho chiesto di vedere un avvocato. Dopo 24 ore di detenzione mi hanno permesso di nominare un avvocato e ho deciso di incontrarla solo per pochi minuti prima di essere portato dal pubblico ministero.

Ho condiviso questo con i compagni combattenti come una piccola esperienza di lotta.

Se l’atteggiamento dello stato nei nostri confronti è o non è tenero o duro – questo dipende sempre dalle circostanze – non può mai piegarci se siamo consapevoli della responsabilità che deriva dalla nostra posizione di anarchici nei momenti di avversità.

I tempi duri della lotta sono quelli che temprano la nostra coscienza con forza. In queste circostanze ciascuno di noi innalza gli ideali della società che stiamo lottando per costruire. Molto sangue è stato versato nella lotta per l’emancipazione dalla società classista, e tuttavia solo gli stupidi possono credere che piegheremo la testa di fronte agli abusi della polizia. Continuo ad essere contrario a fornire i miei dati personali agli scagnozzi dello stato per due ragioni. Il primo motivo è per coerenza ai mie valori, in quanto credo che ogni anarchico rivoluzionario non dovrebbe mai cedere di un centimetro al nemico di classe. In secondo luogo perchè sono consapevole della gravità del caso in cui sono implicato, quindi voglio proteggere i miei compagni e amici da i corvi che continuano a tenermi in prigione. Mentre i Clouseau di turno non erano in grado di scoprire il mio nome, non ero per niente disposto a darglielo. Nel momento in cui sto scrivendo, due giorni dopo l’arresto, la polizia mi ha “finalmente” identificato.

È chiaro che gli ufficiali della squadra antiterrorismo e specialmente i loro superiori politici speravano di fare uno scoop col mio arresto, perciò la fuga di notizie alla stampa che riguardava l’agenda contenente gli “orari precisi degli spostamenti”, gli obiettivi e cazzi vari. Ricamano la loro storia per rendere credibile il loro scenario; uno scenario in cui, alla fine, risultano sempre vincitori.

La polizia e i pubblici ministeri non hanno alcun diritto a sapere cosa ho fatto, chi sono e perché ero nel luogo dove sono stato preso; non è realmente la loro preoccupazione, ma la mia. Pertanto, non ho bisogno di difendermi di fronte ai guardiani della legalità borghese, ma solo di fronte al movimento rivoluzionario, i compagni e le persone che hanno scelto di non vivere come schiavi.

Credo che il primo comunicato con il mondo esterno sia necessario, dal momento che non mi illudo di non essere incarcerato preventivamente.

Per adesso, sono ancora nelle mani dei servi del capitale, ma il mio cuore batte ancora per la rivoluzione.

La lotta continua.
Lunga vita alla rivoluzione.
Lunga vita all’Anarchia.

Antonis Stamboulos (detenuto nella questura di Atene, 4 ottobre 2014)

[Belgio] Si vede più chiaramente al buio

Chiudere le centrali nucleari, staccare la spina al capitalismo e allo Stato

Due cose importanti
Almeno due cose si possono dedurre dall’atto di sabotaggio di una turbina elettrica nella centrale nucleare di Doel nell’agosto 2014.* Due cose importanti, che tuttavia non abbiamo letto da nessuna parte.

Primo. Anche se il nucleare genera una contaminazione duratura e difficilmente risolvibile, è comunque possibile fermare la produzione energetica di queste centrali di morte. La lotta contro il nucleare non significa solo che quest’ultimo è all’origine di catastrofi e di radiazioni permanenti, dell’avvelenamento per lungo tempo dell’ambiente, ma anche che la stessa esistenza del nucleare ipoteca ogni prospettiva di libertà e di auto-organizzazione, perché il suo mantenimento e la sua gestione implicano necessariamente una struttura autoritaria e verticista, una struttura militarizzata.

Secondo. Che il sistema economico e statale vigente è del tutto dipendente dal flusso continuo di elettricità, pena la paralisi. Fabbriche, commissariati, ministeri, trasporti, amministrazioni: tutte le strutture fondamentali dell’oppressione statale e dello sfruttamento capitalista hanno in comune la loro dipendenza dall’energia. E quando le cose sono ferme, qualcos’altro può finalmente cominciare a muoversi.

Contro il nucleare
A partire dalla costruzione delle prime centrali, gli amministratori dell’esistente sfruttano la paura delle imprevedibili conseguenze di una catastrofe nucleare. Quelli che abitano attorno a queste centrali (e in Europa, in realtà sono tutti quanti) dipendono dai suoi costruttori per proteggersi contro lo scatenamento di una simile catastrofe tecnologica. In effetti, di fronte a ciò, di fronte alle radiazioni, di fronte alle «fughe», sono ancora gli stessi nucleocrati che hanno reso la catastrofe possibile a precipitarsi per «gestire» la situazione: con piani di evacuazione, presunte decontaminazioni, trattamento della centrale ferma… Questi specialisti e la loro struttura di comando fortemente gerarchizzata diventano così indispensabili. Inoltre, ogni centrale nucleare produce anche tonnellate di scorie radioattive che questi specialisti seppelliscono tranquillamente sotto terra sperando che tutto andrà bene. La loro radioattività è ormai dappertutto (a causa delle scorie, delle radiazioni, delle «piccole» fonti come i laboratori, gli ospedali, le fabbriche, le bombe d’uranio impoverito…), causando leucemie e cancri, modificando le strutture genetiche delle piante e degli esseri viventi, contaminando il pianeta in modo irreversibile.

Domandarsi perché esiste il nucleare, è comprendere le ragioni per opporvisi fermamente. Le centrali nucleari producono l’energia necessaria alle tecnologie del capitalismo. Le centrali producono l’energia che determina le strategie geo-politiche (come fanno anche il petrolio e il gas), modellando così la concorrenza e la collaborazione fra Stati. Producono la dipendenza delle persone dai loro oppressori. Esse producono la sottomissione alle gerarchie che gestiscono e mantengono questo mondo. Producono la pace sociale.

Il nucleare deve quindi essere fermato, nelle centrali e nella ricerca, nelle sue applicazioni militari e nelle sue applicazioni civili, è un passo necessario sul cammino verso la libertà.

Paura
Dopo il sabotaggio della centrale di Doel, i politici hanno parecchio evocato la minaccia di un black-out, di una panne di elettricità generalizzata. A sentire le loro parole, si potrebbe pensare d’essere all’alba di un’apocalisse da incubo. C’è un profluvio di appelli ad un «consumo responsabile», ma anche a preservare la calma e l’ordine. Per far fronte ad una potenziale carestia, lo Stato ha lanciato un piano alternativo che consiste nel tagliare l’elettricità alle persone piuttosto che ad uffici, fabbriche, commissariati, ministeri. L’economia e la sicurezza innanzitutto, com’è ovvio.

Se i politici parlano di black-out, cercano magari di intimorire la popolazione al fine di ottenerne la sottomissione. Evocare una penuria elettrica significa effettuare un lavoro di preparazione mentale per la costruzione, poniamo, di una nuova centrale nucleare. Ma non viene mai posta la questione del perché tutta questa produzione d’energia sia necessaria. Eppure, la moderna voracità del capitale si potrebbe forse misurare attraverso il suo consumo energetico. Per dare un solo esempio: portare i ricchi, gli eurocrati e i manager in 1h20 con un Thalys da Bruxelles fino a Parigi necessita di una quantità d’energia elettrica equivalente al consumo annuo medio di cinque abitazioni di Bruxelles!

Allora, vincere la paura che il potere cerca di distillare in relazione ad un eventuale black-out non significa voler cortocircuitare gli ospedali e gli ospizi come vorrebbe farci credere lo Stato. Lo Stato designa ogni critica, ogni azione di sabotaggio contro la dipendenza elettrica, come “terrorismo”, mentre è esso stesso a seminare paura, a brandire lo spettro del terrore che costituirà un bel taglio nella normalità, a bombardare e saccheggiare intere regioni per assicurarsi l’accesso al petrolio, al gas, alle materie prime.

Dobbiamo smascherare le menzogne dello Stato, il quale sostiene che siamo tutti nella stessa barca e che bisogna perciò fare tutti degli sforzi per occuparsene. Ma le cose non stanno così. Ci troviamo sulla sua barca nostro malgrado, o in ogni caso senza averlo mai veramente scelto. Incatenati come schiavi delle galere di un tempo pur di far funzionare la macchina. Alienati dalla vera vita, dato che nascendo e morendo nel guscio della barca, nel guscio del lavoro, dell’obbedienza, del consumo, i nostri occhi non hanno mai potuto scrutare l’orizzonte o il cielo. Allora, se il potere dice che è “terrorista” voler far inabissare la barca, è proprio perché vuole conservare il suo potere sugli schiavi incatenati. Allora, sta a te scegliere fra restare incatenato tutta una vita o liberarti rischiando perfino di nuotare da solo; a te scegliere tra la sottomissione e la rivolta, tra l’obbedienza e la dignità.

Sabotaggio e paralisi dell’economia
Che cos’è il capitalismo? La questione è complessa e può essere affrontata in mille maniere diverse, di cui distingueremo qui tre aspetti fondamentali.

Innanzitutto, c’è il modo capitalista di produzione, la produzione di merci. La produzione viene realizzata attraverso strutture (la fabbrica, il laboratorio, le macchine…) e manodopera (operai, impiegati, salariati…). Il capitalista ottiene profitto investendo nelle strutture e sfruttando la manodopera (ovvero, retribuendola meno di quanto produce realmente in termini di valore capitalista). Qui la cosa importante è che la produzione sia perciò dipendente dall’obbedienza della manodopera, perché se quest’ultima non vuole lavorare, la macchina non gira; e che questa produzione sia dipendente anche dalle strutture, perché una fabbrica dinamitata non può più produrre niente.

E poi, c’è un modo capitalista di scambio, ovvero il consumo, il commercio, la circolazione delle merci. Per questo, il capitale deve generare dei mercati per spacciare i prodotti, quindi creare dei bisogni; deve far circolare il denaro attraverso le banche, le borse, gli investimenti, perché un euro investito qui non genera lo stesso rendimento di un euro investito là; e soprattutto, ciò che qui ci interessa più in particolare, necessita di infrastrutture per realizzare questa circolazione. Ferrovie e porti per inviare le merci, reti di comunicazione per organizzare lo scambio e la circolazione, reti elettriche per far girare tutto questo. Il capitalismo è quindi dipendente da flussi continui, sia materiali (merci, manodopera, materie prime, energia) che immateriali (informazioni, dati, risultati della ricerca…).

Infine, c’è la riproduzione del rapporto sociale capitalista, ed è forse il centro di tutta la questione. I rapporti sociali determinano il ruolo ed il comportamento di ciascuno in questa società: del ricco come del povero, del capitalista come del salariato, del poliziotto come del prigioniero. Ma questi rapporti non sono «ideologici», perché si realizzano in uno spazio concreto. Il povero ha il suo posto in una gabbia da polli, il ricco nella sua villa. Il carcere, con le sue celle, le mura e il filo spinato, rinchiude gli individui e crea così i ruoli di prigioniero e di guardiano. Questa riproduzione del rapporto sociale coincide oggi quasi interamente con la continuità della normalità; in altre parole, finché il tran-tran quotidiano continua ogni giorno ad avanzare nello stesso modo, il potere non deve temere che si mettano in discussione i ruoli che ci impone. E questo tran-tran quotidiano può essere sabotato. Può essere cortocircuitato.

Se l’insieme del controllo, dello sfruttamento, dell’oppressione dipendono notevolmente dall’energia, è logico che tutte le piccole infrastrutture ripartite attraverso il territorio saltino agli occhi dei ribelli: centraline elettriche, cavi sotterranei, trasformatori, cavi di fibre ottiche, relé di telefoni portatili… Queste strutture sono così numerose e disseminate che il potere non potrà mai proteggerle tutte efficacemente dai gesti di rivolta, dai sabotaggi diffusi e ripetuti.

Se la pratica del sabotaggio non può trasformare da sola il rapporto sociale capitalista e autoritario, è comunque certo che, finché la macchina continuerà a girare, non si può sperare nessuna messa in discussione dell’esistente. L’onnipresenza del dominio esige una prima rottura nel corso normale delle cose, perché è unicamente grazie a tale rottura che possiamo sperare di avere un momento nostro, un momento per riflettere dove ci troviamo e per immaginare un altro mondo. È strano, ma in qualche modo c’è come l’intuizione che si vedrà più chiaramente al buio…

Fonte: Hors Service, n. 46, ottobre 2014, via Finimondo

* All’inizio di agosto di quest’anno il reattore della centrale di Doel4 si è fermato. A causarne l’arresto è stato un sabotaggio che ha interessato la turbina a vapore nella parte non-nucleare della centrale. 65000 litri d’olio della turbina sono defluiti verso un deposito sotterraneo destinato a recuperare l’olio in caso d’incendio. Per la mancanza di lubrificante la turbina si è surriscaldata e si è automaticamente fermata. Il blocco di questa centrale rischia di provocare nell’imminente inverno un black-out in Belgio e nei paesi limitrofi.

Contrastare la totalità del dominio

Da diversi anni il progresso tecnologico cresce fortemente, apportando nuove nocività quali il nucleare, le nanotecnologie e gli organismi geneticamente modificati. Questi minacciano nell‘immediato la vita sulla terra in diversi modi: attraverso lo sfruttamento delle “materie prime”, lo stoccaggio di enorme materiale radioattivo, la contaminazione irreversibile con nanotecnologie e la manipolazione genetica. Tutte le tecnologie condividono il potenziale di espansione del controllo sul vivente fino a raggiungere una dominazione totale della civiltà e delle sue innumerevoli strutture di potere che alienano quotidianamente le nostre relazioni.

La rivoluzione industriale porta ad un innalzamento della specializzazione e della centralizzazione. La tecnologia genetica rappresenta un nuovo salto qualitativo nello sviluppo del controllo sull‘agricoltura. I brevetti sulle sementi di qualche grande multinazionale spingono l‘agricoltura verso una dipendenza assoluta. Con la distruzione della biodiversità, ogni possibilità di un approvigionamento autonomo è reso impossible, impedendo fondamentalmente una prospettiva verso delle comunità libere e decentralizzate. Non sono solo le multinazionali e gli Stati che ne portano la responsabilità, ma pure tutti coloro che credono alle loro menzogne e sostengono il loro sviluppo.

Un ruolo centrale in questa tendenza distruttrice è da attribuire agli scienziati avvolti nei loro camici bianchi della «neutralità». Nascosti dietro alla nozione di «ricerca fondamentale», lavorano alla legittimanzione della tecnologia genetica. Entrare nello specifico di questa ricerca non ci interessa per niente, considerato quanto le intenzioni dei ricercatori ci sembrano chiare: con il fine d‘assicurarsi l‘approvazione dell‘opinione pubblica, si nascon-dono gli interessi economici, nonché l‘espansione del controllo sul vivente sotto la copertura della sacrosanta scienza.

La resistenza contro queste nuove nocività, non potendo essere spezzata attraverso queste menzogne, ha richiesto l‘intervento della repressione. Il nuovo sito protetto di Reckenholz, nel Canton Zurigo, dove gli attuali e futuri test a campo aperto di OGM si svolgono, è sorvegliato 24 ore su 24 da un‘agenzia di sicurezza e cani da guardia, video-sorveglianza permanente e due inferriate enormi dotate di sensori di movimento, ha più l‘aspetto di una fortezza.

Contrastiamo l‘avvanzata della dominazione totale.

Contrastiamo i responsabili che stanno intralciando la nostra strada verso la liberazione da tutte le forme di dominio.

Alcuni-e contadini-e anarchici-che

Istituto di Biologia Vegetale, Università di Zurigo

Promotore e direttore del test a campo aperto è il prof. Beat Keller. I costi della ricerca sono presi a carico dall‘Università.

Agroscope

Agroscope, nonchè il sito protetto che ospita la sperimentazione, è responsabile per gli aspetti tecnici ed è diretto dal dr. Michael Winzeler. Le sperimentazioni hanno luogo nei terreni presso Reckenholz (Affoltern, ZH).

Bouygues Energy & Services

L‘azienda Bouygues Energy & Services sorveglia 24 ore su 24 il centro ricerche con tanto di cani da guardia. Il gruppo Bouygues offre servizi che vanno dalle telecomunicazioni, alla sicurezza. Presente mondialmente, in Svizzera ha oltre 30 filiali.

Ufficio Federale dell‘Ambiente – UFAM

L‘UFAM è responsabile dell‘autorizzazione del progetto e della semina di grano modificato.

Italia: Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò rivendicano il sabotaggio al cantiere di Chiomonte

Torino, 24 settembre 2014 – Questa mattina, durante l’udienza del processo per l’attacco contro il cantiere di Chiomonte, del 13 maggio 2013, Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò hanno rivelato che quella notte c’erano anche loro. Se volete, potete ascoltare le loro parole: 1, 2.

Più informazioni qui.

Grecia: Le autorità iniziano a svuotare il carcere di Domokos per trasformarlo in un’altra Guantanamo

Lo scorso lunedì 25 agosto 2014, il servizio delle guardie carcerarie ha cominciato a svuotare la prigione di Domokos per poterla trasformare in un carcere di tipo C, conformemente alla legge fascista 4274/2014. Lunedì, martedì e mercoledì (25-27/08) hanno trasferito circa 100 prigionieri in altre prigioni della Grecia.

Appena ricevuta l’informazione della procedura di svuotamento di Domokos, abbiamo reperito la decisione del ministro della giustizia datata primo agosto 2014, che ordina la “trasformazione della Struttura Correzionale di Domokos da una prigione di tipo B a una di tipo C”. Questa procedura dovrebbe completarsi in due mesi dalla pubblicazione della legge fascista.

Secondo fonti sicure, l’intero processo di evacuazione del carcere di Domokos e il trasferimento di tutti prigionieri destinati al carcere di tipo C (in prima linea i prigionieri sentenziati per azione armata rivoluzionaria), dovrebbero terminare alla fine di settembre. Questa legge fascista recita che i detenuti verranno trasferiti al tipo C entro 10 giorni dalla publicazione dell’articolo 17, paragrafo 1, della legge 4274/2014. Non è una coincidenza che stanno svuotando Domokos ad un ritmo così veloce (da 30 a 40 prigionieri al giorno).

fonte: eksegersi.gr via actforfreedomnow

Berlino: Notizie dalle proteste dei rifugiati a Friedrichshain

La sera del 28 di agosto c’è stata una manifestazione partita da Frankturter Tor di circa 500 persone. La polizia ha tentato di interromperla due volte. Hanno colpito gente. Un arresto è stato confermato. La manifestazione è terminata dopo che il gruppo ARAB (gruppo comunista antiimperialista, che ha anche organizzato la “manifestazione rivoluzionaria del primo maggio”) ha annunciato che la polizia ha tentato di assalire il tetto dell’ostello. Gente in bicicletta si è precipitata all’angolo di Gürtelstraße. Questo ha causato allarmi anche all’angolo dove c’erano i manifestanti, perchè nessuno, a parte il gruppo ARAB, ne sapeva qualcosa.

Intorno alle 21.30, dopo che la manifestazione è giunta al termine, come al solito, discorsi, slogan, gruppi politici con i loro striscioni, etc, c’era molto cibo gratis, che la gente ha anche preso volentieri, ma subito dopo hanno cominciato di nuovo ad andar via tutti, e prima di mezzanotte solo poche persone erano rimaste. Un gesto di solidarietà è stato espresso da un vicino con una specie di laser show con lo slogan “nessun essere umano è illegale” sul suo balcone. Più tardi questi è sceso quando ha visto che i rifugiati che provavano a dormire all’angolo non avevano abbastanza coperte, ed ha oltrepassato le transenne portandogliene due pesanti. Quando ha cercato di riattraverssare le transenne, gli sbirri l’hanno fermato e gli hanno chiesto di mostrare la sua carta d’identità, che non aveva con sè. Per cui hanno cominciato a crear casini finchè sua moglie ha urlato “potete far entrare di nuovo mio marito?…” e l’hanno fatto passare ma forzandolo ad entrare in casa, prendere i documenti, scendere di nuovo e mostrarli agli sbirri. Nel frattempo i rifugiati sul tetto hanno iniziato a tambureggiare insistentemente, probabilmente usando pentole, e a dare segnali di luce e urlare dalla cima del tetto. I manifestanti hanno risposto urlando slogan, soffiando fischietti, c’era anche un megafono. Ma subito la polizia ha respinto tutto questo.

Tra l’altro, si è presentato anche un gruppetto di nazi. I compagni ne hanno riconosciuti almeno quattro. Tre di questi sono apparsi nel mezzo della strada in Scharnweberstrasse, urlando uno slogan nazista, mentre l’altro è passato in macchina, ma è stato riconosciuto troppo tardi. Di sicuro ce n’erano altri che non sono stati riconosciuti (la protesta si svolge direttamente al confine con Lichtenberg, il loro distretto-fortezza).

Il 29 e il 30 di agosto, la situazione è rimasta relativamente la stessa. Le autorità ancora lasciano i rifugiati morire di fame sul tetto dell’ostello di Gürtelstraße, e il supporto dei dimostranti è ancora poco.

Spagna: Aggiornamenti sulla situazione di Gabriel Pombo Da Silva

Mercoledì, 6 agosto 2014, il compagno Gabriel Pombo Da Silva alla fine è uscito dall’isolamento provvisorio (al quale era stato sottoposto il 17 giugno ad A Lama) per essere trasferito al carcere di Topas (Salamanca), dove è arrivato venerdì 8 agosto. Adesso è in una cella singola.

Appena arrivato gli è stato nuovamente notificato il controllo di tutte le comunicazioni (scritte, telefoniche e dei colloqui). L’amministrazione penitenziaria dispone anche di tutto un arsenale di misure e molestie per punire e vendicarsi di coloro che, come Gabriel, Francisco, Mónica e molti altri, si rifiutano di abbassare la testa e sottomettersi. Citiamo tra l’altro i ripetuti tentativi di interrompere le relazioni del prigioniero, rendendo difficili – e a volte impossibili – i contatti con l’esterno o di separarlo dai suoi amici con i trasferimenti da un modulo all’altro, come è appena accaduto, a soli tre giorni dal suo arrivo a Topas.

Questi piccoli giochi sporchi caratteristici del Potere e dell’Autorità non hanno nulla di sorprendente, fanno parte dell’abominevole routine carceraria e del ricatto della “buona condotta” del bastone e della carota.

E’ proprio perché lo sappiamo e non siamo disposti ad accettarlo che staremo attenti alla situazione dei compagni, e soprattutto continueremo a lottare contro la macchina di frantumazione che vuole schiacciarci.

Da entrambi i lati del muro, distruggiamo ciò che ci distrugge!

Per la Libertà,
Alcuni anarchici
16 agosto 2014

Per scrivere a Gabriel:

Gabriel Pombo Da Silva
Centro Penitenciario de Topas – Salamanca
Ctra. N-630, km. 314
37799 Topas (Salamanca), Spagna

[Bologna] Manifesto sul processo per i fatti di Piazza Verdi del 2007

Alla loro normalità preferisco la follia

Il 15 luglio scorso si è conclusa l’istruttoria del processo per i fatti di Piazza Verdi a Bologna del 2007, processo di cui non si è ancora arrivati nemmeno al Primo Grado di giudizio e che vede coinvolti quattro compagni e una compagna.

In questa occasione il pm Simone Purgato ha chiesto per i cinque, che all’epoca erano stati arrestati e incarcerati per aver ostacolato un TSO, pene elevate, dai 6 anni e mezzo ai 7 e mezzo di reclusione.

Queste richieste di condanna sono evidentemente un tentativo di creare un precedente e di intimorire i compagni. Allo stesso modo, per fermare e reprimere i cinque, sono state inventate delle accuse nei loro confronti in una tipica montatura di stato.

Il 17 ottobre prossimo, alle 10.00, si terrà un’altra udienza, in cui potrebbe venire emessa la sentenza.

Consapevoli che i veri pazzi stanno fuori, non facciamo un passo indietro.

Massima solidarietà e complicità con Madda, Sirio, Fede, Juan, Fako!

Anarchici e Anarchiche

Atene: Retata in casa dei compagni ad Exarchia

Il 17 luglio, durante la mattinata, il giorno seguente la cattura di Nikos Maziotis, la polizia antiterrorista irruppe nella casa dove vivevano diversi compagni, in via Dervenion, quartiere di Exarchia. Gli sbirri li negarono la presenza di un avvocato durante la ricerca. Ugualmente, sono stati fermati cinque dei compagni che si erano ritrovati a solidarizzare (sono stati rilasciati qualche ora dopo).

Non ci terrorizzano, non ci arrestano!

Grecia: Forza all’anarchico Nikos Maziotis, arrestato ad Atene il 16 luglio!

Lo Stato e il Capitale sono gli unici terroristi.
Solidarietà con N. Maziotis

Il 16 luglio 2014, verso sera, alcuni compagni hanno appeso uno striscione di solidarietà all’ingresso della Scuola Politecnica, in via Patission, in risposta all’arresto di Nikos Maziotis, membro di Lotta Rivoluzionaria catturato dalla polizia nel centro di Atene poche ore prima.

L’anarchico Nikos Maziotis, che viveva in clandestinità da due anni, è stato ferito gravemente quella giornata durante una sparatoria con la polizia nella zona di Monastiraki, nel centro di Atene. Il compagno fu trasferito all’ospedale Evangelismos, dove è stato ricoverato in ospedale sotto stretta custodia della polizia. Secondo il suo avvocato, la sua vita non è in pericolo.

Intorno alle 22:30 decine di compagni e compagne si sono ritrovati di fronte all’ospedale Evangelismos, mostrando il loro sostegno al guerrigliero anarchico Nikos Maziotis. Verso le 23:30 è terminato il presidio di solidarietà, e è stata convocata un assemblea per 17/7 presso la Scuola Politecnica di Exarchia.

Genova: Riconfermate le condanne per Alfredo Cospito e Nicola Gai

Genova 11 luglio – La corte d’ appello ha riconfermato integralmente la condanne di primo grado in rito abbreviato per l’il ferimento all’AD di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi: 10 anni e 8 mesi ad Alfredo e 9 anni e 4 mesi a Nicola. In primo grado i compagni avevano rivendicato in aula l’azione e la loro appartenenza, come unici componenti del nucleo Olga Fai/Fri. In appello hanno rifiutato di assistere alla farsa processuale in videoconferenza.

Navarra: Cronaca del presidio del 6 luglio nella macrocarcere di Iruñea

Come da qualche anno, circa 20 compagni e compagne ci siamo trovati alle ore 11 di oggi, 6 luglio, sul lato sinistro della macrocarcere di Iruñea/Pamplona. Dopo circa un’ora di slogan gridati, qualche parola con il microfono e musica, sono arrivati 3 furgoni della polizia e una macchina degli sbirri del reparto (dis)informazioni, per 20 minuti hanno controllato e perquisito a tuttx i/le presenti nel presidio e infine mandato via con le minacce come è il loro solito.

I razzi per celebrare il txupinazo (razzi che aprono le feste della città) sono stati lanciati tanto al cielo come al indirizzo del carcere.

Questa nuova bara dei vivi chiamata carcere non è ancora piena e i/le pochi/e detenutx che ci hanno visto e sentito hanno gridato insieme ai manifestanti quello che non ci scanseremmo di ripetere: espetxeak apurtu = distruggere le carceri.

Cile – Caso Security: Condanne contro Juan Aliste, Freddy Fuentevilla e Marcelo Villarroel

Il 2 luglio 2014, i compagni sono stati condannati in assenza già che hanno rifiutato di assistere allo spettacolo giuridico, che era disponibile per le loro famiglie e compagni sotto “teleconferenza”.

L’inquisizione democratica ancora una volta ha deciso sulla vita dei compagni; questa volta le condanne sono state:

Juan Aliste: 18 anni per essere l’autore dell’omicidio di Moyano + 10 anni per il tentato omicidio del poliziotto Abarca + 14 anni per l’assalto al Banco Santander in Valparaíso e al Banco Security in Santiago = 42 anni di carcere.

Freddy Fuentevilla: 5 anni per coprire l’omicidio di Moyano + 3 anni per coprire il tentato omicidio di Abarca + 7 anni per la rapina al Banco Security in Santiago = 15 anni di carcere.

Marcelo Villarroel: 14 anni di carcere per l’assalto al Banco Santander in Valparaíso e al Banco Security in Santiago.

Qui trovi le informazioni sul verdetto del Caso Security.

Solidarietà irrefrenabile con i compagni in prigione!

Né gli anni a cottimo che danno i giudici possono fermare o far retrocedere ne anche un centimetro le convinzioni e valori antiautoritari!

fonte : refractario