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Svezia: Azioni contro lo Stato ed il capitalismo

Niñxs salvajes 2Nel corso della quindicesima settimana del 2015, tra il 10 ed il 12 aprile, nel distretto di Midsommarkransen sono state bruciate delle automobili di proprietà della ditta di sicurezza privata Nokas, e la porta d’ingresso dell’Agenzia Svedese per la Crescita Economica e Regionale (Tillväxtverket) sull’isola-distretto di Södermalm è stata spaccata.

Nokas è stata attaccata in quanto simbolo dell’amministrazione del capitalismo, e l’Agenzia Svedese per la Crescita Economica e Regionale perché è una delle maggiori fondazioni ideologiche che mira allo sviluppo delle disugualianze sociali tra quell* che sono stat* ancora di più premiat* e quell* che sono stat* buttat* più in fondo nella miseria e l’incertezza.

Stavolta, le nostre azioni erano rivolte contro bersagli materiali e simbolici soltanto. Le persone incaricate di quel sviluppo non sono però dimenticate o perdonate.

Finché le persone saranno obbligate a vivere nella schiavitù del capitalismo, contrattaccare sarà sempre giusto .
Combattiamo il potere con ogni mezzo disponibile.

Libertà per i/le nostr* compagn* incarcerat* in Svezia e nel mondo.

originale ricevuto in svedese | greco | francese | inglese

Montevideo, Uruguay: La lotta è nelle strade, non nelle urne

montevideoDire che appaiono ogni cinque anni non è un cliché. Le elezioni municipali si avvicinano e nei loro programmi i politici abbordano un tema comune. Tutt* parlano di un problema che non l* aveva mai interessat* prima: lo zoo Villa Dolores.

Ma cosa è cambiato in questi ultimi tempi perché di colpo si interessino tutt* ai cambiamenti o alla chiusura di questo zoo, e da quali interessi sono spint*? La risposta è chiara: la lotta che viene portata avanti e la quantità di persone che pensano che lo zoo Villa Dolores deve chiudere immediatamente. Non è assolutamente un caso che per anni non abbiano mai menzionato la vicenda e che ora che ci troviamo nel bel mezzo di una campagna per chiuderlo, e che in più si avvicinano le elezioni municipali, tutt* ne abbiano qualcosa da dire.

Nel ventaglio di opportunist* che approfittano della situazione per trarne vantaggio (voti), ce ne sono di ogni tipo, da quell* che ritengono che Villa Dolores debba essere chiuso a quell* che affermano che non si dovrebbe mantenere il modello attuale dello zoo proponendo più o meno la stessa cosa che fa l’amministrazione: una prigione di animali autoctoni.

Mentre questi personaggi a caccia disperata di voti girano tutta la stampa riempiendosi la bocca di quello che farebbero o non farebbero una volta lo zoo nelle loro mani, noi giriamo tutte le vie col pugno levato durante ogni corteo, con i nostri cartelli e i nostri manifesti, decis* a frenare la carcerazione. Mentre loro escono a ripetere i loro slogan vuoti nei loro discorsi, noi mettiamo il tema in discussione attraverso l’informazione dispensata sulle piazze e nei mercati. Mentre loro riempiono la città di manifesti e affreschi con un nome e un numero che non dicono niente, noi lasciamo il segno della lotta con dipinti e attività.

Il motore di questa campagna è la libertà, libertà che non esce da nessuna urna, ma soltanto dalle nostre azioni, quelle che conduciamo ogni giorno, individualmente o collettivamente a fianco di chi partecipa a questa lotta. Non quelli che ne parlano per ottenere qualcosa in cambio, non quelli che si battono per il potere.

Nessuno li chiama, ma compaiono sempre. Come la traiettoia di una cometa vista dalla Terra, questo fenomeno si ripete con precisione matematica, ogni cinque anni in questo caso, intervallo durante il quale i politici si aggrappano ovunque possono per ottenere qualche voto; ora si tratta della lotta per chiudere lo zoo, ieri era quella contro la mega-mina Aratirí, e se risaliamo nel tempo, non finisce mai.

Mentre il riformista Álvaro Garcé si fa propaganda attraverso il suo ambizioso piano di apportare qualche cambiamento allo zoo, e mentre gli opportunisti Virginia Cardozo, Edgardo Novick e Daniel Martínez tentano di raccattare qualche voto con la favoletta di voler chiudere lo zoo, la lotta non si ferma un solo secondo.

Una cometa passa e rimane lontana, ed è tutto quello che ci si deve aspettare dalle elezioni municipali, che passino, perché non hanno niente a che vedere con la lotta.

Né con i/le riformist*, né con gli/le opportunist*.

La lotta si svolge in strada, non nelle urne.
Le riforme non ci fermeranno, faremo chiudere Villa Dolores!

Coordinazione per la chiusura dello zoo Villa Dolores
Montevideo, Aprile 2015.

francese

Prigioni cilene : Parole di Tamara Sol Farías Vergara e Natalia Collado

[16 aprile]

(Vorremmo dilungarci maggiormente, ma la possibilità di far passare questo messaggio e rendere visibile la nostra azione è limitata)

Agli affini:

Nel corso della settimana di agitazione per i/le prigionier* anti-autoritar* di tutti i territori che si tiene in questi giorni, e che include per domani una giornata con un appello solidale con i/le prigionier* di lunga pena, Natalia Collado e Tamara Sol Farías mandano tutto il loro amore, sostegno e rivolta e decidono di digiunare per tutta la giornata di venerdì 17 aprile.

Mandiamo tutta la nostra forza e tutto il nostro affetto specialmente a Nataly Casanova, che fa lo sciopero della fame per chiedere la fine del regime carcerale di isolamento. Compañera, nessuna prigioniera è sola!

Per la liberazione totale, abbasso il patriarcato e la società tecno-industriale!!
Solidarietà con tutt* i/le prigionier* anti-autoritar* !!

francese | greco | inglese

Lecce: Iniziativa solidarietà e contro le nocività

Iniziativa copiaCREPI IL VECCHIO MONDO!

Esprimere solidarietà a coloro che sono colpiti dalla repressione è un modo per far sì che non siano e non si sentano isolati, soprattutto quando detenuti. Continuare le lotte è un modo ulteriore per evitare che la repressione non diventi freno, ostacolo per proseguire e mettere in atto ciò che ci preme: l’attacco verso questo mondo disopraffazione. Il 23 aprile inizieranno due processi nei confronti di alcuni compagni. Graziano, Lucio, Francesco accusati di sabotaggio ad un compressore in Val di Susa.

Silvia, Costantino, Billy accusati di un tentato attacco ad un centro di ricerca sulle nanotecnologie di proprietà di IBM e Università di Zurigo. Per questo atto sono già stati processati, detenuti e condannati in Svizzera, ora il tribunale di Torino vorrebbe processarli nuovamente. Il motivo per cui ne parliamo contemporaneamente non è la data del processo ma le ragioni per cui si trovano a dover affrontare la repressione: la lotta contro le nocività. Non vogliamo che tutto si riduca solo ad una questione ambientale ma, come alcuni di questi compagni hanno ribadito, le nocività non sono tali solo per la devastazione che esse portano all’ambiente e all’uomo ma per la loro ragione sociale. Esse sono ciò che Stato ed Economia impongono sulle nostre teste, cambiando irreversibilmente il nostro modo di vivere e di rapportarci alla natura e alle persone. Sono il tentativo di meccanizzare tutto quanto e rendere le nostre vite dei meri numeri da contabilizzare sulla strada del profitto.

Questo rappresenta, per noi, un treno ad alta velocità, un mezzo funzionale a percorrere distanze in tempi sempre più ridotti per non correre il rischio di perdere tempo che, per i padroni, è denaro. Questo rappresentano per noi le bio e le nanotecnologie: il tentativo di manipolare e controllare il vivente, attraverso tecnologie e apparati sempre più piccoli che permettano applicazioni insperate ad un dominio sempre in cerca di nuova linfa. Questo rappresenta per noi un gasdotto o un impianto per produrre energia, quella stessa che permetterà a questo sistema di riprodursi e riprodurre altre nocività. La lotta al gasdotto Tap può essere un modo per praticare la solidarietà verso i compagni colpiti dalla repressione e per mettere in discussione il sistema in cui siamo immersi, di cui dovremmo cercare di sbarazzarci il prima possibile. Vogliamo affrontare queste ed altre questioni inerenti alla lotta al Tap e ai prossimi possibili passi da fare.

VENERDI’ 17 APRILE ORE 19:30
A SEGUIRE BUFFET BENEFIT DETENUTI

CIRCOLO ANARCHICO
VIA MASSAGLIA 62/B
LECCE

Per farla finita con il Prigioniero Politico

Da qualche anno in qua, vediamo riapparire il termine “prigioniero politico”. Un termine che credevamo scomparso da molti decenni, almeno all’interno delle sfere antiautoritarie.

Un termine diventato tipico di diverse sette marxiste o maoiste, di Amnesty International oppure degli oppositori politici borghesi a regimi autoritari come la Russia, la Birmania o l’Iran; oppure, ancora, nel quadro delle lotte dette di “liberazione” nazionale, dai Paesi Baschi al Kurdistan, passando per la Palestina; ma tipico anche dell’estrema destra. Ecco, in parte, il motivo della nostra inquietudine di fronte al rifiorire di questo termine qua e là per il mondo, in bocca a compagni. E se desideriamo farla finita, oggi e per sempre, con questo termine, non è soltanto perché si oppone a tutte le nostre prospettive antipolitiche, contro tutti quelli che vogliono gestirci, rappresentarci e dominarci per mezzo dell’arma della politica. È anche perché, assieme a questa risurrezione vi è, conscia od inconscia, la conseguenza malsana di creare delle distinzioni fra i prigionieri basandosi soltanto sui “crimini” dei quali lo Stato li accusa, attraverso la lente del Codice penale. Ciò crea una gerarchia sociale, secondo la supposta virtù degli atti incriminati, fra chi merita di più di essere liberato o sostenuto e gli altri. Azzerando tutte le secolari critiche anticarcerarie degli anarchici e degli antiautoritari. Si tratterebbe perciò di esprimere la propria solidarietà soltanto nei confronti di prigionieri detenuti a causa delle loro idee, a discapito del resto della popolazione carceraria, completamente dimenticata o utilizzata giusto per avvalorare sulla sua pelle un qualche discorso.

Ma cos’è un prigioniero politico, esattamente? Vediamo dalla parte del dominio: per il Consiglio d’Europa, per esempio, un detenuto deve essere considerato come prigioniero politico se la sua detenzione è stata imposta in violazione di una delle garanzie fondamentali enunciate nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in particolare “la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, la libertà d’espressione e d’informazione e la libertà di riunione e di associazione”. Ma anche se la detenzione è stata imposta per ragioni meramente politiche, senza rapporto con una qualunque infrazione. Ma questo tipo di chiacchiere democratiche concerne gli anarchici?

Per essere chiari, noi sosteniamo che la maggior parte delle detenzioni, oggi come da sempre, sono dovute molto più a contesti e motivi politici che ad infrazioni precise. Perché, anche se in un processo le accuse si appoggiano quasi sempre su fatti precisi, sono pur sempre lo Stato ed il suo sistema giudiziario a decidere in quale misura reprimere questo o quell’atto specifico, questa o quella parte della popolazione. Perché la repressione di tutti gli atti detti “illegali” è cosa chiaramente impossibile tecnicamente. Ciò a causa del numero troppo elevato di leggi, del numero degli effettivi della polizia o di altre motivazioni tecniche, oppure politiche, dato che la tolleranza zero porterebbe con sé maggiori rischi di rivolta. La repressione dell’illegalità (di cui l’incarcerazione è uno dei mezzi) risponde quindi ad una strategia e ad un’agenda politiche.

Forse che non mettono le persone in galera allo scopo di fare salire o scendere le cifre che serviranno alle ambizioni elettorali dei politici, per dimostrare un discorso oppure per gettare polvere negli occhi? Forse che non incarcerano principalmente degli indesiderabili che non vogliono vedere altrove nella società, indesiderabili che molto spesso sono alle prese con le istituzioni repressive a causa della loro povertà e quindi della loro incapacità di difendersi con gli strumenti che la giustizia sostiene “garantire” loro, come gli avvocati, che lavorano solo se vengono pagati caro, oppure le garanzie di reddito e di residenza, un lusso per la maggior parte dei detenuti. Tutto è fatto in modo che le prigioni siano piene di poveri ed esse lo sono, questo è sicuro.

Allora, se la giustizia non può che essere una giustizia della borghesia contro i poveri indocili (o meno), una giustizia di classe, allora quale prigioniero non è un prigioniero politico? Se la prigione ha delle vere funzioni politiche e sociali, come il mantenimento dell’ordine e la pace sociale, allora quale prigioniero non è un prigioniero politico? Per dirla in maniera più semplice, dato che la prigione è uno strumento politico, allora tutti i prigionieri sono dei prigionieri politici. Ed in tal caso, tanto vale buttare il termine nel dimenticatoio della politica, appunto. Perché quest’ultima non è qualcosa che noi rivendichiamo, ma qualcosa che vogliamo distruggere fino alla sua ultima manifestazione.

Per di più, possiamo anche mettere in dubbio questo termine per quanto riguarda i suoi aspetti “innocentisti”. In effetti, viene spesso utilizzato per qualificare il carattere “ingiusto” di una incarcerazione, come spesso avviene con Mumia Abu-Jamal, Georges Ibrahim Abdallah o le Pussy Riot, tanto per utilizzare degli esempi fra i più celebri o mediatizzati al giorno d’oggi. Sovente, questo si palesa attraverso l’insistenza a voler dimostrare che si è “innocenti”, poiché detenuti unicamente a causa delle proprie idee: esigere uno statuto di prigioniero politico significa esigere la libertà d’espressione (o il suo rispetto, in quei paesi in cui essa è già ufficialmente e teoricamente riconosciuta). Ciò comporta l’effetto perverso di giustificare allo stesso tempo la detenzione dovuta a “veri” delitti, che non rilevano di tale libertà d’espressione. Nel caso in cui i prigionieri abbiano con ogni evidenza commesso gli atti di cui sono accusati e li riconoscano, definirli come “prigionieri politici” significa voler provare che quegli atti non erano che una risposta a leggi “ingiuste” ed “illegittime”, come se certe altre (quelle per cui sono rinchiusi gli altri prigionieri) fossero “giuste” e “legittime”. Alla fine, nei due casi si tratta di affermare la loro innocenza rendendoli non responsabili, in una maniera o in un’altra, oppure cercando di rendere i loro atti legittimi agli occhi del nemico. Un approccio che non converrebbe, per esempio, per dei rapinatori, e che ad ogni modo non ha nulla di anticarcerale o di rivoluzionario. Che si tratti di esigere la “libertà d’espressione” o di protestare contro l’”ingiustizia” di una legge, entrambe queste manovre non sono altro che richieste fatte allo Stato in vista di riformarlo, migliorando così il suo dominio sulle nostre vite.

In quanto anarchici, noi non vogliamo entrare in un dibattito politico (con o senza il potere) per definire cosa è moralmente giusto e virtuoso e cosa non lo é. Da buoni profani, lasciamo tutto ciò alla loro giustizia e alle loro chiese di ogni tipo. La sola cosa che ci interessa, quanto alla prigione, è la sua distruzione totale e definitiva, senza trattative e senza transizione. E sarà soltanto attraverso la lotta e la rivolta, all’interno come all’esterno, che vi arriveremo.

Non stiamo dicendo, qui, che tutti i prigionieri meritano la nostra solidarietà incondizionata. Perché non vediamo la solidarietà come un debito o un dovere, ma come un’arma di reciprocità nella guerra contro l’esistente. Ecco perché la nostra solidarietà va a tutti i prigionieri in rivolta che, senza mediazioni, lottano contro le condizioni a cui sono sottoposti, senza particolari distinzioni. Perché se non condividiamo il pensiero o gli atti di tutti i prigionieri e a volte possiamo anche disprezzarli completamente, dobbiamo essere chiari su un punto: ci opponiamo alla detenzione in tutte le sue forme e non la auguriamo nemmeno ai nostri peggiori nemici. La relazione che intratteniamo con i prigionieri in rivolta è, quindi, una relazione interessata, perché si tratta dell’incontro fra interessi che convergono, quelli della rivolta e/o dell’insurrezione. Non è questione di martiri o di grandi abnegazioni… Non si tratta di altruismo, si tratta soltanto di compagni, quindi di complicità, che non dev’essere confusa con la carità.

Certo, è più facile per noi dare la nostra solidarietà a compagni piuttosto che a sconosciuti con cui non abbiamo una storia comune, perché il come e il quando ci sono più facilmente e rapidamente accessibili ed identificabili, ma la solidarietà non deve far prova di oziosità, essa deve oltrepassare le frontiere identitarie dei piccoli gruppi, per allargarsi a tutti i prigionieri della guerra sociale e tendere alla libertà di tutti, altrimenti questa solidarietà non avrebbe nulla di rivoluzionario, sarebbe soltanto un vuoto segno di riconoscimento fra persone avvedute, che non vale più di qualunque altra forma di solidarietà comunitaria e identitaria.

A partire da tutto ciò, quando sentiamo dei rivoluzionari antiautoritari dichiararsi “prigionieri politici”, o peggio ancora esigere tale statuto dal nemico, deploriamo una tale maniera di distinguersi dagli altri prigionieri. Qual è la volontà dietro tutto ciò, se non quella di far valere l’”illegittimità” della propria detenzione oppure chiedere al nemico un trattamento differenziato, dei privilegi o un’amnistia?

Capiamo bene qual è l’interesse ad essere raggruppati fra rivoluzionari, in prigione; la vita quotidiana vi è più fluida e i prigionieri potrebbero probabilmente capirsi meglio (ma perché, esattamente?). Ma, d’altro canto, il separarsi dagli altri detenuti è davvero una buona idea per un agitatore rivoluzionario, qualcosa che molti fanno già fuori rinchiudendosi in modi di vita comunitari, all’interno di centri sociali e contro-culturali in ambienti sclerotizzati di consanguineità?

D’altra parte non è un caso se, come si può vedere in Grecia o in Italia, lo Stato ha piuttosto una tendenza a raggruppare i prigionieri anarchici fra di loro, separati dagli altri detenuti. Si tratta proprio di evitare che le loro idee e le loro pratiche di rivolta e di lotta si diffondano fra il resto della popolazione, di evitare l’infezione. Si tratta di assicurare la pace e l’ordine separando quelli che, riuniti, potrebbero far sudare ancor di più le amministrazioni penitenziarie.

Noi rifiutiamo, quindi, tale distinzione fra “prigionieri politici” e “prigionieri di diritto comune”, poiché essa diventa per forza una giustificazione del sistema carcerale. Perché non ci sono prigionieri politici, oppure tutti i prigionieri sono politici, quindi nessuno.

Solidarietà con i prigionieri e le prigioniere della guerra sociale,
libertà per tutti e tutte.

Alcuni anarchici antipolitici ed antisociali per l’infezione.

[Tratto da Des Ruines, Revue anarchiste apériodique, n. 1, gennaio 2015.]

Francia: Attaccata la sede del partito UMP di Tolosa

Martedì 14 aprile 2015 la sede del partito Unione per un Movimento Popolare (UMP) di Tolosa è stata espulsa.

Il Comune UMP di Calais mena da diversi anni una politica razzista e securitaria contro i poveri e in particolare i/le migranti. Ultimamente ha aperto un centro d’accoglienza diurno con lo scopo di allontanare i/le migranti dal centro città e poterli/e quindi controllarli/e meglio. In queste ultime settimane ha fatto di tutto per costringerli/e a radunarsi in un’ex discarica non lontano dal centro diurno. L’8 aprile 2015 dei consiglieri UMP, spalleggiati da alcuni impiegati comunali, sono andati in uno squat di migranti a Calais e hanno obbligato gli/le occupanti ad andarsene. Poi hanno devastato la casa per renderla inabitabile.

IL COMUNE UMP DI CALAIS ESPELLE!

Anche a Tolosa il Comune UMP designa dei capri espiatori, che si tratti dei/lle giovani dei quartieri, delle prostitute, di chi ha dei problemi di alloggio. Ogni volta questo partito basa la propria legittimità sulle opposizioni di classe, razza, sesso, scegliendo orgogliosamente il campo degli oppressori. E così un gruppo si è introdotto nella sede UMP in pieno cuore di Tolosa, per ricordargli il loro sporco lavoro. Il mobilio è stato spostato in strada, i dossiers sono stati un po’ sparpagliati, la facciata ridipinta : niente in confronto a quello che subiscono ogni giorno i/le migranti di Calais (pressioni, trasferimenti forzati, espulsioni, molestie da parte delle forze dell’ordine e dell’amministrazione).

Oggi il bersaglio è stato l’UMP ma non dimentichiamo la responsabilità del PS, dello Stato o dei fasci.

Di notte o in pieno giorno, da soli/e o in 300, ognuno/a di noi può agire!

Qui sotto, il volantino distribuito durante il trasloco forzato dell’UMP:

L’UMP di Calais espelle!
Espelliamo l’UMP !

In Francia, come altrove, migliaia di migranti fanno le spese della guerra ai poveri intrapresa dagli Stati, e ormai da tutta l´Europa. Costretti a lasciare il loro paese – fin troppo spesso a causa dei disordini provocati dall’avidità delle potenze occidentali – queste persone si ritrovano braccate dalla polizia, esposti a pericolo di morte quando tentano di attraversare una frontiera, e disprezzati da tutte le amministrazioni. Mentre la situazione peggiora, alcuni/e ritengono che non tutte le vite hanno lo stesso valore: questo permette loro di sottrarsi alle loro responsabilità. Noi urliamo il contrario: nessuno è illegale, tutti/e i/le rifugiati/e sono i/le benvenuti/e.

A Calais, il comune UMP cerca di approfittare di questo stato di cose in maniera oscena. Favorisce in ogni modo il razzismo nei confronti dei e delle migranti, quando non manda semplicemente i propri impiegati comunali a fare lo sporco lavoro di espulsione generalmente riservato ai poliziotti. Questo partito nauseabondo tenta di approfondire la spaccatura tra i diversi popoli in funzione del colore della loro pelle, della loro lingua o del loro paese di origine.

Oggi prendiamo di mira questo covo di reazionari: se questa volta i poliziotti non hanno nemmeno dovuto espellere manu militari, la pressione esercitata sui sans-papiers resta comunque inammissibile. Ma che sia ben chiaro, sarebbe assurdo additare un partito politico come unico responsabile. In effetti la prefettura “socialista” del Pas-de-Calais non è da meno quando si tratta di mandare i propri scagnozzi in uniforme a terrorizzare le migranti e i migranti. Non ci aspettiamo niente dai politici, che non trovano niente di meglio che aizzarci gli uni e le une contro gli altri. In compenso pensiamo che la solidarietà tra chi subisce la violenza dello Stato è l’unica riposta adeguata al loro cinismo.

Attaccheremo i responsabili e le strutture che appoggiano tali iniquità.
Continueremo a combattere il razzismo, ovunque si trouvi.

Abbasso le frontiere!
Morte agli Stati e alle nazioni!

fonte: indymedia nantes

Lille: Vernice contro la gentrificazione

Vernice contro il comune, la gendarmeria, la “casa dell’hip-hop” e l’istituto Pasteur.

Nella notte tra il 23 e il 24 marzo le facciate del comune, della gendarmeria, della Mangusta (un tempo casa occupata) e della “casa dell’hip-hop” sono state attaccate a colpi di vernice. Abbiamo scelto questi bersagli perché ci opponiamo alla riabilitazione dei quartieri popolari e alla politica municipale di espulsione dei poveri per rendere i quartieri più appetibili agli occhi dei promotori immobiliari.

Lo Chti d’Arras, storico luogo di attività e di vita occupato illegalemente da diversi anni (e dove si tenevano concerti e altri eventi hip-hop) è stato espulso e sostituito dalla “casa dell’hip-hop” o “Centro Europeo di Cultura Urbana”. Un buon metodo per il comune di recuperare quello che già esisteva senza il suo aiuto, svuotarlo di tutto quello che aveva di sovversivo, e trasformarlo in un prodotto cultural-commerciale.

Numerose pratiche contrastano di fatto questa logica. Che si tratti di occupare terreni, immobili o case vuote, o attraverso lo sciopero degli affitti, alloggiare o sperimentare nuovi rapporti sociali, ci si ritrova rapidamente di fronte alla repressione. Lo dimostra la recente espulsione della Mangusta (edificio vuoto da diversi anni e di proprietà dell’istituto Pasteur), squat che si trovava in pieno centro di Lille, molto visibile, aperto a tutto il quartiere e quindi fastidioso per il comune. I mezzi dispiegati in questa occasione (presenza importante delle forze di polizia, quartiere bloccato per tutta la mattina) mostrano in effetti la volontà di stroncare alla radice ogni iniziativa di organizzazione che non sia loro subordinata. Esistono ancora diversi luoghi occupati, in particolare l’Insoumise (libreria d’occasione che propone numerose discussioni, proiezioni etc), che sono anch’essi espulsabili.

Non abbiamo intenzione di lasciarli fare, e non aspettiamo né il loro permesso né il diritto di farlo. Non otterremo che quello che sapremo prenderci. Facciamo appello alla solidarietà di tutti/e coloro che lottano e subiscono la politica economica e sociale dello stato e dei suoi sbirri.

Guerra a questo vecchio mondo. ACAB.

fonte: indymedia lille (via attaque)

Cile: Contro la società carceraria, né silenzio, né dimenticanza, solo lotta

10-20 aprile. Giornate di solidarietà con i/le prigionierx della guerra sociale nelle carceri cilene.

Appello:

* A tuttx i/le nostrx fratelli/sorelle, compagn*, familiari e amori.

* Alle complicità multiformi del mondo intero che attaccano il presente di sfruttamento e povertà, di dominazione, di capitale e di morte.

* A tuttx i/le prigionierx sovversivx, autonomi, libertari/e, rivoluzionari/e, anti-autoritari/e che non negano i loro legami né le loro convinzioni e resistono quotidianamente e degnamente, non solo con le parole ma anche con azioni concrete.

“Chi ha paura della libertà sente l’orgoglio di essere schiavo”
–M. Bakunin

La lotta contro il potere della dominazione e tutti gli apparati simbolici, soggettivi, tangibili e di valori che lo sostentano e sostengono richiede innanzitutto quella decisione individuale, radicale e irremovibile di portare la tensione in tutti gli spazi della vita, rendendo quest’ultima un continuo percorso di liberazione. È chiaro che arrivare a questa convinzione, decisione, scelta implica un processo che ognuno vive in maniera unica e irripetibile a seconda del contesto e le circostanze nelle quali abbiamo aperto gli occhi per lottare. camminare verso l’emancipazione come principio guida per la distruzione della società di classe non è un processo immediato, né in solitario, anche se può essere individuale, grazie all’incontro delle idee costruiamo legami che ci rendono fratelli nella pratica, producendo punti di affinità, incluso con menti coscienti che non conosciamo direttamente ma coi quali intraprendiamo un percorso comune.

Ma quando lo spettacolo sociale della non-vita che chiamano democrazia ti offre la sua indignata possibilità di partecipazione cittadina attraverso tutti i suoi apparati di controllo, quello che in fondo cerca è di annullare fin nel più profondo di ogni coscienza la possibilità, certa, di ribellione. Allora, di fronte ai molteplici formati dell’ideologia dello Stato-prigione-capitale, opporre la resistenza offensiva delle nostre convinzioni significa scavalcare ogni margine, muraglia o frontiera in cui vorrebbero farci vivere l’accettazione cieca dei suoi marci rapporti di potere, della loro morale nauseabonda, della loro politica e la loro visione del mondo.

Allo stato attuale delle cose, resistere offensivamente implica chiaramente passare dalla parola all’azione, dalla mera dichiarazione alla lotta ribelle contro l’ordine esistente, dalla semplice critica priva di contenuto alla proliferazione dell’antagonismo in vista della rivolta.

In questo modo noi che cerchiamo di riprendere in mano le nostre vite spezzando le catene che ci opprimono stiamo stati esposti allo scacco matto repressivo e mortifero dello stato. La legge del potere, sempre disposta a difendere la dominazione, viene ben oliata per condannare e castigare chi si ribella. Approfondire la conseguente coerenza fra teoria e pratica ci ha fatto passare per gli angoli più bui dell’architettura poliziesca-penitenziaria dello Stato-Capitalista. Non siamo stati né i primi né i soli, e non saremo gli ultimi… Eppure, nella particolarità presente dell’attuale universo di prigionieri in guerra si esprimono diverse esperienze di resistenza alla detenzione dalla fine degli anni 80 nelle demenziali prigioni di alta e massima sicurezza in Cile, Perù, Brasile e Argentina fra gli anni 90 ed oggi. Attraverso processi giuridico-politici modellati e falsificati in funzione degli interessi contro-insurrezionalisti… La tortura e la repressione diretta hanno fatto una costante della criminalizzazione di famiglie e affetti dei diversi ambienti, cosa che invece di spaventarci, ha rafforzato quella forza vitale che ci ha fatto insistere e continuare in quanto individui al di là delle etichette caricaturali divenute da parte dell’eterna diffamazione giornalistico-poliziesca, e incluso il settarismo di sinistra e anarchico che non fa che scomporre, dividere e frazionare i continui tentativi di allargare la frangia insorta su cui si fondono esperienze diverse che promuovono l’autonomia, l’azione diretta, il mutuo sostegno, l’affinità e l’orizzontalità nella lotta per la liberazione totale.

La realtà dei prigionieri in guerra nelle carceri cilene non può essere distorta. Nel giorno dopo giorno c’è lotta, non c’è silenzio, e ancor meno oblio. Diverse generazioni di sovversivi che si incontrano con sguardi simili in questo presente di lotta. Ed è per questo che, contribuendo alla rottura della frammentazione degli spazi affini e vicini ad ogni prigionierx, vogliamo provocare passi d’avvicinamento concreto attorno a punti comuni minimi in seno a uno scenario profondamente sfavorevole, ma che non sarà mai un ostacolo per contribuire individualmente alla collettivizzazione della lotta a tutti i livelli della realtà. In questo contesto, lanciamo un aperto appello a estendere tutte le iniziative possibili di lotta contro tutte le espressioni della società carceraria. Chiamiamo a mobilizzare la fantasia, la volontà e la voglia, fra il 10 e il 20 aprile.

Salutiamo le lotte dignitose che nel presente si sono moltiplicate nelle prigioni greche, capitoli che dalla vicina distanza accompagniamo con sincero affetto.

Salutiamo anche il Messico Nero, che si alza e cresce nella lotta anti-autoritaria, ai/le compagnx in prigione che attraverso i loro scritti e le loro lotte sono sempre nei nostri cuori.

Salutiamo i/le prigionierx anarchici/che nelle prigioni italiane, ai nostri fratelli e sorelle Francisco e Mónica in Spagna e ai compagni arrestati durante la cosiddetta operazione Pandora.

Salutiamo la dignitosa resistenza di Mauricio Hernández nonostante il regime di punizione demenziale cui è sottoposto da 13 anni nelle prigioni brasiliane.

Salutiamo i prigionieri autonomi mapuce e la loro lotta ancestrale per la libera determinazione.

Salutiamo Juan Flores et Nataly Casanova, processati con la macabra legge antiterrorista, della democrazia che tutto  lo permette… A Diego Ríos, arrestato di recente.

Abbracciamo tuttx i/le prigionierx dignitosx in tutte le Gabbie del Pianeta, i/le fuggitivx, i/le nostrx mortx.

Con speciale affetto eterno a Eduardo e Rafael Vergara, a Paulina Aguirre, a Norma Vergara, a Johny Cariqueo, Zoé Aveilla, Lambros Foundas, Mauricio Morales, Sebastián Overluij e Sergio Terenzi…

GIOVENTÙ COMBATTENTE: INSURREZIONE PERMANENTE

FINCHÉ ESISTERÀ MISERIA, CI SARÀ RIBELLIONE

CONTRO TUTTE LE AUTORITÀ GUERRA SOCIALE

SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE E RIVOLUZIONARIA PER LA DEMOLIZIONE DELLE PRIGIONI

-Tamara Farías Vergara
-Alejandro Astorga Valdés
-Carlos Gutierrez Quiduleo
-Juan Aliste Vega
-Freddy Fuentevilla Saa
-Hans Niemeyer Salinas
-Marcelo Villarroel Sepúlveda
-Alfredo Canales Moreno

Uscita del numero 5 di Fenrir

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E’ disponibile il 5° numero di “Fenrir”, pubblicazione cartacea anarchica ecologista di supporto ai/le prigionierx, azione diretta, aggiornamenti e analisi sulle lotte anarchiche e di liberazione animale, umana e della terra in tutto il mondo. 72 pagine formato A4.

In questo numero trovate:

– Editoriale
– Se non ora quando? Azioni dirette antiautoritarie nel mondo
– Ricordando Angry
– Si vede più chiaramente al buio… Chiudere le centrali nucleari, staccare la spina al capitalismo e allo Stato
– Individualità tendenti al selvaggio
– Victor Serge, “L’individualista e la società”
– Sabotaggio amico del popolo?
– Tensione individualista e tensione sociale
– Bruno Filippi, “Il me faut vivre ma vie”
– Collasso
– Lettere dal carcere
– Dopo il carcere. Intervista con Jeffrey “Free” Luers
– Tensione sociale e intervento anarchico in Svezia
– Contorni della lotta contro la costruzione di una maxi-prigione a Bruxelles
– Notizie dal necromondo
– La rivolta degli smartphones
– Aggiornamenti sui/le prigionierx e sulla repressione di Stato
– Letture consigliate

Per ricevere una o più copie scrivici: fenrir@riseup.net

Aiutaci a distribuire “Fenrir”, se hai una distro o vuoi un po’ di copie, contattaci!

Il costo è di 3 euro a copia, oppure di 2 euro per ordini di 5 o più copie.

Grecia: Fine dello sciopero della fame della CCF

Tramite un comunicato del 04.04.15, i membri incarcerat* della Cospirazione delle Cellule di Fuoco hanno annunciato che cessano lo sciopero della fame, considerando che la domanda di liberazione dei loro familiari è stata soddisfata :

Quello di oggi è un giorno che apre una breccia nei muri del mondo carcerario che ci circonda. Dopo 32 giorni di sciopero della fame, la madre di Christos e Gerasimos Tsakalos, come anche la compagna di Gerasimos, varcheranno fra poco la porta della prigione, nuovamente liber*. […]

Questa vittoria non è solamente il risultato dello sciopero della fame della Cospirazione delle Cellule di Fuoco. È la vittoria di tutta la gente solidale che ha spezzato la tranquillità sociale con attacchi incendiari, occupazioni, sabotaggi, cortei, riunioni, interventi improvvisati, e ha trasformato le città in terreni di momenti insorti e i palazzi occupati in laboratori vivi di situazioni sovversive. […]

Oggi smettiamo il nostro sciopero della fame, dopo aver vinto gli spaventapasseri del Potere che volevano che i nostri familiari fossero messi in carcere, PERÒ nello stesso momento lo sciopero della fame degli altri prigionieri politici continua per ottenere le rivendicazioni più ampie che hanno messo sul tavolo. I prossimi giorni sono critici, quanto per la loro salute come per la scommessa della lotta anarchica totale. […]

FORZA E SOLIDARIETÀ con il compagno anarchico Nikos Maziotis, membro di Lotta Rivoluzionaria, e con la Rete dei Combattenti Imprigionati.

VITTORIA DELLA LOTTA DELLO SCIOPERO DELLA FAME


TUTTO CONTINUA

Cospirazione delle Cellule di Fuoco – FAI/FRI
Nucleo in carcere
04.04.2015

Nuova edizione di «Ai ferri corti»

Nuova edizione di «Ai ferri corti»

Pubblicato nel maggio 1998 dalle edizioni NN, create sette mesi prima da alcuni anarchici che avevano partecipato all’esperienza del settimanale Canenero, questo libello nel corso di 17 anni ha fatto il giro del mondo, essendo stato tradotto in spagnolo, portoghese, inglese (con edizioni sia nel Regno Unito, che negli Stati Uniti, che in Australia), francese, olandese, tedesco… Poiché ha alimentato molte riflessioni, fornito spunti, rafforzato inclinazioni, sollevato dubbi, nonché provocato irritazioni (il concetto di «esistente» soprattutto, nella sua prorompente totalità, si è rivelato piuttosto indigesto a chi aspira ad amministrare almeno qualcosa di ciò che è Stato), si può affermare che nel suo piccolo Ai ferri corti abbia dato il proprio contributo alla diffusione di una prospettiva anarchica insurrezionale autonoma. Una prospettiva al tempo stesso irriducibilmente ostile ai «piccoli passi riformatori» e per nulla affascinata da «una rivolta per pochi intimi a suon di fuochi pirotecnici e slogan mal assemblati». Nate dal rifiuto della falsa alternativa riformismo cittadinista o lottarmatismo avanguardista, queste pagine sostengono perciò la necessità e la possibilità immediata di una poesia insurrezionale fatta da tutti, da non confondere né con la triste propaganda politica né con il roboante comunicato rivendicazionista.

Considerata la sua discreta fortuna internazionale stona quindi che Ai ferri corti non sia più stato ristampato laddove è apparso per la prima volta. Eppure, è proprio in Italia che questo testo ha avuto minore risonanza, vittima dei pregiudizi e dei rancori “identitari” nutriti da gran parte del cosiddetto movimento nei confronti dell’ambito in cui è sorto, nonché di un sostanziale disinteresse verso qualsivoglia approfondimento e dibattito critico in merito. Nel 1998 infatti l’ipotesi insurrezionale veniva guardata con una certa commiserazione dai militanti delle varie scuole — tutti vogliosi di un pacifico «esodo» verso una «sfera pubblica non-statale» — i quali nel migliore dei casi la consideravano una fortuna che poteva capitare in un Chiapas esotico e, nel peggiore, un cataclisma che poteva colpire una rozza Albania. Come se l’insurrezione fosse in grado di sollevare la questione sociale solo a distanza di un oceano, e per lo più attraverso organizzazioni autoritarie, costretta invece in Europa a manifestarsi in effimere e spaventose esplosioni di cieco furore. Tralasciando di soffermarsi su ogni possibile distinzione fra insurrezione, moto e sommossa, quanto accaduto in questi ultimi 17 anni ha fatto sì vacillare tale convinzione, ma senza riuscire a smentirla del tutto. Per quanto inebriante nella sua persistenza, il fuoco greco sembra essere una eccezione in mezzo alla norma di «primavere arabe» o «territori liberati curdi» da una parte, e racaille francesi o riot inglesi dall’altra.

Ciò detto, è innegabile che le forti convulsioni di cui è preda l’intero ordine sociale all’inizio di questo terzo millennio abbiano spento il sorriso di sufficienza di molti sovversivi davanti a chi osa evocare qui ed ora l’insurrezione. Gli scettici di ieri si sono trasformati in entusiasti di oggi al punto da farla diventare addirittura un best-seller internazionale sul mercato editoriale, e mediatico, e militante. Il motivo è facile da capire: la pace sociale che ha accompagnato gli anni 80 e 90, nei suoi aspetti più tronfi e compiaciuti, è terminata. Le ricchezze virtuali non sono in grado di compensare le miserie reali, gli scaffali dei supermercati potranno anche scintillare di merci ma il loro consumo non è più accessibile a chi si trova costretto a tirare la cinghia. Ovvero, a quasi tutti. Oggi la servitù volontaria rimane certo maggioritaria, solidamente maggioritaria, ma ha perduto la sua aria di beota innocenza. Il malcontento, il malessere e l’indignazione si diffondono ovunque in maniera inarrestabile, causando preoccupazioni, panico, ma anche qualche speranza di riscossa. Questi sentimenti di frustrazione verranno pacificati in una nuova coesione sociale istituzionale oppure, dinanzi all’implacabile susseguirsi di «scandali politici», «crisi finanziarie», «catastrofi ecologiche», «guerre religiose»… si scateneranno infine in un’ostilità generalizzata?

Ma allora, se l’ipotesi insurrezionale è tornata all’ordine del giorno, perché proprio in Italia Ai ferri corti sembra non aver lasciato traccia e ricordo nemmeno fra gli stessi anarchici?

Ai ferri corti
pag. 48, 2 euro
l’oro del tempo

[oltre le 5 copie, sconto 50%]
Richieste a: lorodeltempo@gmail.com

1 Aprile 2015: Chiamata alla solidarietà rivoluzionaria con i prigionieri in sciopero della fame in Grecia

A tutt’oggi i compagni anarchici imprigionati e membri del DAK (Rete dei Combattenti Imprigionati) Antonis Stamboulos, Tasos Theofilou, Giorgos Karagianidis, Dimitris Politis, Fivos Harisis, Argyris Ntalios, Andreas-Dimitris Bourzoukos, Grigoris Sarafoudis e Yannis Michailidis, i membri di Lotta Rivoluzionaria Nikos Maziotis e Kostas Gournas, il membro della 17 Novembre (17N) Dimitris Koufontinas, alcuni prigionieri politici turchi nonché i prigionieri Giorgos Sofianidis e Mohamed-Said Elchibah ci troviamo in sciopero della fame, combattendo contro lo stato d’eccezione repressivo e legislativo che è stato implementato da parte dello Stato greco a partire dall’anno 2000.

A partire dal 2 Marzo 2015, ed insieme ai compagni ed alle compagne che si trovano fuori le mura del carcere, abbiamo iniziato una lotta per l’abolizione delle carceri di massima sicurezza di tipo C, per l’abolizione della legge antiterrorista, della legge sul cappuccio, per un cambiamento fondamentale del processo di presa ed analisi delle tracce di DNA e per il rilascio del membro della 17N Savvas Xiros, che è gravemente malato.

La nostra lotta per la soddisfazione di queste richieste è una lotta contro il nucleo centrale dello stato d’emergenza. E’ una lotta contro il nucleo centrale del nuovo totalitarismo, che è stato applicato da 15 anni sia da parte dello Stato greco, che da tutti gli altri Stati a livello globale.

Dal momento che riconosciamo come il punto focale dei disegni del dominio trascenda gli stretti confini geografici degli Stati, chiamiamo tutti i compagni e le compagne a dare supporto alla nostra lotta.

Chiamiamo tutti i compagni e le compagne ad agire in solidarietà il 1 Aprile, mandando un segnale di unità rivoluzionaria.

Vittoria per la lotta di coloro che stanno portando avanti lo sciopero della fame

Immediata accetazione di tutte le richieste

Per la distruzione dello Stato e del Capitale

DAK: Rete dei Combattenti Imprigionati

Grecia: Vittoria per la lotta condotta dai prigionieri in sciopero della fame

Dal 2 marzo in poi, dozzine di prigionieri politici stanno facendo lo sciopero della fame per protestare contro la “crociata antiterrorismo”, espressasi nella forma dei fondamenti repressivi/legali speciali consolidati negli ultimi anni e il regime ora permanente dello “stato costante d’emergenza”, come pure la detenzione dei loro famigliari.

Noi, come “Assemblea di solidarietà con i prigionieri in sciopero della fame” appoggiamo con tutte le nostre energie la lotta dei prigionieri politici e ci battiamo con loro per:

– il ritiro della legislazione speciale antiterrorismo e, in particolare, delle leggi sulle organizzazioni criminali e terroriste (art. 187 e 187 A).
– il ritiro delle leggi repressive speciali (legge sul cappuccio).
– l’abolizione delle carceri di tipo C che costituiscono l’ultimazione della separazione e dello stato d’esclusione dei prigionieri politici.
– la definizione dell’uso e dell’esame del DNA come prova legale.
– l’immediata liberazione di Savvas Xiros, lentamente annientato in questi 13 anni dalla vendetta di Stato, malgrado la sua disabilità al 98%.
– l’immediato rilascio dei famigliari dei membri appartenenti alla Cospirazione delle Cellule di Fuoco (CCF).

Lo sciopero della fame condotto dai prigionieri politici è inscindibilmente connesso con la lotta di ieri e di domani. I prigionieri politici sono prigionieri di guerra in lotta contro lo Stato e il Capitalismo, in prima linea in questa lotta.

Lottare fine alla demolizione di ogni prigione rimasta
Libertà per i prigionieri politici

Assemblea di solidarietà con i prigionieri in sciopero della fame (Atene)

aggiornamenti sugli scioperi della fame

[Grecia] Nikos Romanos: Sullo sciopero della fame dei prigionieri politici

Il 2 marzo 2015, anarchici/prigionieri politici hanno iniziato uno sciopero della fame con richieste riguardanti il contesto repressivo prodotto dalla crociata antiterrorismo che procede regolarmente, malgrado il governo di sinistra dei mercanti di speranza. I compagni anarchici riuniti nella Rete dei Prigionieri Combattenti (DAK) e i compagni Maziotis, Koufontinas e Gournas hanno ricostruito un quadro generale che descrive lo sviluppo della repressione negli ultimi anni. Ecco perché ogni loro richiesta separatamente smantella il regime emergenziale e la sua espressione basilare: nient’altro che repressione. Con l’elezione di SYRIZA molti compagni, me compreso, hanno ritenuto fosse necessario provocare da un punto di vista anarchico, per costringere SYRIZA a rivelare il suo vero volto. Quello del capitalismo, della direzione dei poteri moderni, dei servi del capitale.

Inoltre, a questa mascherata con ospiti di tutti periodi storici, gli spettatori sono costretti a scoprire che dietro le maschere si nasconde il volto del potere che non può essere migliorato né riformato, solamente distrutto attraverso una lotta continua con ogni mezzo. E facciamolo sapere a tutti gli anarchici che si sono fatti attrarre dalle urne per dare il voto a SYRIZA.

Ma, come tutti noi ben sappiamo, era evidente che SYRIZA si tramutasse rapidamente dall’essere braccio istituzionale delle lotte sociali e retorica tollerabile per il realismo di governo del periodo pre-elettorale.

Questo perché l’ondata repressiva a livello internazionale che spazza tutto al suo passaggio, è implicitamente legata alla crisi strutturale del capitalismo e alla sua ricostruzione a tutti i livelli della vita sociale. La questione centrale del dominio sui suoi subordinati continua. Dopo essersi comprata la loro coscienza offrendo loro tessere per accedere al paradiso capitalista tramite prestiti bancari, ora si sta cercando di garantire la loro fiducia nel fatto che la democrazia è senza vicoli ciechi. Naturalmente, il cammino per l’inferno è sempre ricco di buone intenzioni. E non è né la prima né l’ultima volta che la Sinistra da un contributo essenziale all’indirizzo strategico nel dominio del mondo. Così, l’ultimo atto compreso nel puzzle repressivo si è avuto con l’arresto della compagna Aggeliki e con i pogrom  dell’Agenzia antiterrorismo diretti contro i parenti e gli amici dei prigionieri della Cospirazione delle Cellule di Fuoco.

Quelli che hanno trascorso parte della propria vita dietro le mura, possono facilmente cogliere la grandezza del ricatto emotivo prodotto dal vedersi accanto i propri cari nella ripetizione monotona quotidiana della prigionia dietro le sbarre. Un vero incubo istigato dall’Agenzia antiterrorismo e dai giudici. E se devono essere sollevati dal costo personale, il prezzo politico va fatto ricadere sui loro responsabili politici. E per far finta che abbiano l’onore, lasciamoli pure alzare i pugni quando sarà il momento. Così, lo sciopero della fame dei prigionieri membri delle CCF e il suo esito vincente comporteranno il blocco  della vendetta persecutoria contro i parenti dei detenuti che si ribellano. Allo stesso modo, la vittoria dei compagni di DAK e di Maziotis, Koufontinas e Gournas porrà maggiore ostacolo di fronte all’attacco del dominio contro i suoi oppositori politici. Quindi, in questo contesto, è grande l’importanza della lotta dei prigionieri che si ribellano e del movimento di solidarietà.

La possibilità di aprire crepe non solo nelle mura delle prigioni, ma nell’autorità medesima (e nella sua immagine) progredisce. Capiamo le circostanze, coordiniamo le nostre azioni, uniamo gli sguardi e la passione contro ogni autorità, di qualunque origine e retorica. Perché chi ama la libertà e odia l’ingiustizia cercherà sempre dei modi per distruggere le prigioni.

NESSUNA TREGUA CON LA CIVILTA’ DELLO SFRUTTAMENTO
VITTORIA PER LA LOTTA DEI PRIGIONIERI CHE SCIOPERANO
IMMEDIATA SODDISFAZIONE DELLE LORO RICHIESTE

Nikos Romanos
sezione E del carcere di Koridallos
15 marzo 2015

Grecia: Testo redatto da Nikos Maziotis sulle elezioni tenutesi il 25 gennaio 2015 e sulla coalizione di SYRIZA e ANEL

Le elezioni del 25 gennaio sono uno dei maggiori “trionfi” della democrazia civile. Sono state anche la prova del discredito cui è giunto un sistema politico marcio in cui oltre 1/3 dell’elettorato ha voltato le spalle alla “festa” della democrazia e non ha votato. Su circa 9.800.000 aventi diritto al voto, vi ha partecipato il 63,5%, vale a dire che i voti validi sono stati circa 6.180.000, mentre i rimanenti 3.620.000, pari al 36,5%, non sono andati a votare. Di tutti i votanti, SYRIZA ha ottenuto il 36% pari a circa 2.200.000 voti, cioè il governo di SYRIZA si è basato sul voto di ¼ dell’elettorato.

Trattasi, pertanto, di un trionfo “a prevalenza popolare” e caratterizzato dalla centralizzazione democratica! Infine, non è la maggioranza a “governare”  tramite i propri rappresentanti, come dovrebbe essere, ma la minoranza. Ancora una volta si è dimostrato che il sistema politico basato sul parlamentarismo civile è discreditato da milioni di cittadini. È stato esattamente provato che, a causa del discredito verso il sistema politico come risultato della crisi economica, tutti i governi succedutisi negli ultimi anni sono governi di minoranza e che ora confidare in se stessi è impossibile. In realtà si potrebbe dire che il potere principale sia nelle mani di quelli che si astengono dalle illusioni elettorali e dai circoli organizzati di impostori e truffatori di professione, a destra e a sinistra.

Milioni di cittadini non sperano e non si aspettano niente da qualunque partito politico. Ma la rabbia e il risentimento, se non accompagnati da azione politica attiva per il rovesciamento del potere dell’élite economica sovranazionale e del parlamentarismo civile che la sostiene, non porta risultati. Usciremo dall’attuale stato di sofferenza solo se la rabbia e il risentimento di milioni di cittadini si trasformerà in un’azione politica dinamica. Ovvero, in un’ampia tendenza di classe e sociale che si ponga la prospettiva rivoluzionaria, il sovvertimento armato e violento del Capitalismo e dello Stato nella prospettiva della democrazia diretta in cui, invece di affidare le questioni sociali a politici di professione, queste sono affrontate tramite strutture autogestite. Come ci si aspettava, i risultati delle elezioni del 25 gennaio hanno prodotto un governo  di coalizione di sinistra e destra.

Perché, come si potrebbe definire diversamente ANEL (partito dei “Greci Indipendenti” con cui l’ala destra di SYRYZA ha formato la coalizione), se non un partito proveniente dal profondo della destra nazionalista tradizionale? Ha un programma di estrema destra basato su dogmi ortodossi e nazionalisti quali “nazione-religione-famiglia”, una linea politica caratterizzata da autoritarismo dello Stato, dai dogmi incentrati su ordine e disciplina, da crescente intolleranza, retorica della teoria della cospirazione e della paura e dall’atteggiamento favorevole al pugno di ferro contro quelli considerati pericolosi per il Paese, cioè gli immigrati, gli anarchici, i combattenti della lotta armata.

Mancano solo le svastiche. Ma la sete di autorità di quelli di SYRIZA e di ANEL ha reso possibile questo strano coniugio fra sinistra ed estrema destra, fondato in modo sporco su un nebuloso blocco anti-memorandum, cosa mai vista prima non solo in Grecia, ma anche a livello internazionale. Ma pure il partito nazista “Alba Dorata” è giudicato un partito anti-memorandum. Contrariamente a SYRIZA è fermamente contro la UE. La stragrande maggioranza dei suoi votanti proviene dall’area della destra nazionalista tradizionale, delusa dal partito di “Nuova Democrazia” (corrente di destra del governo uscente), fino a poco tempo fa espressione della maggioranza di quest’area, parte della quale da sempre ha considerato i collaborazionisti e i traditori (dell’occupazione nazista), i “Chites” (membri del gruppo militare “X”che ha cooperato con i nazisti durante l’occupazione della Grecia) e i componenti del “Battaglione di Sicurezza” (gruppi paramilitari che hanno operato a stretto contatto con le forze italo-tedesche durante l’occupazione della Grecia) dei “patrioti greci” che hanno salvato il Paese dal comunismo, alleandosi con i tedeschi.

Molti degli elettori di ANEL hanno la stessa opinione. Perciò è un paradosso che, mentre parecchi, anche anarchici, hanno votato per SYRIZA come baluardo contro l’estrema destra, SYRIZA  stia cooperando con parte dello schieramento politico di estrema destra per governare. È un dato di fatto che molti hanno votato SYRIZA per la disperazione, credendo di scegliere il minore dei mali. E lo stesso avviene per quegli anarchici che, tradendo i propri valori hanno votato SYRIZA perché aveva promesso di abolire le carceri di massima sicurezza di tipo C contro i prigionieri politici e i combattenti della lotta armata, hanno creduto a un’attenuazione dello stato di oppressione da parte del nuovo governo rispetto alle mobilitazioni e manifestazioni. Ma anche se il governo di SYRIZA-ANEL con una mossa tattica dovesse abolire le carceri di tipo C, ciò non scuserebbe il voto e il tradimento dei valori anarchici rivoluzionari.

Questo perché le conquiste si ottengono lottando come ha mostrato la storia del movimento rivoluzionario, non tramite le concessioni di ogni autorità competente per motivi tattici, che in tal caso al fine di assimilare l’area anarchica-antiautoritaria, sa come usare la carota e se necessario il bastone. I voti degli anarchici per SYRIZA sono stati comprati. È un fenomeno ridicolo vedere anarchici che manifestano con settori giovanili del partito di governo che ha cooperato con membri di estrema destra di ANEL in occasione dell’anniversario riguardante l’incidente di Imia, contro il raduno di “Alba Dorata”.

Sono i movimenti che hanno sviluppato la lotta antifascista, la lotta antifascista armata, come gli anarchici in Spagna nel 1936, non i governi eletti. Ora lo stato di coalizione dato da SYRIZA e dall’estrema destra di ANEL è “antifascista”!! Così come il governo Samaras era presumibilmente “antifascista”, perché ha imprigionato membri di “Alba Dorata”!! In realtà, tutti quelli che si considerano contestatori o anarchici e hanno votato, non hanno dato prova di una buona manovra tattica, ma della loro debolezza politica e della mancanza di volontà politica nel contribuire alla creazione di un movimento rivoluzionario anticapitalista capace di sovvertire il regime, responsabile della crisi e dei mali che ha provocati.

Con il loro atteggiamento, tutti quelli che si considerano contestatori o anarchici e hanno votato hanno dimostrato di essere stati assimilati e di accodarsi al governo, stampella di sinistra del capitalismo. Naturalmente hanno dimenticato lo storico slogan che lanciavamo alle manifestazioni “I padroni sono sempre gli stessi, sia a destra che a sinistra”, L’avvento al potere di SYRIZA non cambia la posizione di quegli anarchici che si considerano coerenti e si dedicano alla lotta per la rivoluzione, la lotta per la sovversione del Capitale e della Stato e in questa lotta SYRIZA, come ogni governo, si frappone come ostacolo e nemico.

Come ho precisato nel testo “La soluzione non si ha con le elezioni ma con il popolo in armi”, sarà breve la durata della coalizione SYRIZA-ANEL e avrà la stessa fortuna dei precedenti governi di Samaras e Papandreou. Questo perché subirà una decomposizione, un collasso sotto il peso delle sue contraddizioni e la violazione delle  sue dichiarazioni elettorali, non potendo evitare la responsabilità per le politiche che è costretta ad attuare e i compromessi con i dirigenti della’élite economica sovranazionale. Una grossa questione per l’era post-SYRIZA è quali riserve politiche il sistema ha per gestire la crisi in Grecia. Una prova ulteriore dell’instabilità evidente del governo attuale che accelererà la crisi e il suo crollo, non è rappresentata solo dalla tendenza pluralistica dei suoi componenti, ma anche dalla collaborazione con ANEL di estrema destra.

È un dato di fatto che questo governo deluderà molti elettori di SYRIZA, esattamente per le aspettative che ha creato e per il suo profilo “di sinistra”. Già le dichiarazioni del nuovo governo la notte delle elezioni, da parte del Premier, Tsipras, secondo le quali non si sarebbe entrati in conflitto con istituti di credito ed élite economica sovranazionale, presagiscono prossimi compromessi. Perché non esistono vie di mezzo fra conflitto e soggiogamento. E dato che il nuovo governo non creerà conflitto, dovrà assoggettarsi.

Ciò che abbiamo affermato come “Lotta Rivoluzionaria” è dimostrato, ovvero né SYRIZA né qualunque altro partito del regime vuole fare la guerra all’élite economica sovranazionale e agli istituti di credito e il loro unico interesse è l’autorità, assicurarsi la torta del potere. Già la questione dell’abolizione delle convenzioni del memorandum, come alcuni membri di SYRIZA avevano propagandato prima delle elezioni, è qualcosa del passato, ora dentro l’orologio della storia, sostituito da quanto atteso, la rinegoziazione del memorandum e del debito.

Ciò significa che non rifiutano il memorandum o il debito, cioè le catene per il popolo greco. Anche prima che “il gallo cantasse” si è consumato il primo principale tradimento e si è avuta la violazione delle dichiarazioni pre-elettorali per le quali sono stati votati. Anche se affermano che stanno sospendendo il completamento di alcune privatizzazioni, quali quella parziale del porto del Pireo (OLP) e della Società Nazionale per l’Elettricità (DEI) o della Società Pubblica per il Gas Naturale (DEPA), dichiarano che rispetteranno ancora le convenzioni esistenti e che lo fanno per favorire gli investimenti, in particolare per sfruttare la gente, i lavoratori e le risorse naturali del Paese in favore del capitale. Lafazanis, ministro per la Ricostruzione Produttiva, l’Ambiente e l’Energia, nonché membro della piattaforma di sinistra e difensore della drachma (valuta greca prima dell’euro) ha sostenuto di essere per la privatizzazione della DEPA ma ha anche detto che tutti i memorandum saranno aboliti man mano.

Quanto al nuovo ministro dell’Economia, Varoufakis, questi afferma che è a favore della privatizzazione, ad esempio di OLP. Il Premier, Tsipras, su Bloomberg assicura che il Paese non verrà mano agli obblighi contratti con la Banca centrale europea (BCE) e il Fondo monetario internazionale (FMI), mentre Varoufakis all’incontro di Parigi con la sua controparte francese dice di essere favorevole alla stipula di un nuovo contratto o a un nuovo accordo con i soci-finanziatori. Vale a dire, adozione di un nuovo programma, indipendentemente dal fatto che si chiami memorandum o meno, con l’imposizione di nuove misure, tagli o modifiche strutturali correttive. Lo ha ripetuto al banchetto organizzato nella City di Londra da Deutsche Bank e Merrill Lynch. Vorrei ricordare che il precedente governo Samaras stava per adottare nuove misure dopo l’ultima stima fatta dalla Troika (FMI-UE-BCE) con un nuovo programma che, secondo loro, non sarebbe stato un nuovo memorandum.

La rinuncia di SYRIZA rispetto alle dichiarazioni pre-elettorali continua senza sosta sotto il peso degli istituti di credito e specialmente dopo la decisione della BCE di non accettare le obbligazioni greche, decisione sebbene con effetto dal 28 febbraio quando scadrà l’attuale programma di memorandum, cosa che avverrà molti giorni prima per esercitare pressione sul governo greco a sottomettersi, con la paura della liquidità, della mancanza e della bancarotta, perché le riserve di liquidità del Paese stanno divenendo sempre più scarse. Così i regressi, le contraddizioni palesi e le auto-smentite di affermazioni e dichiarazioni continuano. Sebbene Varoufakis, incontrando Dijsselbloem abbia parlato di strappare il memorandum, nella riunione con il ministro delle Finanze tedesco, Schaeuble, ha detto che rispetterà il 67% degli obblighi derivanti dal memorandum.

Il nuovo vice-ministro dell’Economia, Valavanis, malgrado avesse inizialmente richiesto le dimissioni del TAIPED (Fondo di sviluppo delle risorse della repubblica ellenica) con la prospettiva di svilupparlo, la settimana dopo ha annullato la sua decisione in seguito agli sviluppi intervenuti. Altrimenti, continuano a ingannare il popolo sulla fine dell’era del memorandum. Sono i più volgari mercanti di speranza di un intero popolo.

Già con le prime avvisaglie di quanto abbiamo scritto come “Lotta Rivoluzionaria” pochi giorni dopo le elezioni, quando abbiamo attaccato il Controllo di gestione della Banca di Grecia, si sono manifestati l’inattuabilità e l’utopismo delle proposte socialdemocratiche di SYRIZA con il suo totale arretramento su tutte le questioni riguardanti la gestione della crisi e la sua trasformazione in partito socialista-neoliberale. Non si è mai verificato un rifiuto delle promesse pre-elettorali nella storia della politica greca più rapido di quello di SYRIZA.

La politica del governo di SYRIZA-ANEL non differisce da quella dei suoi predecessori e prima o poi porterà al suo fallimento politico e al collasso, come è stato per  i suoi predecessori. Si devono tagliare completamente le catene che trattengono il popolo greco, in particolare il debito e il programma di memorandum per il salvataggio.

Non si deve negoziare il loro prolungamento. Questo può essere fatto dopo una rivoluzione solo con il popolo in armi e succede con il non riconoscimento e la cancellazione unilaterale di tutto il debito, l’abolizione del memorandum e l’annullamento di ogni debito contratto dal popolo verso le banche, la restituzione di piccole proprietà di cui le banche si sono appropriate, l’abolizione del sistema bancario e la socializzazione degli attivi bancari.

Così come la riappropriazione e socializzazione della ricchezza del Capitale e dello Stato, delle grandi imprese e della multinazionali.

Una riappropriazione che comprenderà liquidità, beni mobili e immobili. La ricostruzione economica sarà finanziata e supportata materialmente in base all’autogestione e autorganizzazione. Così come la ricostruzione produttiva e industriale, la ricostruzione della produzione agricola e l’autorganizzazione della vita sociale sarà sostenuta ovunque. Solamente un tale processo rivoluzionario fornirà una soluzione alle sofferenze prodotte dalla crisi capitalista. Si elimineranno divisioni sociali e di classe, si affiderà la gestione dei problemi sociali al popolo, tramite strutture autorganizzante e autogestite, attraverso un sistema confederale di assemblee popolari e di consigli dei lavoratori che avvieranno il comunismo libertario.

Pertanto, è dovere di tutti i combattenti, è dovere dell’area anarchica-antiautoritaria, di tutti noi lavorare per la creazione di un movimento rivoluzionario per il sovvertimento  del Capitale e dello Stato e sfruttare il fallimento politico dei pagliacci di SYRIZA e del sistema politico in generale.

NESSUNA TREGUA – NESSUNA ASSIMILAZIONE
COSTRUIAMO UN MOVIMENTO RIVOLUZIONARIO
ARMATO di CONTRATTACCO PER IL SOVVERTIMENTO DELLO STATO E DEL CAPITALE

Nikos Maziotis, membro di Lotta Rivoluzionaria
carcere di Domokos

08/02/2015

Giornate di mobilitazione in tutta Italia contro gli allevamenti di visoni

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FERMIAMO TUTTI GLI ALLEVAMENTI DI VISONI !
Dal 16 al 21 Marzo 2015 giornate di mobilitazione in tutta Italia

Ci volevano seppellire ma
dimenticavano che siamo semi
da un manifesto solidale

Il discorso della crisi economica continua ad essere la forma per giustificare e legittimare ogni pratica di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, sugli altri animali e sulla Terra.
Consideriamo la presenza e l’apertura di allevamenti di visoni come una delle manifestazioni evidenti di una crisi ben più profonda che sconvolge le relazioni sociali e politiche di ogni essere vivente. Se il territorio delle province di Bergamo e di Cremona ne è particolarmente esposto, le logiche di dominio e le più diverse forme di prevaricazione si possono rintracciare in tutti i territori. Per questi motivi sentiamo l’esigenza di coinvolgervi e, insieme, dare vita a nuove pratiche ed esperienze che puntino ad una riappropriazione di metodi autogestionari di lotta perché questa sia veramente diffusa, condivisa e costruita dalla base. Coinvolgervi è un modo, per noi, di opporci alla diffusione di pratiche e discorsi animalisti ambigui che fanno dello spettacolo del dolore, della delega, del pietismo e dell’apoliticità il “nuovo discorso” sull’animale.
Discorso che, di fatto, si allontana dal senso profondo e radicale della liberazione animale che è, invece, una continua riflessione e azione politica per scardinare ogni pratica di dominio. E per questo che abbiamo pensato di moltiplicare i luoghi della mobilitazione, i pensieri, i modi, le proposte affinché ognuno, a partire dal “proprio” territorio, possa dare contenuto alla liberazione animale. Così è nata l’idea di una prima settimana di mobilitazione durante la quale ogni realtà e individualità potrà contribuire a proprio modo a diffondere l’urgenza di fermare gli allevamenti di visoni e non solo.
Scrivendovi abbiamo il desiderio che si riesca e si possa costruire una rete che, seppur in questo momento, passa dal virtuale attraverso questa mail, non si fermi a questo ma diventi una realtà concreta che si incontra, agisce e si coordina. Questo è, per noi, un modo per non farci travolgere dalla crisi delle relazioni.

E’ con lo stesso obiettivo che vorremmo chiudere e rilanciare queste giornate di mobilitazione con una biciclettata qui a Bergamo alla quale vi chiediamo di partecipare. Una rumorosa e creativa Critical mass per dare voce alla critica contro qualsiasi progetto di allevamento e contro ogni forma di sfruttamento verso ogni animale, il giorno sabato 21 marzo. Giornata che ci piacerebbe concludere con una riflessione collettiva su come ridare vitalità e senso ai territori delle pratiche nel segno della liberazione animale.
Una giornata simbolica: l’inizio della primavera. Una giornata in cui spargere i semi di continue, necessarie, urgenti prese di coscienza sui discorsi e i linguaggi che sempre più spesso vengono utilizzati come un grande alibi per giustificare l’ingiustificabile ed incentivare sempre più l’adesione e la complicità a questo sistema di annientamento. Sicuramente le responsabilità dell’attuale situazione di sfruttamento generalizzato, di disagio e miseria non vanno attribuite ad un singolo settore “sbagliato” ma all’intero sistema che nella sua concezione di mondo condanna, a priori, l’esistenza di animali, umani e non, e della sopravvivenza della Terra stessa.

Non casualmente, gli allevatori stessi, ricorrono ad un subdolo discorso che fa della “necessità” il movente delle loro pratiche per far fronte alla “crisi” economica: dal nostro punto di vista, questo stesso dire, svela la fallacia del loro discorso che, di fatto, non fa altro che mostrare gli interstizi nei quali si insinua piuttosto una grave e costante deresponsabilizzazione verso ogni forma vivente.

Per la liberazione di tutte gli animali!
Contro gli allevamenti di visone e i mondi che li producono!

Coordinamenti Liber*Selvadec
Bergamo, 2 Febbraio 2015

Per informazioni:
liber.selvadec@inventati.org
liberselvadec.noblogs.org

Grecia: Sciopero della fame dei detenuti nella prigione di Domokos Kostas Gournas e Dimitris Koufontinas

carcereNoi, Kostas Gournas [membro di Lotta Rivoluzionaria] e Dimitris Koufontinas [membro dell’organizzazione 17 Novembre], prigionieri politici detenuti nella prigione di tipo C a Domokos, iniziamo uno sciopero della fame da lunedì 2 marzo 2015.

Lottiamo per l’abolizione degli art. 187 e 187A del codice penale, per la revoca della legge d’emergenza che prevede misure speciali con cui le autorità cercano di criminalizzare e distruggere i loro oppositori politici.

Lottiamo per l’abolizione dei tribunali speciali e dei tribunali militari eccezionali, questa struttura per lo sterminio di coloro che lottano, fatta di accordi speciali, leggi speciali incostituzionali, uso empirico e fraudolento della prova (ad esempio, riguardo il DNA) e l’apporto di prova speciale.

Lottiamo per l’abolizione di tutte le leggi repressive speciali fatte contro gli oppositori e le mobilitazioni popolari.

Chiediamo l’immediata abolizione delle prigioni di tipo C, simbolo dello stato d’esenzione dei prigionieri politici e d’intimidazione verso la società che resiste.

Chiediamo l’immediato rilascio di Savvas Xiros. Ormai da 13 anni, le autorità metodicamente e in modo vendicativo lo annientano, provocandogli danni irreparabili fino al 98% di disabilità.

La repressione è l’altra faccia dell’austerità, la lotta del movimento popolare contro l’austerità è inscindibile dalla lotta contro la repressione e, in particolare, contro questo regime permanente dello stato d’emergenza. Chiediamo il sostegno da tutta la società in lotta.

Questa lotta dei prigionieri politici, le proteste e gli scioperi della fame hanno lo scopo di mandare un messaggio di resistenza al popolo greco. Siamo quelli che ci assumiamo la responsabilità delle nostre scelte, ci occorre essere uniti e determinati, perché il nostro destino è nelle nostre mani. Questa è la nostra missione per la nostra dignità, per le future generazioni.

La speranza sta solo nella lotta.

Prigione di tipo C a Domokos
2 marzo 2015

Kostas Gournas
Dimitris Koufontinas

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Prigione di Domokos, Grecia: Sciopero della fame di Nikos Maziotis, membro di Lotta Rivoluzionaria

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Negli ultimi 15 anni e, specialmente dopo lo scoppio della guerra contro il “terrorismo”, in campo internazionale il sistema capitalistico ha assunto caratteristiche totalitarie, al fine d’imporre la dittatura dei mercati, gli interessi dell’élite finanziaria sovranazionale emersi dalla procedura della globalizzazione del sistema con la fine del bipolarismo. In tale contesto, la repressione, strumento dell’arsenale legale e penale di cui gli Stati si servono nella nuova situazione globalizzata per contrastare i nemici politici del nuovo ordine delle cose e, in particolare, la minaccia dell’azione rivoluzionaria armata, assume grande importanza e applicazione per la riproduzione del sistema, specialmente negli anni recenti con l’esplodere della crisi finanziaria globale.

Lo Stato greco, costruito sul capitale sovranazionale, da un lato ha adottato le riforme neoliberali imposte dalla UE, dall’altro ha aggiornato l’arsenale legale e penale secondo le esigenze della “guerra contro il terrorismo” lanciata a livello internazionale. Per questa ragione, nel 2001 il governo ha votato, con la legge A contro il terrorismo, l’art. 187 del codice penale (organizzazione criminale). Nel 2009, subito dopo la rivolta del dicembre 2008, il governo ha votato la legge contro il cappuccio, nel 2010 ha inasprito l’art. 187 A. In seguito a un’ordinanza legale generale, nel 2012 il governo ha imposto il prelievo forzato del DNA e, infine, nel corso dell’estate 2014 ha approvato, quale logica conseguenza della sua politica repressiva, la legge sulle prigioni di tipo C per i prigionieri politici.

In tutti questi anni l’attacco repressivo dello Stato si è sempre più intensificato parallelamente alle riforme neoliberali adottate dai governi greci. Inoltre, tale attacco è stato rafforzato dopo l’esplosione della crisi finanziaria globale, la rivolta del dicembre 2008 e in seguito alla subalternità del Paese al FMI, alla UE e alla BCE, attraverso l’accettazione del primo Memorandum nel 2010.

Per la maggioranza della società si tratta di un regime delegittimato a causa della rapina sociale perpetrata contro la società greca, il che per un’elevata percentuale di popolazione produce fame, povertà e miseria, migliaia di morti suicidi, malattie, mancanza di beni di prima necessità, migliaia di senzatetto e migliaia di persone che pescano il cibo dalla spazzatura o mangiano alla mensa dei poveri. Quanto sopra sta creando le condizioni opportune per la prospettiva di una rivoluzione e un rovesciamento del regime, che è responsabile della crisi e di tutte le sofferenze.

Lo svolgimento del controllo e della gestione della crisi capitalistica da Syriza, dopo le elezioni del 25 gennaio 2015, non rappresenta una modifica sostanziale della situazione. Malgrado le promesse fatte prima delle elezioni inerenti l’abolizione delle convenzioni contenute nel memorandum e la riduzione del debito, la politica del governo di Syriza non si differenzia da quella dei suoi predecessori. Ciò può essere dimostrato dall’ampliamento dell’attuale programma di salvataggio. Anche se si usano trucchi nella comunicazione quali non chiamare ciò “memorandum” o non dire “Troika” (FMI, UE e BCE), le considerano istituzioni. La verità è che Syriza ha accettato il memorandum e il debito e firmerà un nuovo memorandum di salvataggio dopo che sarà prorogato l’attuale.

Come membro di Lotta Rivoluzionaria e come prigioniero politico detenuto nelle carceri di tipo C credo che l’unica via d’uscita sia la scelta della rivoluzione armata popolare e sociale e il rovesciamento del regime può dare una spinta per superare la crisi e può ribaltare il memorandum, le convenzioni di finanziamento e cancellare il debito. Come membro di Lotta Rivoluzionaria e come prigioniero politico detenuto nelle carceri di tipo C, durante la lotta dei prigionieri politici contro le legislazioni speciali “contro il terrorismo”, i tribunali e le prigioni speciali, dal 2 marzo 2015 partecipo a un sciopero della fame. Chiediamo:

1) abolizione della legge A “contro il terrorismo” emanata nel 2011, dell’art. 187 (organizzazione criminale)
2) abolizione della legge B “contro il terrorismo” emanata nel 2004, dell’art. 187A (organizzazione terroristica)
3) abolizione della “legge sul cappuccio”
4) abolizione della legge sulle prigioni di tipo C
5) rilascio del prigioniero Savvas Xiros (condannato nel caso dell’organizzazione 17 Novembre) per motivi di salute.

Nikos Maziotis, membro di Lotta Rivoluzionaria
Prigione di tipo C a Domokos

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[Italia] “Rompere le righe”: Materiali di lotta contro la guerra e il mondo che la produce

Obiettivo del blog romperelerighe.noblogs.org: avvicinare geograficamente e mentalmente il problema della guerra, cuore di questo mondo e della società. Dare al militarismo un nome, un cognome ed un indirizzo come solo modo per spezzare la complicità con i signori dello sfruttamento e della morte e per rompere con la dinamica individuale della servitù volontaria.

“Rompere le righe”, allora. Il titolo non rinvia soltanto al vecchio slogan antimilitarista a favore della diserzione, ma anche alla necessità di sottrarsi all’inquadramento dei cervelli. Righe ben allineate, infine, sono quelle che ci impediscono di comprendere le conseguenze catastrofiche di una società sempre più in guerra con gli uomini e la natura. Rompere le righe significa allora disertare luoghi, parole e logiche dominanti e cercare testardamente un diverso modo di vivere. Rompere le righe significa anche ripetere quelle piccole banalità di base che il pensiero astratto ignora o nasconde ( ad esempio che sul cemento non cresce niente, oppure che non ha molto senso dichiararsi contro la guerra senza poi fare nulla contro le basi che la rendono possibile …). Come si vede, un percorso di resistenza e di liberazione non privo di incognite e di difficoltà. Un percorso tutto da inventare” (da “Rompere le righe”, n. 7, maggio 2009).

Il foglio e l’omonimo blog erano nati come strumenti della lotta contro la costruzione di una base militare a Mattarello (Trento Sud). Il progetto della base è stato alla fine ritirato da Governo e Provincia, ufficialmente in ragione dei tagli al bilancio della Difesa. Vergognosamente, vari politici che mai avevano speso una parola contro la base di Mattarello si sono rallegrati degli ettari di terreno non invasi dal cemento in seguito al cambio di programma governativo. A noi piace pensare che l’opposizione al progetto – in cui siamo stati attivi dall’inizio alla fine – abbia avuto il suo peso nella decisione delle autorità. I lavori veri e propri non erano ancora cominciati, ma su circa un ettaro dei 28 espropriati (e profumatamente pagati ai contadini della zona) era stata fatta una spianata. I lavori preliminari erano stati bloccati più volte e qualche mezzo delle ditte coinvolte incendiato.

La natura ha poi fatto il suo corso. Ed ora la spianata sembra quasi un boschetto, con le piante che hanno bucato il cemento. Esempio di come le costruzioni dell’uomo siano cose effimere rispetto ai cicli della Terra.

Di quei cicli ci sentiamo figli e figlie, pronti a bucare ogni cemento, a spezzare ogni gabbia che trattiene e rinchiude. Con l’abbandono del progetto di Mattarello certo non è certo scomparso il militarismo in Trentino. Non si ragioni, quindi, di sotterrare l’ascia.

A che punto siamo?

La guerra è dappertutto. Con questo blog vogliamo raccogliere materiali ed elaborare riflessioni contro la guerra ed il mondo che la produce. Infatti non ci viviamo la tensione antimilitarista in “senso stretto” come esclusivamente lotta contro la guerra (intesa nel suo significato più tradizionale), ma siamo coscienti che alla guerra “esterna” per l’accaparramento e per la spartizione delle risorse corrisponde (economicamente e socialmente) una guerra “interna” contro gli sfruttati per renderci sempre più precari, controllati e irreggimentati. Operazioni neocoloniali, guerre possibili o indirette fra Stati (l’esempio dell’Ucraina è di per se emblematico), propaganda nazionalista, aggressioni fasciste, razzismo democratico, rastrellamenti nei quartieri e guerra fra poveri sono le meraviglie prodotte dal loro mondo che ci vuole portare – in righe ben allineate – verso l’abisso. L’esempio israeliano è tristemente significativo: dove l’involucro totalitario della democrazia racchiude l’apartheid, il razzismo, la guerra “esterna” e muri e confini “interni”. Il modello gerarchico della caserma è ormai ovunque e, per esistere e riprodursi, ha la necessità di sviluppare e di utilizzare sempre più tecnologie finalizzate alla guerra ed al controllo sociale. Senza queste protesi sviluppate nei centri di ricerca, nelle Università e nei laboratori del dominio, la conservazione del privilegio e le guerre non sarebbero possibili. Questo è uno dei punti per noi fondamentali dai quali abbiamo intenzione di ripartire. La guerra, come già avevamo sostenuto da queste pagine, è sempre di più il cuore di un mondo senza cuore. Alla luce di quello che avviene sempre di più nella nostra quotidianità e attorno a noi sentiamo l’accecante urgenza di una ripresa dell’antimilitarismo, che per noi non può essere che di azione diretta.

In quest’ultimo anno, con l’esempio lampante della situazione Ucraina, stiamo assistendo ad un “ritorno del rimosso” che politici e politicanti, sociologi e buffoni vari al servizio del potere avevano cercato di nascondere o di far dimenticare. E cioè che la guerra è possibile anche nelle forme che avevamo disimparato a conoscere, e cioè come guerra fra Stati. Questa tragica possibilità si fonde sempre di più con un’altra forma di conflitto: quello contro-insurrezionale o di “polizia internazionale” (detto anche “conflitto asimmetrico o di quarta generazione”). Il nostro obbiettivo è semplice ma ambizioso, e cioè di provare a dare un contributo per una possibile prospettiva pratica al rifiuto della guerra, perché esca dalla semplice ed impotente protesta di testimonianza. Una “testimonianza” che si rende funzionale all’interno dell’opinionismo democratico. In sostanza, non si è mai fatto tanto parlare di “pace” come in questo momento dove esistono un’infinità di conflitti. Si tratta di abbandonare la mera lamentazione di fronte all’“idea” guerra per provare a passare all’attacco della “cosa” guerra nelle sue concrete e reali manifestazioni territoriali. La necessità è quella di provare ad inceppare concretamente la macchina bellica in tutte le sue varie ramificazioni.

Fabbricanti di morte a pochi passi da noi. La “Silicon valley d’Italia”: così viene definito il Trentino dai molti sacerdoti ed entusiastici fanatici del progresso e della ricerca. La provincia in cui viviamo, infatti, sia per la sua caratterizzazione sociale (un territorio tutto sommato pacificato e privo di tensioni significative), sia per il particolare status istituzionale di cui gode la “provincia autonoma”, è una candidata ideale per diventare la terra dei laboratori del dominio. In questo territorio è possibile disegnare un vero e proprio mosaico degli orrori con dipartimenti universitari saldamente legati a Finmeccanica, centri e ditte di ricerca che sviluppano sensori e nanotecnologie per alcuni dei prodotti bellici più terribili dell’ultimo decennio (ad esempio come per gli aerei senza pilota “Predator”, già impiegati in Iraq e in Afghanistan), ditte e ricerche sul controllo sociale attraverso l’informatica (come nel caso del “web semantico”), poli di ricerca e strutture trentino-israeliane (come “Create-net” a Trento) ecc. I rapporti di collaborazione con l’industria e l’accademia israeliane (responsabili di fornire strumenti e tecnologie per lo sterminio della popolazione palestinese) sono fra i più significativi in Europa. Non è un caso che il nuovo responsabile di FBK (Fondazione Bruno Kessler, un vero e proprio centro di potere in Trentino) sia Profumo, l’ex ministro della ricerca del governo Monti. Questo per far capire ancora una volta di più quanto sia strategico e fondamentale il ruolo che assume sempre più questa provincia come laboratorio di sviluppo di nuove tecnologie per i dominatori.

L’antimilitarismo come rivolta in primo luogo etica ed individuale. Nel militarismo e nel concetto di guerra si evidenzia al massimo il principio d’autorità e della gerarchia. Secondo noi l’antimilitarismo ha un fondamento che in primis deve essere di natura etica e di insurrezione individuale, scardinando all’interno di noi stessi la meccanica che crea la “servitù volontaria”, disertando la dinamica della “guerra fra poveri” e della “legge del più forte”. Questo è il primo passo per negare la propria vita alla guerra dei padroni per provare a sabotare o ad inceppare il meccanismo della guerra, in ogni forma che si presenti: dal nostro vissuto più quotidiano ai dispositivi tecnologici che rendono possibile l’esistenza di dominatori, sfruttati ed eserciti. Non ci stancheremo di ripetere ancora, come già scrivevamo, che la percezione delle proprie possibilità non è un fatto statico. Nella pratica della rottura (con la routine, le compatibilità politiche, i ruoli della società, il mito del quantitativo) si innalza la temperatura morale e si affina il piacere di vivere. In un’epoca di opinioni all’ingrosso e di passioni tristi, solo battendosi è possibile affinare le idee e allietare gli affetti. A quella “catastrofe che è ogni giorno in cui non accade “nulla” opponiamo l’occasione insurrezionale degli individui, singoli o associati fra loro. La società è un’immensa bomba ad orologeria e gli individui si dividono in coloro che non sentono e in coloro che sentono il ticchettio. Ancora una volta ci rivolgiamo a coloro che lo sentono, e lo maledicono, e non si rassegnano.

Italia: La leggenda della valle che non c’è

Versione in italiano del contributo del blog “Anarchici pistoiesi” apparso sul numero 4 di “Avalanche”.

La leggenda della valle che non c’è

Non è semplice sintetizzare in un articolo la questione valsusina ed il ruolo che gli anarchici – alcuni – si sono “ritagliati” al suo interno, la faccenda è molto ampia ed articolata, ci limiteremo quindi a dare la nostra chiave di lettura su certe dinamiche che abbiamo potuto osservare in alcuni anni di permanenza nella famigerata “valle che resiste”. In primis necessita mettere in luce quello che è il modus operandi che i detentori della linea politica di movimento hanno impostato/imposto e che portano avanti, con buona pace degli anarchici/notav.

Partiamo dalla conclusione: in Val di Susa sussistono reali possibilità di rivolta, in essere o in potenza, che possano mirare all’abbattimento delle logiche di dominio quali le conosciamo e con le quali come anarchici confliggiamo quotidianamente? La risposta è no. In Val di Susa lo scenario è quello classico della lotta di cortile che si sostanzia su un territorio certo ampio ma che risente appunto di tutti i limiti dei movimenti «non nel mio giardino». Come abbiamo più volte avuto la possibilità di notare, il movimento valsusino nella sua grande maggioranza non è interessato alle lotte che si svolgono lontano dei suoi confini e se ne trattano lo fanno solo o per strumentalizzazione politica o per una questione di empatia superficiale e tutta “religiosa” che non è quindi interessata a rilevare similitudini e differenze dei conflitti in atto e di trarne un ragionamento generale di critica ed attacco al potere, che infatti non viene rifiutato né messo in discussione ma del quale si chiede sostanzialmente una gestione più “equa”.

Sul piano strettamente locale la cosa si fa ben evidente nei momenti di consultazioni elettorali, sia nazionali, ma in maggior misura – ovviamente – in quelle comunali, quando l’oligarchia di movimento, la stessa che si consulta e stabilisce le linee d’azione in riunioni ristrette prima delle farse decisionali dei cosiddetti “coordinamenti dei comitati” (1), momenti di riunione spacciati per assemblee decisionali orizzontali ma che hanno più il gusto di una comunicazione dei pochi ai molti sulle eventuali azioni da intraprendere, si affanna nella corsa a ricoprire incarichi istituzionali. Inizia così il grande valzer delle oscene alleanze, concupiscenze ed intrallazzi al fine dell’ottenimento del voto, con lo scopo di accrescere la propria popolarità personale e per cercare di conquistare il governo di alcuni comuni interessati dal passaggio dell’Alta Velocità o delle infrastrutture ad essa collegate, per avere la propria briciola di potere ed andarla a far pesare nei colloqui con i supposti nemici dell’organizzazione statale.

Si fa un grande ricorso alla delega, nella gestione ordinaria del movimento (appunto nei coordinamenti dei comitati, quando questi ultimi, ormai ridotti alla stregua di chimera valligiana, vengono rappresentati in tali riunioni da qualche individuo) che in quella straordinaria, come nel caso delle elezioni appunto, quando la possibilità di essere ai vertici amministrativi comunali è ambita, incoraggiata e sostenuta. Durante tali eventi, come anche in altri di maggiore partecipazione di individui che «vengono da fuori» – figure vissute come armi a doppio taglio, ambivalentemente attirate ma anche temute, forse per la libertà d’azione che potrebbero rivendicare e mettere in atto – viene ribadito con orgoglio un concetto fastidioso, quello secondo cui le cose in valle si fanno «a moda nostra», cioè con le nostre modalità, imposte dall’oligarchia e accettate con acquiescenza dalla massa, senza alcuna tolleranza o nel migliore dei casi considerazione di eventuali iniziative di gruppi o individui che escano dal recinto della supervisione valligiana. L’«a moda nostra» rappresenta a tutti gli effetti la linea di demarcazione tra ciò che è possibile o non possibile fare, il quando, il dove, il come e il chi, ed è la dimostrazione di un impianto verticistico ed autoritario che nella retorica movimentizia si dice di rifiutare e combattere ma che nella pratica trova perfetta attuazione.

Val di Susa, la retorica teatralizzante della lotta

Se c’è una cosa che in Val di Susa è stata creata con successo e che ad oggi continua a funzionare piuttosto bene è una retorica di movimento che si palesa in maniera chiara nel momento in cui decide di raccontarsi e di “vendere” il proprio prodotto fuori dai confini piemontesi; la parola “vendere” non è scelta a caso, infatti quello che si può notare passando del tempo in valle e partecipando agli appuntamenti di movimento, è come ogni singolo fatto venga trattato in maniera teatrale e volto a creare immaginario: dal semplice tempo passato davanti ad una rete che diventa una «grande giornata di lotta», ad un tentativo di alcuni di forzare un blocco di polizia in maniera risoluta che diventa un vile attacco violento da parte di quest’ultima nei confronti dei poveri manifestanti lì solo per rivendicare un proprio diritto; ci ritroviamo davanti ad una torsione dei fatti tutta volta a creare un immaginario resistenziale che possa avere appeal da un lato con le anime belle della “società civile”, quindi mai di attacco e sempre di resistenza ad una violenza subita, ma che strizzi anche l’occhio ai rivoltosi sparsi per l’Italia e li invogli a spostarsi in valle dimostrando come l’eroica resistenza valligiana non parli il linguaggio della mera testimonianza o del politicantismo, ma della lotta non mediata alla sopraffazione. Il tutto accettato ed in buona parte rilanciato anche dagli anarchici più addentro alle dinamiche di gestione del movimento.

Non si tratta però solo di una rappresentazione fiorita di quello che accade, ma piuttosto di una creazione di immaginario strumentale a cooptare manovalanza esterna alla valle utilizzando temi e parole d’ordine cari ad esempio all’anarchismo, mostrando una realtà di valle orizzontale, acefala e genericamente “libertaria” che nei fatti non corrisponde alla realtà ma che è utile a convogliare forze sul territorio, manovalanza “specializzata” che può risultare utile nei momenti di conflitto con la forza pubblica e che però come già detto va tenuta bene al guinzaglio, sia per non turbare troppo le popolazioni, sia per non rischiare di sbilanciare gli equilibri interni del movimento; in questo la logica della «grande famiglia» della quale parleremo più avanti si è dimostrata uno strumento perfetto. L’ipocrisia di movimento, l’autorappresentazione spettacolare, l’accettazione delle dinamiche comunicative del potere (mistificazione, ribaltamento di significato e linguaggio, manipolazione dei fatti, ecc…) sono sostanziali del modo di porsi del movimento No Tav, metodologia non condivisa forse dalla totalità dei “movimentisti” che comunque la accettano o come necessità, o per non rischiare di mettere in discussione le posizioni acquisite all’interno del movimento delle “mille anime” – e questo crediamo sia il caso di certi anarchici che fino ad oggi hanno fatto finta di non vedere o hanno minimizzato, o hanno giustificato adducendo ridicole motivazioni.

La creazione della grande famiglia

Il movimento No Tav è figlio anche della società mediaticamente sovraesposta, e come tale ha dovuto crearsi un’immagine sfaccettata quel tanto che basta da risultare appetibile sia ai fruitori dello spettacolo mediatico, sia a coloro che cercano un luogo dove la propria modalità di lotta sia accettata e condivisa. La retorica della grande famiglia in questo è stata lo strumento principe e forse ben studiato per riuscire a marginalizzare quegli elementi che potevano essere poco digeribili agli spettatori del teatro valsusino. Se la presenza di militanti di varia estrazione è stata accettata come necessità strumentale – e per rendersene conto basta parlarne con un qualsiasi “semplice” valligiano – è altresì necessario che le identità specifiche più scomode siano sottaciute o passate in secondo piano, in un’ottica edulcorata volta a presentare il movimento al di fuori degli scenari classici del conflitto. Il marchio è quello della grande famiglia No Tav, siamo tutti No Tav, ecc… In questo scenario la vicenda dei quattro anarchici (diventati poi sette) arrestati per un attacco al cantiere – che i portavoce di movimento, utilizzando le tecniche di cui sopra chiamano «passeggiata notturna» – è esplicativa (2). Il movimento ha sempre parlato dei «suoi ragazzi», dei quattro prigionieri No Tav, omettendo sempre di citarne l’appartenenza “ideologica”, così da rendere più digeribile al pubblico la loro posizione, difficilmente spendibile se identificati come anarchici notoriamente poco “appetibili” ai fruitori dei media di regime; e tutto con buona pace degli altri anarchisti che evidentemente hanno ritenuto utile non agitare troppo quella che un tempo era chiamata «la bandiera dell’ideale», per paura – forse – di perdere l’appoggio mediatico discendente dalle sacre insegne della bandiera trenocrociata.

La «grande famiglia» ha anche un’altra funzione, non è altro infatti che la traslazione del concetto di democrazia utilizzato dalle autorità classiche ma troppo compromesso per essere rivenduto all’interno di un movimento che si palleggia fra l’antipolitica di stampo grillino (3) o da indignados e il sentimento di rivolta di altre comparse sul palco.

La «grande famiglia» è il dogma davanti al quale tutti coloro che hanno deciso di farne parte alzano le mani; così come per la “società civile” l’accusa di antidemocraticità diventa una macchia da lavare dimostrando tutta la propria fedeltà ai dettami democratici, la stessa identica cosa succede all’interno del movimento valsusino dove però la parola democrazia è sostituita con medesimo significato dalle parole – spesso intercambiabili – «grande famiglia» o «movimento popolare», in nome delle quali ogni conflitto generato da questioni sostanziali è ridotto al silenzio. In questo il movimento valsusino è perfettamente reazionario, poiché ha deciso di utilizzare metodi e strutture di creazione del consenso e di gestione della realtà tradizionalmente plasmati ed utilizzati dal potere per annichilire il dissenso e la possibilità che al suo interno si creino reali momenti di conflitto.

In tutto ciò c’è quindi chi ha deciso di non mettere in discussione certe dinamiche e sostanzialmente di avocare all’oggetto collettivo la propria soggettività individuale. L’impianto generale del potere è replicato, ed è bastato solo lavorare un minimo sul linguaggio.

L’investitura popolare diventa così l’obiettivo che sostituisce nella forma ma non nella sostanza il concetto borghese di elezione democratica – cui comunque com’è stato già detto è ricorsa appena possibile – e poco cambia fra il «siamo democraticamente eletti» dei politici e «le popolazioni valligiane sono con noi» dei gestori di movimento; il consenso nudo e crudo è ciò che viene ricercato, nulla di più, ed in ciò il linguaggio grossolanamente popolar/sentimentale di alcuni epigoni del movimento (anche anarchici) la dice lunga sulla verosimiglianza di queste affermazioni.

La gestione del linguaggio e la manipolazione dei fatti sono poi evidenti nel modo in cui sono affrontate le questioni legate alla delazione (4). Il movimento No Tav ha in pratica deciso di non prendere posizione bollando come «lotta fra parrocchie» la vicenda, spostando l’attenzione ed il fulcro della faccenda non sulla questione di sostanza, la delazione e tutto ciò che ne consegue, ma sui contendenti specifici, svuotando di significato un atto gravissimo come la confidenza che viene ridotta a scaramuccia fra bande. Dopo circa un mese dai sabotaggi di Firenze e Bologna (5), l’appello del movimento, gridato forte ed in perfetto stile autoritario, volto ad arrestare anche ogni minimo spunto di pensiero critico individuale, è stato quello di far sì che lo spettacolo movimentizio continuasse, che si continuasse uniti nella lotta, a tutti i costi, e di farla finita una volta per tutte con quelle che sono state archiviate alla bell’e meglio come “polemiche”. In questo gli anarchici “famigli” hanno deciso in buona parte di non turbare gli equilibri all’interno del ventre caldo del movimento popolare, o ignorando la questione, o bollandola anch’essi – utilizzando un linguaggio al limite del pretesco – come “scaramuccia”, magari figlia del mezzo utilizzato (internet) e degli animi esasperati, oppure spostando l’attenzione sulla – a detta loro – vera questione, ovvero i passi indietro del movimento rispetto alla pratica del sabotaggio. Atteggiamenti questi del tutto in linea con la tendenza di parte dell’anarchismo italiano odierno che tende sempre più a minimizzare questioni di sostanza come la delazione, la presenza negli spazi di infami o infiltrati in nome di un «volemose bbene» figlio della convenienza politica, in una logica utilitaristica che dà sinceramente il voltastomaco. Continue reading Italia: La leggenda della valle che non c’è

Il processo a Billy, Silvia e Costa si avvicina: rilanciamo la lotta alle nocività

TOWSono passati quasi cinque anni dal nostro arresto in Svizzera, quando ad un posto di blocco sul passo dell’Albis, nel Canton Zurigo, venne rinvenuto nell’auto su cui viaggiavamo dell’esplosivo, alcune bombole di gas propano, taniche di benzina e diverse copie di uno scritto rivendicativo a firma Earth Liberation Front Switzerland. Obiettivo dell’attacco rivendicato negli scritti era il “Binning and Rohrer Nanotechology Center”, una struttura allora in costruzione, di proprietà dell’ IBM e in collaborazione con l’ETH, il Politecnico federale di Zurigo.

Il processo si tenne un anno e mezzo dopo il nostro arresto con tre accuse a nostro carico: atti preparatori punibili di incendio intenzionale; occultamento e trasporto di materie esplosive; commercio non autorizzato (importazione) di esplosivi. Le richieste di pena formulate dal procuratore federale Hansjörg Stadler, tra i 3 anni e 4 mesi e i 3 anni e 8 mesi vennero ampiamente accolte dal giudice federale Walter Wütrich, la quale corte confermò tutti i capi d’accusa ad eccezione del traffico (importazione) illecito di esplosivi, accusa dalla quale fummo assolti.

Parallelamente, la procura di Torino aveva da subito dato avvio ad un’indagine a tutto tondo intorno alle cartucce di esplosivo che gli svizzeri ci trovarono addosso, con l’obbiettivo di poterne determinare la provenienza. Ad indagine conclusa, le accuse a nostro carico ipotizzate dal pm Enrico Arnaldi Di Balme, sono pure tre: atto di terrorismo con ordigni micidiali ed esplosivi, detenzione e trasporto in luogo pubblico di esplosivi e ricettazione per l’esplosivo, accuse tutte aggravate dalla finalità di terrorismo.

In questi 5 anni passati, la nostra analisi del presente ha solo continuato a confermarsi e, conseguentemente, il nostro sentire anarchico ed ecologista non ha potuto che rafforzarsi. Le nano – biotecnologie sono gli ultimi sentieri battuti dalla corsa del sistema capitalista tecno-industriale al saccheggio e alla devastazione della Terra. Sentieri che, come tutti quelli precedenti (si pensi all’era dell’industrializzazione), presentano come miracoli cio’ che, possiamo facilmente immaginare, in futuro è destinato a trasformarsi in incubo.

Tecnologie che nascono dal cambio di visione del mondo che l’era informatica ha portato con se, soppiantando la visione meccanicista delle leve e degli ingranaggi con una visione matematica fatta di bits d’informazione in cui la realta’ tutta deve poter rientrare in un logaritmo. Una visione nuova che si e’ affermata perche’ meglio risponde alle esigenze del sistema. Affermandosi, ha schiuso alla scienza delle possibilità fino ad ora pressoche’ inimmaginabili per adempiere a quel compito che i tempi e l’autofagia del sistema le richiedono con sempre piu’ impellenza: riuscire ad appropiarsi di ogni cosa nell’universo per scomporla nei suoi piu piccoli, infinitesimali componenti, nei suoi “bits”. Ovvero, arrivare ad ottenere una qualche unità di base universale, attraverso la quale gli scienziati possano ridurre tutto l’esistente ad un grado sufficiente d’interscambiabilita’ ed equivalenza, affinchè in seguito, con l’ingegnerizzazione di questa nuova (perche prima inaccessibile) materia prima, ogni cosa di questo universo diventi fruibile alle necessità del dominio. Queste tecnologie sono dunque per il sistema un pilastro su cui rifondare i processi produttivi e di approvigionamento, fondamentali per la sua crescita. Una crescita che si vorrebbe senza fine in un pianeta saccheggiato già oltre ogni limite delle sue possibilità. E la convergenza delle scienze, cosi come con gli OGM, è l’ultima delle promesse di uno sviluppo che avrebbe dovuto risolvere la crisi ecologica a cui ci ha portati lo stesso progresso ecocida.

Come già detto in un precedente scritto, il “Binning and Rohrer Nanotechology Center” è stato reso operativo ed inaugurato pochi mesi prima del nostro processo in Svizzera. Da quasi tre anni a questa parte offre 950m2 di superficie alla collaborazione per la ricerca di base su nuovi materiali ed elementi di costruzione in scala nanometrica. Un luogo di ricerca che permetterà ai ricercatori, tanto di IBM che dell’ETH e di altri partner, di spingere la conoscenza, ma sopprattutto le possibilità di applicazione delle nanotecnologie, ben oltre, ma molto ben oltre, l’attuale impiego raggiunto tra cosmetici, pneumatici o spray nanotech. Cosi assicura il direttore della struttura, Matthias Kaiserswerth. Per noi, per quanto quelli di IBM o dell’ ETH si vantino di avere tra le mani un laboratorio unico al mondo – e per certi aspetti hanno pure ragione – la realtà è che i luoghi dentro cui si sta spingendo l’ingegnerizzazione e la manipolazione del vivente e del pianeta sono molti e, soprattutto, sono un po’ ovunque. Dai centri di ricerca delle multinazionali alle università, dai poli scientifici alle istituzioni di ricerca sovranazionali, un mondo che si muove in parallelo alla realtà che viviamo, e che sulla nostra testa progetta e costruisce il futuro che ci verrà imposto e i cui lineamenti già li abbiamo sotto gli occhi. Un mondo che ha un nome e un indirizzo.

Negli anni abbiamo sempre più sentito l’urgenza di provare a costruire lotte contro questo sviluppo, partendo proprio dalla comprensione della sua imprescindibilità per il sistema, oltre che per la nocività che gli sviluppi bio e nanotecnologici rappresentano. Nocività, e conviene chiarirlo, non in quanto danno alla salute umana, problema ambientale, ma in quanto rapporto tra potere e tecnologia che si traduce in rimodellamentosostituzionedistruzione degli ecosistemi e del vivente. Un concetto di nocività ben più ampio e che si ricollega a filo diretto all’unica vera nocività rappresentata dal sistema stesso. Un’urgenza che continuiamo a sentire e per cui, davanti a questo salto in avanti che il sistema tecnologico ed industriale sta compiendo, rimaniamo convinti di come questa si debba tradurre in una critica necessariamente radicale e che non possa prescindere dal contesto sociale e economico, di cui queste nocività sono il prodotto e per cui sono necessarie. Critica che a sua volta sappia trasformare i fiumi d’inchiostro e le parole, necessarie per esprimerla e svilupparla, in lotta e azione diretta. Rimaniamo dunque ancora convinti/e della necessità di sviluppare lotte ecologiste radicali per contrastare questo sviluppo tecno-industriale mortifero, tracciando però come linea chiara quella di vedere nella lotta unicamente una reale possibilità per rimettere tutto in discussione, e non uno spazio in cui provare a ritagliarsi la propria parte nel teatrino politico o  per offrire alternative “eco-sostenibili” al sistema.

Quello che vediamo è come i luoghi del potere tecno-scientifico si stiano decentralizzando e molecolarizzando in una costellazione di interessi e progetti ultra specifici, nonostante poi tra loro siano sempre e necessariamente interconnessi. Intervenire e colpire là dove più nuoce è sempre meno evidente e facile da capire. Una continua fonte d’ispirazione in questo senso è rappresentata da chi, in tutto il mondo, continua a sentire l’urgenza della lotta, portando avanti progetti, campagne, mobilitazioni e lotte in difesa di quanto ci si sente parte, e di sabotaggio e attacco distruttivo contro quegli ingranaggi che compongono il sistema industriale tecno-scientifico, patriarcale e capitalista.

Mettersi in gioco attraverso la lotta, sappiamo bene che probabilmente, presto o tardi, significa dovere fare i conti con la repressione e da questo non si sfugge. Quello da cui pero’ si puo’ e anzi si deve sfuggire, è lasciare soli/e coloro che sono colpiti/e dalla repressione. Il sostegno ai/alle prigionieri/e e’ qualcosa a cui non si puo’ prescindere, e oltre alla solidarieta’ e supporto piu’ immediato, altrettanto importante e fondamentale e’ il dare seguito alle lotte per cui compagni/e stanno pagando.

Nel nostro caso, trovandoci fuori da quelle mura, abbiamo davvero apprezzato le energie di tanti/e che attraverso serate e iniziative negli ultimi mesi, oltre al calore del supporto piu’ immediato e necessario, hanno dato spazio al nostro caso ma, sopprattutto, alle tematiche su cui ci preme un confronto e il trasmettere il nostro sentire. Questo per noi rimane fondamentale.

Il 23 aprile e’ la data in cui e’ stata fissata l’udienza preliminare, dove si deciderà se verrà fatto o meno questo processo “déjà vu”. Da parte nostra, quello che sentiamo, non e’ tanto un interesse a richiamare l’attenzione sul nostro caso specifico, sul processo nei nostri confronti, quanto più la voglia di riuscire a trasformare questo momento in un’occasione, anche di mobilitazione, per rilanciare queste tematiche e il sentire che ci accomuna.

Mettere al centro non la repressione, ma l’agire senza delegare ad altri/e contro le bio e le nanotecnologie, contro il nucleare, contro ogni altra nocivita’ di questo sistema mortifero e in sostanza: contro questo presente di annientamento e devastazione.

Per la liberazione della Terra. Per la liberazione animale.
Billy, Costa, Silvia, Febbraio 2015

In vista del processo ci troviamo a sostenere numerose spese legali, chiediamo a tutte e  tutti supporto con iniziative benefit e donazioni al conto corrente postale intestato a Marta Cattaneo codice IBAN: IT11A0760111100001022596116, specificare la causale: solidarietà a Silvia Billy Costa
Per contatti: info@resistenzealnanomondo.org
www.resistenzealnanomondo.org, www. silviabillycostaliberi.noblogs.org

Padova: Giornata contro le nocività

21febbraio
Le nocività costituiscono l’asse portante su cui il sistema tecnologico-industriale si regge. E’ possibile opporsi ad esse a partire da una prospettiva ecologista radicale, mettendo in discussione il progresso tecnologico, la civilizzazione ed il dominio degli umani sul selvatico ?

Sabato 21 febbraio

ore 15.30 : dibattito con alcuni compagni impegnati nelle lotte contro il gasdotto TAP in salento, l’alta velocità in val di susa e le discariche di chiaiano e pianura (na)
a seguire cena vegan benefit
dalle ore 22 : serata dub con mickey white dub selecta (from blank mamba sound) / dj-set malacrew (radical dub against autorithy)

Il ricavato della serata andrà a sostenere Francesco e Daniele, anarchici ancora in carcere per l’operazione ardesia.

L’incontro si terrà presso la mensa marzolo occupata
via marzolo, 4 – Padova (q.re Portello)
malacoda@distruzione.org

RAZZISTI, SESSISTI, OMOFOBI, SPECISTI RAUS !

L’Urlo della Terra: Nuovo giornale ecologista radicale

gato3

In questo numero:
L’ecologismo radicale e il selvatico   
Le conseguenze sociali e politiche dell’esposizione e dell’uso dei social network   
Memorie dal futuro: la singolarità tecnologica che viene   
Hambach la foresta che resiste: intervista      
Un’altra campagna è possibile…    
Attacco alla Bayer   
Repressione di stato: autorepressione di Nicole Vosper

Editoriale:
In tempi di social network, di relazioni frettolose e più in generale dove il senso delle cose sfuma in una moltitudine quantitativa, rilanciare con un giornale cartaceo può sembrare perlomeno fuori luogo o fuori tempo, secondo quale è lo spazio da dove facciamo partire il nostro sguardo.
Questo strumento non ha alcuna pretesa di essere la soluzione di una qualche mancanza, definita o indefinita, di un preteso movimento o contesto. Sicuramente non ci interessa riempire quel calderone dell’informazione alternativa, che per sua stessa costituzione non  può mai riempirsi per lo sconcerto dei suoi maggiori promotori. Intendiamoci, la controinformazione ha la sua importanza, ma pensiamo che questa non deve rimanere mera informazione e deve essere capita nei contesti dove va ad operare per poter essere successivamente agita nel vivo delle lotte. La consapevolezza critica non è da confondere con l’accumulo di informazioni. Nel pieno dell’informazione mai ci si è ritrovati così poco informati e spaesati come di questi tempi, dove la vecchia cassetta degli attrezzi non contiene strumenti utili e precisi, ma un calderone di attrezzi per tutti gli usi, anche quelli che non conosciamo. Dobbiamo ancora capire qual’è la relazione possibile tra ogni singolo strumento e quel determinato problema che ci troviamo ad affrontare.

Per affrontare i problemi che  di fronte a noi non vanno certo a diminuire, ma semmai si moltiplicano e convergono tra loro lasciandoci sempre indietro, di strumenti ne servono, non se ne può fare a meno se si vuole mettere insieme una progettualità, seppur limitata e circoscritta al momento. I tempi corrono con tutte le possibili esperienze che si possono fare e incontrare: tutti questi momenti e situazioni sono li a dimostrarlo, dotarsi di un progetto, che non è da confondere con le strategie, si rende fondamentale se si vuole essere per questo sistema qualcosa di più di un semplice fastidio occasionale.

L’urlo della Terra si fa sempre più lacerante, tanto che ormai sembra diventata l’abitudine. Questo urlo però non parla soltanto di un pianeta che muore sempre di più sotto i colpi della  civilizzazione, che si degrada e si impoverisce anche di senso insieme ai suoi abitanti animali e non. C’è anche una Terra che si ribella, che lotta e resiste nonostante tutta questa situazione. Di fatto quello che fa la differenza, che è immediatamente comprensibile senza tanti sofismi, è il non essere complici di quella distruzione e degradazione del vivente che è stata portata avanti fino adesso e di quella che verrà, che è decisamente più tenace e soprattutto irreversibile nelle sue conseguenze ultime.

La non collaborazione con questo sistema di morte non è abbastanza: la disobbedienza è di fatto tollerata perché recuperata o recuperabile, al contrario invece della conflittualità permanente, quella insuscettibile di ravvedimento che non trova soluzione ai problemi sedendosi allo stesso tavolo con chi sfrutta e bombarda nella nuova veste democratica.

Il nuovo tecno-totalitarismo non è solo quello dell’imposizione, ma soprattutto quello della partecipazione, della coesistenza: si è chiamati tutti e tutte a collaborare su base volontaria al proprio sfruttamento, perché un’altra possibilità non esiste. Di fatto l’alternativa è già inclusa nell’unico pacchetto che può contenere una centrale atomica insieme ad una centrale eolica che si fanno un’ottima compagnia in un bel prato verde. La de-responsabilizzazione si è diffusa largamente in ogni parte interessata, fino ad insinuarsi anche nelle nostre teste: la crisi ecologica e sociale non è causa nostra e neanche del sistema. Da una parte c’è chi con la crisi ne ha fatto il nuovo business, dall’altra c’è chi subisce tutte le conseguenze di un sistema al collasso che fa pagare a vite ed ecosistemi il proprio sfacelo. Niente si salva dalla megamacchina che tutto trita sotto il proprio sostentamento. Come quegli animali resi meri corpi che il dominio ha destinato a un’infinita catena di riproduzione e morte.

Affronteremo delle questioni che ci stanno particolarmente a cuore e che consideriamo della massima importanza come gli sviluppi, le diramazioni e convergenze delle tecno-scienze, la crisi ecologica e con essa la degradazione del vivente. Tratteremo le questioni da vari aspetti e vari sguardi per permettere di costruire un pensiero ed una critica radicale che possa essere una traccia per capire quello che sta avvenendo e soprattutto che non avviene nelle lotte.

Non pubblicheremo di tutto, cosa per altro poi abbastanza improbabile considerando l’esistenza di siti internet e bollettini che già svolgono l’importante lavoro della controinformazione. Punteremo su singoli aspetti:  uno scritto, un’azione che a nostro avviso possa essere utile per capire, per portare dei dubbi e degli interrogativi. Saranno infatti dubbi e interrogativi la nostra prerogativa e non le solite risposte facili e buone solo per fare degli slogan.

L’Urlo della Terra vuole essere una voce di quella resistenza che dura da generazioni e che unisce in un unico filo un Penan del Borneo a chi difende le ultime foreste in Europa, una contadina indiana che protegge la biodiversità dai semi terminator ad un falciatore di campi ogm di una moderna stazione sperimentale in Inghilterra…

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Intestato a Marta Cattaneo, specificare la causale L’urlo della Terra

Buenos Aires : Striscione di solidarietà con Tamara Sol Farías Vergara

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La nostra bellezza sta nella vendetta. Sol Vergara libera!

Oggi (2 febbraio), nelle prime ore del mattino, uno striscione è stato appeso sul ponte pedonale  in Avenida Figueroa Alcorta, a pochi metri dall’ambasciata cilena in solidarietà con la compagna Sol Vergara in attesa di giudizio in una prigione di questa regione.  Un piccolo gesto che cerca di promuovere la solidarietà  e trasmettere forza a Sole e ai suoi compagni.
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Nota di Contra Info : La compagna è stata condannata a 7 anni e 61 giorni di carcere.