NoTav, terrorismo e contro-insurrezione
maggio 2014
Il compressore
maggio 2014
Viene considerata sabotaggio una «azione di disturbo o di danneggiamento intesa a ostacolare il normale svolgimento di un lavoro produttivo, il regolare funzionamento dei servizi bellici del nemico, l’efficienza e la sicurezza dei servizi e dei trasporti pubblici». Ridotto alla sua essenza, il sabotaggio è quindi una pratica di lotta, uno strumento che è possibile mettere al servizio di qualsiasi fine. Un’arma potente che, come tutte le armi, può essere usata da chiunque. Lo zoccolo (sabot) lanciato negli ingranaggi spiega una meravigliosa origine del nome, ma purtroppo non riesce anche ad indicare le motivazioni del gesto. Una fabbrica può essere sabotata dagli operai in sciopero o dai tirapiedi assoldati da un industriale rivale, un mezzo militare può essere sabotato da soldati di un esercito nemico o da disertori, un cantiere può essere sabotato da chi contesta l’opera in costruzione o da chi è interessato agli appalti. Se in ambito reazionario il sabotaggio può essere impiegato anche da difensori dell’ordine stabilito, in ambito rivoluzionario può essere praticato tanto dagli amici di un nuovo Stato che dai nemici di qualsiasi Stato.
Che significa tutto ciò? Che ogni considerazione sulla natura di un sabotaggio – lasciando nelle latrine la sua condanna a priori, e negli asili la sua apologia incondizionata – non può evitare di affrontare sia le motivazioni che spingono al ricorso di questo strumento di lotta, sia il contesto in cui esso si manifesta. In altre parole, dimmi come, quando e perché sostieni il sabotaggio e saprò chi sei.
Ecco, a dirci come, quando e perché sostenere il sabotaggio sono sopraggiunte negli ultimi mesi un paio di pubblicazioni, alla vigilia della manifestazione nazionale dello scorso 10 maggio a Torino, in solidarietà con i quattro NoTav arrestati il 9 dicembre 2013 perché accusati di aver partecipato nella notte fra il 13 e il 14 maggio di quell’anno all’assalto contro il cantiere di Chiomonte. Quella notte di primavera il cantiere si trovò illuminato dal bagliore dei petardi, e alcune attrezzature della ditta responsabile dei lavori andarono in fumo. Tanto è bastato alla Procura di Torino per formulare contro quattro NoTav l’accusa di “terrorismo”. Pochi giorni prima che la stessa Cassazione si esprimesse su questa aggravante, facendola poi cadere, alcuni solidali NoTav hanno diffuso il proprio contributo teorico per «smontare il discorso sul terrorismo» e per svelare «se a terrorizzare sia lo Stato o chi gli si oppone». Stiamo parlando dei due opuscoli NoTav, terrorismo e contro-insurrezione e Il compressore, le cui campane hanno timbri diversi quel tanto che basta per poterli distinguere con facilità. Più rivolto al diritto il primo, più interessato alla storia il secondo, ma scritti sull’onda della medesima esigenza di giustificare e legittimare quanto accaduto quella notte, entrambi seguono spesso lo stesso ritmo.
Ad ogni modo almeno su un punto dello spartito, quello sul linguaggio, i rintocchi sembrano perfettamente sincronizzati. Al ding del «le parole non si accontentano di descrivere il mondo così com’è. Gli danno forma, lo producono come tale, sono elementi materiali. Il campo linguistico è anche un campo di battaglia», risponde il dong del «non essendo il linguaggio uno strumento “neutro”, ma piuttosto qualcosa con cui si dà forma alla realtà, ogni parola reca in sé premesse e decisioni valoriali, interpretative e prospettiche, tutt’altro che scontate». Ora, poiché le parole di certi trogloditi (sempre pronti col dito puntato a fare le pulci agli altri) non vanno ascoltate a prescindere, abbiamo trovato davvero magnifico che a sostenere con chiarezza la praticità del linguaggio sia finalmente qualche sovversivo dall’adeguato pedigree. Ma è stato un attimo, una soddisfazione effimera, spazzata via dal ricordo dell’aneddoto riportato da uno dei più celebri NoTav valsusini, il telemetereologo più amato da certi anarchici. Lui, NoTav sostenitore della Decrescita, stava discutendo con un sindaco SiTav fautore del Progresso, e si sono ritrovati entrambi d’accordo nell’elogiare un libro di denuncia dell’imminente tracollo cui è destinata la civiltà qualora proseguisse la sua folle corsa senza freni. Il brillante umorismo del telemetereologo nell’esporre il paradosso istituzionale – è proprio perché questo mondo corre verso il precipizio che bisogna costruire treni superveloci! – fece ridere a crepapelle i suoi ascoltatori. A noi no, non è venuto affatto da ridere nel veder contrabbandate su questi due testi false promesse per reali premesse.
NoTav, terrorismo e contro-insurrezione è presentato come il «frutto di riflessioni condivise con tanti compagni in giro per l’Italia e l’Europa che hanno avuto a che fare con questo tipo di accusa». Beh, il risultato di questo brain-storming dell’esperienza sovversiva continentale è a dir poco imbarazzante. Questi critici degli «elementi di linguaggio subdoli» utilizzati dai media iniziano la loro introduzione precisando che quando si evoca il terrorismo «nel contesto italiano, c’è un aspetto in più: “gli anni di piombo”, le stragi, i gruppi di lotta armata, un passato cupo e sinistro…». Mamma, che paura! Più che leggere i libri di Giorgio Agamben, sembra che abbiano visto i programmi di Giovanni Minoli. Il piombo che si è beccato Luigi Calabresi è cupo e sinistro quanto quello che ha colpito Giorgiana Masi? I gruppi di lotta armata erano tutti uguali, essendo NAR e NAP, BR e AR… solo lettere incrociabili sullo Scarabeo?
L’intento degli autori è quello di far crollare «l’edificio linguistico e affettivo» costruito dai mass-media attorno alla questione, ma solo per costruirne un altro diametralmente opposto e del tutto speculare. Chi non ama crogiolarsi nel tremendismo dell’accusa di “terrorismo” fa più che bene a rispedirla al mittente. Ma per far ciò, non basterebbe far notare come l’uso indiscriminato del terrore a fini politici calzi perfettamente con chi inquina l’aria, avvelena l’acqua, devasta la terra, contamina il cibo, irradia uranio, fabbrica armamenti, affama continenti, bombarda popolazioni? Non è certo lo Stato, creatore e garante di questa infame società, a poter accusare chi attacca i suoi cantieri (o i suoi funzionari) di seminare panico e terrore. L’incendio di qualche macchinario non terrorizza proprio nessuno (così come il ferimento di un amministratore delegato dell’industria nucleare può spaventare al massimo i suoi degni colleghi o i suoi committenti). Continue reading [Italia] Sabotaggio, bene comune? →