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Terzo numero del giornale ecologista radicale «L’Urlo della Terra»

È uscito il terzo numero del giornale ecologista radicale «L’Urlo della Terra».

In questo numero:

– Una mappa per accedere al cervello
– Gli alberi geneticamente modificati e la bioeconomia
– Verso una stagione di consenso biotech?
– Il selvatico recintato nel panino di Expo
– Note a margine di un corteo ogm
– Francois Kepes, razionalizzatore delle macchine viventi
– Parole in movimento: dialogo con Luana, attivista per la liberazione animale sotto processo a Brescia per la liberazione dei beagle da Green Hill
– Dichiarazione al processo di Green Hill
– Sabotaggio antinucleare: dopo dieci anni si ritorna a processo

Editoriale:

Questi mesi sono stati intensi di iniziative che ci hanno visto come collettivo resistenze al nanomondo e redazione dell’Urlo della Terra in numerosi posti e situazioni per discussioni su temi come l’ecologismo radicale, scienze convergenti, liberazione animale. I nostri incontri pubblici seguono la stessa modalità con cui viene fatto e distribuito questo giornale: non esistono aree precise o interlocutori privilegiati a cui facciamo riferimento. Certo, ci piacerebbe dire che questo è un giornale per “chiunque”, che si potrebbe distribuire ovunque, accendendo animi sopiti. Sappiamo bene che non è così. Sicuramente facciamo riferimento ad ambienti e contesti più sensibili dove perlomeno esiste già una qualche forma di attenzione o preoccupazione per quello che ci succede intorno, dentro di noi, agli altri animali e al pianeta, dove alcuni pensieri possono portare a dei dubbi, a momenti di rottura.

Una rottura con questa normalità sempre più normalizzante che sempre più aliena e abitua a uno sfruttamento che si fa di giorno in giorno più insidioso, portandoci a pensare di trovarci di fronte a un monolite a cui non ci si può opporre, se non con pratiche permeate da una mera parvenza di conflittualità.

Molti dei temi che trattiamo in questo giornale, come gli sviluppi tecnologici, l’ecologismo e l’abbattimento di una visione antropocentrica non rappresentano una novità. Negli ultimi anni si è visto crescere un’attenzione senza precedenti: nei media, nella così detta opinione pubblica e di conseguenza in ogni settore economico. Il grande critico della tecnica Jacques Ellul impiegava spesso una formula che, si è “sempre rivelata esatta”:

“Quando in una società si parla esageratamente di un certo requisito umano è perchè questo non esiste più, se si parla esageratamente di libertà, è perchè la libertà è stata annullata”.

Questa attenzione da parte dello stato, dell’economia e di gran parte delle multinazionali è in continua crescita e si rafforza giorno dopo giorno. Questo processo non è qualcosa di separato dalla società, vengono create delle condizioni tecniche per cui questo mondo sia il più desiderabile possibile. Mai si è parlato tanto della difesa della natura come in questi tempi, non si smette di invocarla, di riferirsi ad essa e consacrarvi magniloquenti dibattiti e profondi discorsi. Tutto questo proprio in un periodo storico che vede una distruzione della natura così forte, un avvelenamento così totale di acqua, terra e cielo, una disumanizzazione così globale che i nostri stessi corpi sono a rischio di monocoltura.

Di fatto, nostro malgrado, ci si trova ad affrontare questioni così vitali dentro a un unico grande calderone dove imperversano associazioni ambientaliste, animaliste, organismi internazionali di protezione della natura, comitati etici…

La cosa si fa ovviamente molto più complessa, soprattutto per chi vuole ancora riconoscere e dare forza ai pensieri e significato alle parole. Il processo che vede il potere accaparratore di istanze “verdi” e “antisistema” non è ineluttabile, è sempre possibile creare momenti di rottura che possano disgregarne alcune parti. Queste fermate non previste possono dare il tempo (nuovo) per allargare lo sguardo e scoprire le interconnessioni e le relazioni che legano le catene dello sfruttamento.

L’ineluttabilità del dominio sembra essere entrata profondamente in noi, tanto che spesso i progetti, le situazioni di critica e opposizione, si presentano come una mera sopravvivenza, quasi una testimonianza. Anche ambienti critici verso l’esistente a volte rimangono intrappolati nel recinto, sembra vi sia una segreta fiducia in questo sistema, si mantiene con esso un legame indissolubile che è frutto della insicurezza e della paura. Si pensa, o probabilmente si vuole pensare, che una qualche soluzione arriverà anche da questo stato di cose. In fondo non siamo sotto una dittatura fascista, non viviamo in una democrazia? Ci si abitua sempre di più a questa vicinanza, a questa coesistenza con il potere. I vari progetti e idee pagano poi il prezzo di questa visione: restano, nella migliore delle ipotesi, parziali, o nella peggiore servono al consolidamento del potere stesso in Green, equo-solidale, animalista…

Anche in ambienti critici si sente parlare positivamente delle possibilità della società tecnica. Con le nanotecnologie, si può anche far progredire la medicina e ultimamente, come ricordano a Expo, con i nanoalimenti si potrà nutrire il pianeta. Sembra di sentire i vecchi discorsi su un uso civile del nucleare e quelli sugli ogm. Ancora una volta quello che si presenta di fronte è una riscrittura della realtà su un copione già noto, cambiano solo i materiali con cui è costruito, anche la manipolazione ritorna sempre, con innovazioni sempre più ricombinabili e inafferrabili nella loro essenza e dimensione.

In pochi, di questi tempi, pensano di impossessarsi degli sviluppi tecnologici per un uso “altro”. In tantissimi però, apparentemente pieni di buon senso, danno il loro contributo ad alleviare le fatiche dello schiavo, ormai abbandonata qualsiasi idea di liberarsi dalla schiavitù. Lo sviluppo tecnoscientifico è questo che porta: non solo nocività che ormai sono ampie quanto il mondo, ma un’obbedienza su base volontaria, un’accettazione senza condizioni, perchè è questo l’unico mondo possibile. Un mondo dove è anche prevista la contestazione, dove ci si può indignare e creare masse anonime di indignati in comunicazione via social network.

Anche molte situazioni di base, autogestite, informali, sono colpite da questi pericoli: il vuoto del non-senso in molti casi ha preso il sopravvento, ed ecco a sostenere pratiche di lotta o idee di cambiamento che sono meno radicali di quelle espresse dagli eco-guerrieri della Green Economy. Questi promettono di sovvertire il mondo per come l’abbiamo conosciuto fino adesso. Sappiamo che non stanno scherzando, ma che lo stanno pianificando passo dopo passo, con strumenti che neanche si riescono a cogliere e immaginarne la portata, e quando occorre c’è sempre la guerra, quella incomprensibile da lontano e terrificante da vicino.

Quando non è la fiducia al sistema a prevalere si vedono nascere progetti e si sentono idee di alternative avverse a questa realtà. A una economia ecocida si risponde con una conviviale e di condivisione. Spesso questi progetti, che partono da una riscoperta della natura e da un’altra convivenza con essa, sono dettati dalle migliori intenzioni. Ma si può pensare di cambiare qualcosa di questo esistente costruendo qualcosa al suo interno? Con i suoi materiali, le sue leggi, i suoi veleni e le sue imposizioni? Dal momento che si dice di coltivare biologico non si è forse già accettato una delle regole chiave della Green Economy, facendo propria la sua propaganda, dove quello che è naturale è già stato sostituito da qualcos’altro, un qualcosa di migliore, che sa di migliorato, in sintonia con la tecno-industria e i suoi supermercati del futuro?

È sicuramente importante, anzi fondamentale, pensare già da subito un mondo diverso e sarebbe importante che questo fosse già rappresentato nei nostri mezzi, nei nostri pensieri e nelle nostre azioni. Ma questo non potrà mai realizzarsi senza sbarazzarsi di quello presente. Il fine non dovrebbe essere solo il chiudere un laboratorio, proteggere una foresta o una valle, dovremmo sempre avere lo sguardo verso la distruzione di questo sistema di morte. Come arriviamo a questo sogno lontano fa la differenza, si possono creare già da subito momenti concreti di libertà in cui il nostro agire, non mediato da calcoli da politicante o dal linguaggio virtuale della macchina, porta a una concreta rottura. Questa ben presto verrà ripristinata, ma saremo sempre

lì a creare la prossima.
Dedichiamo questo numero del giornale a Elia Vatteroni, Baffardello anarchico, che ci ha lasciato in questi giorni di fine estate…

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E’ uscito il n°6 di “BeznAchAlie” + opuscoli sull’anarchismo in Cina

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In questo numero :

-introducion………………………..
-Introduzione………………….
-Anni Dieci:………………………………..
– Lettera agli editori………………………
-io…………………..
-Materiali di lotta contro la guerra e il mondo che la produce…………………
-Il Carmine va a puttane ……………………………………
-WELD ………………………….
-Sull’apologia della violenza ………………………
-Tristezze anarchiche, sui sabotaggi e i lamenti che ne…………….
-Onesti e canaglie…………………………
-Quale verità, quale giustizia? ……………………….
-No, vaffanculo, io non sono Charlie …………………….
-E’ più violento prenderle o darle? ……………………..
-UN TESTO DI NIKOS ROMANOS ………………………
-Grecia – Contro le carceri di tipo C………………………..
-SCRITTO DI FRANCISCO SOLAR SUL CASO PANDORA………………………
-Scritto di Monica Caballero sull’ultima ondata repressiva………………
-prigioniera in lotta Noelia Cotelo Riveiro………………
-Perquisizioni a Mentoulles e Cuneo………………
-REPRESSIONE IN U.K: TAGLIA E MANDATO DI CATTURA PER UN COMPAGNO…
-Comunicato dei prigionieri della sezione AS2 di Ferrara, 14 febbraio 2015…….

In aggiunto, potrete leggere L’anarchica He Zhen e un’opuscolo sull’anarchismo in Cina.

Uscita del numero 5 di Fenrir

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E’ disponibile il 5° numero di “Fenrir”, pubblicazione cartacea anarchica ecologista di supporto ai/le prigionierx, azione diretta, aggiornamenti e analisi sulle lotte anarchiche e di liberazione animale, umana e della terra in tutto il mondo. 72 pagine formato A4.

In questo numero trovate:

– Editoriale
– Se non ora quando? Azioni dirette antiautoritarie nel mondo
– Ricordando Angry
– Si vede più chiaramente al buio… Chiudere le centrali nucleari, staccare la spina al capitalismo e allo Stato
– Individualità tendenti al selvaggio
– Victor Serge, “L’individualista e la società”
– Sabotaggio amico del popolo?
– Tensione individualista e tensione sociale
– Bruno Filippi, “Il me faut vivre ma vie”
– Collasso
– Lettere dal carcere
– Dopo il carcere. Intervista con Jeffrey “Free” Luers
– Tensione sociale e intervento anarchico in Svezia
– Contorni della lotta contro la costruzione di una maxi-prigione a Bruxelles
– Notizie dal necromondo
– La rivolta degli smartphones
– Aggiornamenti sui/le prigionierx e sulla repressione di Stato
– Letture consigliate

Per ricevere una o più copie scrivici: fenrir@riseup.net

Aiutaci a distribuire “Fenrir”, se hai una distro o vuoi un po’ di copie, contattaci!

Il costo è di 3 euro a copia, oppure di 2 euro per ordini di 5 o più copie.

Nuova edizione di «Ai ferri corti»

Nuova edizione di «Ai ferri corti»

Pubblicato nel maggio 1998 dalle edizioni NN, create sette mesi prima da alcuni anarchici che avevano partecipato all’esperienza del settimanale Canenero, questo libello nel corso di 17 anni ha fatto il giro del mondo, essendo stato tradotto in spagnolo, portoghese, inglese (con edizioni sia nel Regno Unito, che negli Stati Uniti, che in Australia), francese, olandese, tedesco… Poiché ha alimentato molte riflessioni, fornito spunti, rafforzato inclinazioni, sollevato dubbi, nonché provocato irritazioni (il concetto di «esistente» soprattutto, nella sua prorompente totalità, si è rivelato piuttosto indigesto a chi aspira ad amministrare almeno qualcosa di ciò che è Stato), si può affermare che nel suo piccolo Ai ferri corti abbia dato il proprio contributo alla diffusione di una prospettiva anarchica insurrezionale autonoma. Una prospettiva al tempo stesso irriducibilmente ostile ai «piccoli passi riformatori» e per nulla affascinata da «una rivolta per pochi intimi a suon di fuochi pirotecnici e slogan mal assemblati». Nate dal rifiuto della falsa alternativa riformismo cittadinista o lottarmatismo avanguardista, queste pagine sostengono perciò la necessità e la possibilità immediata di una poesia insurrezionale fatta da tutti, da non confondere né con la triste propaganda politica né con il roboante comunicato rivendicazionista.

Considerata la sua discreta fortuna internazionale stona quindi che Ai ferri corti non sia più stato ristampato laddove è apparso per la prima volta. Eppure, è proprio in Italia che questo testo ha avuto minore risonanza, vittima dei pregiudizi e dei rancori “identitari” nutriti da gran parte del cosiddetto movimento nei confronti dell’ambito in cui è sorto, nonché di un sostanziale disinteresse verso qualsivoglia approfondimento e dibattito critico in merito. Nel 1998 infatti l’ipotesi insurrezionale veniva guardata con una certa commiserazione dai militanti delle varie scuole — tutti vogliosi di un pacifico «esodo» verso una «sfera pubblica non-statale» — i quali nel migliore dei casi la consideravano una fortuna che poteva capitare in un Chiapas esotico e, nel peggiore, un cataclisma che poteva colpire una rozza Albania. Come se l’insurrezione fosse in grado di sollevare la questione sociale solo a distanza di un oceano, e per lo più attraverso organizzazioni autoritarie, costretta invece in Europa a manifestarsi in effimere e spaventose esplosioni di cieco furore. Tralasciando di soffermarsi su ogni possibile distinzione fra insurrezione, moto e sommossa, quanto accaduto in questi ultimi 17 anni ha fatto sì vacillare tale convinzione, ma senza riuscire a smentirla del tutto. Per quanto inebriante nella sua persistenza, il fuoco greco sembra essere una eccezione in mezzo alla norma di «primavere arabe» o «territori liberati curdi» da una parte, e racaille francesi o riot inglesi dall’altra.

Ciò detto, è innegabile che le forti convulsioni di cui è preda l’intero ordine sociale all’inizio di questo terzo millennio abbiano spento il sorriso di sufficienza di molti sovversivi davanti a chi osa evocare qui ed ora l’insurrezione. Gli scettici di ieri si sono trasformati in entusiasti di oggi al punto da farla diventare addirittura un best-seller internazionale sul mercato editoriale, e mediatico, e militante. Il motivo è facile da capire: la pace sociale che ha accompagnato gli anni 80 e 90, nei suoi aspetti più tronfi e compiaciuti, è terminata. Le ricchezze virtuali non sono in grado di compensare le miserie reali, gli scaffali dei supermercati potranno anche scintillare di merci ma il loro consumo non è più accessibile a chi si trova costretto a tirare la cinghia. Ovvero, a quasi tutti. Oggi la servitù volontaria rimane certo maggioritaria, solidamente maggioritaria, ma ha perduto la sua aria di beota innocenza. Il malcontento, il malessere e l’indignazione si diffondono ovunque in maniera inarrestabile, causando preoccupazioni, panico, ma anche qualche speranza di riscossa. Questi sentimenti di frustrazione verranno pacificati in una nuova coesione sociale istituzionale oppure, dinanzi all’implacabile susseguirsi di «scandali politici», «crisi finanziarie», «catastrofi ecologiche», «guerre religiose»… si scateneranno infine in un’ostilità generalizzata?

Ma allora, se l’ipotesi insurrezionale è tornata all’ordine del giorno, perché proprio in Italia Ai ferri corti sembra non aver lasciato traccia e ricordo nemmeno fra gli stessi anarchici?

Ai ferri corti
pag. 48, 2 euro
l’oro del tempo

[oltre le 5 copie, sconto 50%]
Richieste a: lorodeltempo@gmail.com

[Italia] “Rompere le righe”: Materiali di lotta contro la guerra e il mondo che la produce

Obiettivo del blog romperelerighe.noblogs.org: avvicinare geograficamente e mentalmente il problema della guerra, cuore di questo mondo e della società. Dare al militarismo un nome, un cognome ed un indirizzo come solo modo per spezzare la complicità con i signori dello sfruttamento e della morte e per rompere con la dinamica individuale della servitù volontaria.

“Rompere le righe”, allora. Il titolo non rinvia soltanto al vecchio slogan antimilitarista a favore della diserzione, ma anche alla necessità di sottrarsi all’inquadramento dei cervelli. Righe ben allineate, infine, sono quelle che ci impediscono di comprendere le conseguenze catastrofiche di una società sempre più in guerra con gli uomini e la natura. Rompere le righe significa allora disertare luoghi, parole e logiche dominanti e cercare testardamente un diverso modo di vivere. Rompere le righe significa anche ripetere quelle piccole banalità di base che il pensiero astratto ignora o nasconde ( ad esempio che sul cemento non cresce niente, oppure che non ha molto senso dichiararsi contro la guerra senza poi fare nulla contro le basi che la rendono possibile …). Come si vede, un percorso di resistenza e di liberazione non privo di incognite e di difficoltà. Un percorso tutto da inventare” (da “Rompere le righe”, n. 7, maggio 2009).

Il foglio e l’omonimo blog erano nati come strumenti della lotta contro la costruzione di una base militare a Mattarello (Trento Sud). Il progetto della base è stato alla fine ritirato da Governo e Provincia, ufficialmente in ragione dei tagli al bilancio della Difesa. Vergognosamente, vari politici che mai avevano speso una parola contro la base di Mattarello si sono rallegrati degli ettari di terreno non invasi dal cemento in seguito al cambio di programma governativo. A noi piace pensare che l’opposizione al progetto – in cui siamo stati attivi dall’inizio alla fine – abbia avuto il suo peso nella decisione delle autorità. I lavori veri e propri non erano ancora cominciati, ma su circa un ettaro dei 28 espropriati (e profumatamente pagati ai contadini della zona) era stata fatta una spianata. I lavori preliminari erano stati bloccati più volte e qualche mezzo delle ditte coinvolte incendiato.

La natura ha poi fatto il suo corso. Ed ora la spianata sembra quasi un boschetto, con le piante che hanno bucato il cemento. Esempio di come le costruzioni dell’uomo siano cose effimere rispetto ai cicli della Terra.

Di quei cicli ci sentiamo figli e figlie, pronti a bucare ogni cemento, a spezzare ogni gabbia che trattiene e rinchiude. Con l’abbandono del progetto di Mattarello certo non è certo scomparso il militarismo in Trentino. Non si ragioni, quindi, di sotterrare l’ascia.

A che punto siamo?

La guerra è dappertutto. Con questo blog vogliamo raccogliere materiali ed elaborare riflessioni contro la guerra ed il mondo che la produce. Infatti non ci viviamo la tensione antimilitarista in “senso stretto” come esclusivamente lotta contro la guerra (intesa nel suo significato più tradizionale), ma siamo coscienti che alla guerra “esterna” per l’accaparramento e per la spartizione delle risorse corrisponde (economicamente e socialmente) una guerra “interna” contro gli sfruttati per renderci sempre più precari, controllati e irreggimentati. Operazioni neocoloniali, guerre possibili o indirette fra Stati (l’esempio dell’Ucraina è di per se emblematico), propaganda nazionalista, aggressioni fasciste, razzismo democratico, rastrellamenti nei quartieri e guerra fra poveri sono le meraviglie prodotte dal loro mondo che ci vuole portare – in righe ben allineate – verso l’abisso. L’esempio israeliano è tristemente significativo: dove l’involucro totalitario della democrazia racchiude l’apartheid, il razzismo, la guerra “esterna” e muri e confini “interni”. Il modello gerarchico della caserma è ormai ovunque e, per esistere e riprodursi, ha la necessità di sviluppare e di utilizzare sempre più tecnologie finalizzate alla guerra ed al controllo sociale. Senza queste protesi sviluppate nei centri di ricerca, nelle Università e nei laboratori del dominio, la conservazione del privilegio e le guerre non sarebbero possibili. Questo è uno dei punti per noi fondamentali dai quali abbiamo intenzione di ripartire. La guerra, come già avevamo sostenuto da queste pagine, è sempre di più il cuore di un mondo senza cuore. Alla luce di quello che avviene sempre di più nella nostra quotidianità e attorno a noi sentiamo l’accecante urgenza di una ripresa dell’antimilitarismo, che per noi non può essere che di azione diretta.

In quest’ultimo anno, con l’esempio lampante della situazione Ucraina, stiamo assistendo ad un “ritorno del rimosso” che politici e politicanti, sociologi e buffoni vari al servizio del potere avevano cercato di nascondere o di far dimenticare. E cioè che la guerra è possibile anche nelle forme che avevamo disimparato a conoscere, e cioè come guerra fra Stati. Questa tragica possibilità si fonde sempre di più con un’altra forma di conflitto: quello contro-insurrezionale o di “polizia internazionale” (detto anche “conflitto asimmetrico o di quarta generazione”). Il nostro obbiettivo è semplice ma ambizioso, e cioè di provare a dare un contributo per una possibile prospettiva pratica al rifiuto della guerra, perché esca dalla semplice ed impotente protesta di testimonianza. Una “testimonianza” che si rende funzionale all’interno dell’opinionismo democratico. In sostanza, non si è mai fatto tanto parlare di “pace” come in questo momento dove esistono un’infinità di conflitti. Si tratta di abbandonare la mera lamentazione di fronte all’“idea” guerra per provare a passare all’attacco della “cosa” guerra nelle sue concrete e reali manifestazioni territoriali. La necessità è quella di provare ad inceppare concretamente la macchina bellica in tutte le sue varie ramificazioni.

Fabbricanti di morte a pochi passi da noi. La “Silicon valley d’Italia”: così viene definito il Trentino dai molti sacerdoti ed entusiastici fanatici del progresso e della ricerca. La provincia in cui viviamo, infatti, sia per la sua caratterizzazione sociale (un territorio tutto sommato pacificato e privo di tensioni significative), sia per il particolare status istituzionale di cui gode la “provincia autonoma”, è una candidata ideale per diventare la terra dei laboratori del dominio. In questo territorio è possibile disegnare un vero e proprio mosaico degli orrori con dipartimenti universitari saldamente legati a Finmeccanica, centri e ditte di ricerca che sviluppano sensori e nanotecnologie per alcuni dei prodotti bellici più terribili dell’ultimo decennio (ad esempio come per gli aerei senza pilota “Predator”, già impiegati in Iraq e in Afghanistan), ditte e ricerche sul controllo sociale attraverso l’informatica (come nel caso del “web semantico”), poli di ricerca e strutture trentino-israeliane (come “Create-net” a Trento) ecc. I rapporti di collaborazione con l’industria e l’accademia israeliane (responsabili di fornire strumenti e tecnologie per lo sterminio della popolazione palestinese) sono fra i più significativi in Europa. Non è un caso che il nuovo responsabile di FBK (Fondazione Bruno Kessler, un vero e proprio centro di potere in Trentino) sia Profumo, l’ex ministro della ricerca del governo Monti. Questo per far capire ancora una volta di più quanto sia strategico e fondamentale il ruolo che assume sempre più questa provincia come laboratorio di sviluppo di nuove tecnologie per i dominatori.

L’antimilitarismo come rivolta in primo luogo etica ed individuale. Nel militarismo e nel concetto di guerra si evidenzia al massimo il principio d’autorità e della gerarchia. Secondo noi l’antimilitarismo ha un fondamento che in primis deve essere di natura etica e di insurrezione individuale, scardinando all’interno di noi stessi la meccanica che crea la “servitù volontaria”, disertando la dinamica della “guerra fra poveri” e della “legge del più forte”. Questo è il primo passo per negare la propria vita alla guerra dei padroni per provare a sabotare o ad inceppare il meccanismo della guerra, in ogni forma che si presenti: dal nostro vissuto più quotidiano ai dispositivi tecnologici che rendono possibile l’esistenza di dominatori, sfruttati ed eserciti. Non ci stancheremo di ripetere ancora, come già scrivevamo, che la percezione delle proprie possibilità non è un fatto statico. Nella pratica della rottura (con la routine, le compatibilità politiche, i ruoli della società, il mito del quantitativo) si innalza la temperatura morale e si affina il piacere di vivere. In un’epoca di opinioni all’ingrosso e di passioni tristi, solo battendosi è possibile affinare le idee e allietare gli affetti. A quella “catastrofe che è ogni giorno in cui non accade “nulla” opponiamo l’occasione insurrezionale degli individui, singoli o associati fra loro. La società è un’immensa bomba ad orologeria e gli individui si dividono in coloro che non sentono e in coloro che sentono il ticchettio. Ancora una volta ci rivolgiamo a coloro che lo sentono, e lo maledicono, e non si rassegnano.

L’Urlo della Terra: Nuovo giornale ecologista radicale

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In questo numero:
L’ecologismo radicale e il selvatico   
Le conseguenze sociali e politiche dell’esposizione e dell’uso dei social network   
Memorie dal futuro: la singolarità tecnologica che viene   
Hambach la foresta che resiste: intervista      
Un’altra campagna è possibile…    
Attacco alla Bayer   
Repressione di stato: autorepressione di Nicole Vosper

Editoriale:
In tempi di social network, di relazioni frettolose e più in generale dove il senso delle cose sfuma in una moltitudine quantitativa, rilanciare con un giornale cartaceo può sembrare perlomeno fuori luogo o fuori tempo, secondo quale è lo spazio da dove facciamo partire il nostro sguardo.
Questo strumento non ha alcuna pretesa di essere la soluzione di una qualche mancanza, definita o indefinita, di un preteso movimento o contesto. Sicuramente non ci interessa riempire quel calderone dell’informazione alternativa, che per sua stessa costituzione non  può mai riempirsi per lo sconcerto dei suoi maggiori promotori. Intendiamoci, la controinformazione ha la sua importanza, ma pensiamo che questa non deve rimanere mera informazione e deve essere capita nei contesti dove va ad operare per poter essere successivamente agita nel vivo delle lotte. La consapevolezza critica non è da confondere con l’accumulo di informazioni. Nel pieno dell’informazione mai ci si è ritrovati così poco informati e spaesati come di questi tempi, dove la vecchia cassetta degli attrezzi non contiene strumenti utili e precisi, ma un calderone di attrezzi per tutti gli usi, anche quelli che non conosciamo. Dobbiamo ancora capire qual’è la relazione possibile tra ogni singolo strumento e quel determinato problema che ci troviamo ad affrontare.

Per affrontare i problemi che  di fronte a noi non vanno certo a diminuire, ma semmai si moltiplicano e convergono tra loro lasciandoci sempre indietro, di strumenti ne servono, non se ne può fare a meno se si vuole mettere insieme una progettualità, seppur limitata e circoscritta al momento. I tempi corrono con tutte le possibili esperienze che si possono fare e incontrare: tutti questi momenti e situazioni sono li a dimostrarlo, dotarsi di un progetto, che non è da confondere con le strategie, si rende fondamentale se si vuole essere per questo sistema qualcosa di più di un semplice fastidio occasionale.

L’urlo della Terra si fa sempre più lacerante, tanto che ormai sembra diventata l’abitudine. Questo urlo però non parla soltanto di un pianeta che muore sempre di più sotto i colpi della  civilizzazione, che si degrada e si impoverisce anche di senso insieme ai suoi abitanti animali e non. C’è anche una Terra che si ribella, che lotta e resiste nonostante tutta questa situazione. Di fatto quello che fa la differenza, che è immediatamente comprensibile senza tanti sofismi, è il non essere complici di quella distruzione e degradazione del vivente che è stata portata avanti fino adesso e di quella che verrà, che è decisamente più tenace e soprattutto irreversibile nelle sue conseguenze ultime.

La non collaborazione con questo sistema di morte non è abbastanza: la disobbedienza è di fatto tollerata perché recuperata o recuperabile, al contrario invece della conflittualità permanente, quella insuscettibile di ravvedimento che non trova soluzione ai problemi sedendosi allo stesso tavolo con chi sfrutta e bombarda nella nuova veste democratica.

Il nuovo tecno-totalitarismo non è solo quello dell’imposizione, ma soprattutto quello della partecipazione, della coesistenza: si è chiamati tutti e tutte a collaborare su base volontaria al proprio sfruttamento, perché un’altra possibilità non esiste. Di fatto l’alternativa è già inclusa nell’unico pacchetto che può contenere una centrale atomica insieme ad una centrale eolica che si fanno un’ottima compagnia in un bel prato verde. La de-responsabilizzazione si è diffusa largamente in ogni parte interessata, fino ad insinuarsi anche nelle nostre teste: la crisi ecologica e sociale non è causa nostra e neanche del sistema. Da una parte c’è chi con la crisi ne ha fatto il nuovo business, dall’altra c’è chi subisce tutte le conseguenze di un sistema al collasso che fa pagare a vite ed ecosistemi il proprio sfacelo. Niente si salva dalla megamacchina che tutto trita sotto il proprio sostentamento. Come quegli animali resi meri corpi che il dominio ha destinato a un’infinita catena di riproduzione e morte.

Affronteremo delle questioni che ci stanno particolarmente a cuore e che consideriamo della massima importanza come gli sviluppi, le diramazioni e convergenze delle tecno-scienze, la crisi ecologica e con essa la degradazione del vivente. Tratteremo le questioni da vari aspetti e vari sguardi per permettere di costruire un pensiero ed una critica radicale che possa essere una traccia per capire quello che sta avvenendo e soprattutto che non avviene nelle lotte.

Non pubblicheremo di tutto, cosa per altro poi abbastanza improbabile considerando l’esistenza di siti internet e bollettini che già svolgono l’importante lavoro della controinformazione. Punteremo su singoli aspetti:  uno scritto, un’azione che a nostro avviso possa essere utile per capire, per portare dei dubbi e degli interrogativi. Saranno infatti dubbi e interrogativi la nostra prerogativa e non le solite risposte facili e buone solo per fare degli slogan.

L’Urlo della Terra vuole essere una voce di quella resistenza che dura da generazioni e che unisce in un unico filo un Penan del Borneo a chi difende le ultime foreste in Europa, una contadina indiana che protegge la biodiversità dai semi terminator ad un falciatore di campi ogm di una moderna stazione sperimentale in Inghilterra…

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[Genova] Il Mainasso: Rompere l’isolamento

Per chi possa aver piacere nell’utilizzarla in iniziative, banchetti, cene, aperitivi, presidi ecc. ecco una mostra che abbiamo preparato: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12.

Si tratta di un lavoro senza pretese, una raccolta di testi – impaginati come pannelli da esporre – usciti dalle carceri e dalle aule di tribunale negli ultimi anni. Sempre perchè riteniamo fondamentale, al di là delle differenti inclinazioni, sostenere costantemente chi si assume la responsabilità delle proprie parole e delle proprie azioni, pagandone anche le conseguenze in maniera pesante.

La mostra prevede ancora un’appendice alla parte sulle dichiarazioni e un’ulteriore sezione sulla questione dei processi in video conferenza. Coi nostri tempi (!) arriverà anche il resto.

La mostra potete scaricarla dal blog: Il Mainasso

Se notate errori, imprecisioni ecc. e ne avete voglia, fateceli notare! Se qualcuno sa dove trovare la dichiarazione di Vincenzo per la sentenza G8, ci dica dove.

[Italia] Gratis Edizioni – Nuovo titolo, nuovo sito

Bruno Filippi
Ho sognato un mondo in fiamme roteante nell’infinito

È la sera di domenica 7 settembre 1919. La Galleria Vittorio Emanuele II, a Milano. Qui le ricchezze solidificate in pietra grigia, il privilegio celebrato dalle volte monumentali, accolgono l’alta borghesia meneghina giunta a riposarsi e a digerire il lavoro settimanale – sfruttare i poveri – ai tavolini di esclusivi caffè. È la stessa borghesia che pochi anni prima ha fatto affari con la Grande Guerra, la stessa borghesia che solo sei mesi prima in quella città ha tenuto a battesimo il fascismo per difendersi dalla minaccia sovversiva sollevata e trasportata dalla rivoluzione russa. All’improvviso, in quella serata di fine estate, un’esplosione squarcia l’aria e semina il panico fra i presenti. Una bomba, destinata forse al ristorante Biffi o forse al Club dei Nobili, è esplosa in anticipo sui tempi. Unica vittima, l’attentatore. Il suo nome è Bruno Filippi, ed ha solo 19 anni. Ma per il suo focoso antimilitarismo, ha già conosciuto la galera. Per le sue speranze in una catastrofe palingenica, ha già combattuto nelle trincee. Per la sua impazienza rivoluzionaria, si è già scontrato con i riformatori di sinistra. Anarchico individualista, da un lato non ama le folle che si lamentano ed implorano un paradiso nel futuro, dall’altro odia le cricche che comandano ed opprimono nell’inferno del presente. Fra le prime diffonderà i suoi scritti iconoclasti, alle seconde scaglierà la sua dinamite e il suo vetriolo.

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Il punto di partenza per questo libro è stato ovviamente la raccolta di articoli di Bruno Filippi edita nel 1920 a cura dell’Iconoclasta! — il periodico di Pistoia cui collaborava — e ristampata a Firenze nel 1950. Tuttavia, andando a sfogliare le annate di quel giornale, ci siamo accorti che alcuni dei suoi testi là pubblicati erano rimasti esclusi. Inoltre la sua firma anche su Cronaca Libertaria ci ha fatto sorgere il dubbio che egli avesse potuto scrivere pure su altri periodici anarchici dell’epoca. Abbiamo così allargato la nostra ricerca anche a Il Libertario di La Spezia e L’Avvenire Anarchico di Pisa, trovando in effetti qualcosa. Da questi stessi giornali abbiamo tratto anche alcuni testi comparsi dopo la sua morte. Non sappiamo se siano presenti altri suoi scritti qua e là nelle pubblicazioni libertarie di quel periodo, magari sotto pseudonimo. Abbiamo deciso di iniziare questa antologia con due articoli relativi il suo primo processo, quello del 1915; il primo apparve all’epoca dei fatti, il secondo fu pubblicato postumo, in una sorta di omaggio. Abbiamo poi ripreso alcune delle sue lettere scritte alla famiglia, già apparse nella sua vecchia raccolta, tralasciando solo quelle più personali e strettamente familiari. Dopo i suoi articoli, disposti in ordine cronologico in base all’anno in cui videro la luce, questo libro si conclude con un’ampia selezione di testi commemorativi.

Il libro sarà disponibile da metà novembre. Per richiesta di copie, scrivere a trrivio@gmail.com oppure a grotesk@libero.it

Gratisedizioni.org A questo indirizzo troverete il nostro nuovo sito (oltre al nuovo catalogo), aggiornato. Ma, soprattutto, arricchito. Abbiamo pensato infatti di realizzare un sito che non fosse solo il riflesso telematico della carta stampata, ma anche un prolungamento. Laddove possibile, le pagine di presentazione dei vari titoli conterranno una appendice (testi inediti, recensioni, introduzioni straniere…) che potrà aumentare col tempo. Pur nella sua virtualità speriamo di rendere questo sito una specie di miniera, piena di anfratti, gallerie, cunicoli, da perlustrare ed esplorare alla ricerca di qualche filone prezioso. Gratisedizioni.org non si rivolge quindi esclusivamente ai “navigatori” eventualmente interessati a procurarsi qualche nostro titolo. Anche chi è già un nostro lettore avrà ora buoni motivi per perdersi al suo interno.

[Belgio] Si vede più chiaramente al buio

Chiudere le centrali nucleari, staccare la spina al capitalismo e allo Stato

Due cose importanti
Almeno due cose si possono dedurre dall’atto di sabotaggio di una turbina elettrica nella centrale nucleare di Doel nell’agosto 2014.* Due cose importanti, che tuttavia non abbiamo letto da nessuna parte.

Primo. Anche se il nucleare genera una contaminazione duratura e difficilmente risolvibile, è comunque possibile fermare la produzione energetica di queste centrali di morte. La lotta contro il nucleare non significa solo che quest’ultimo è all’origine di catastrofi e di radiazioni permanenti, dell’avvelenamento per lungo tempo dell’ambiente, ma anche che la stessa esistenza del nucleare ipoteca ogni prospettiva di libertà e di auto-organizzazione, perché il suo mantenimento e la sua gestione implicano necessariamente una struttura autoritaria e verticista, una struttura militarizzata.

Secondo. Che il sistema economico e statale vigente è del tutto dipendente dal flusso continuo di elettricità, pena la paralisi. Fabbriche, commissariati, ministeri, trasporti, amministrazioni: tutte le strutture fondamentali dell’oppressione statale e dello sfruttamento capitalista hanno in comune la loro dipendenza dall’energia. E quando le cose sono ferme, qualcos’altro può finalmente cominciare a muoversi.

Contro il nucleare
A partire dalla costruzione delle prime centrali, gli amministratori dell’esistente sfruttano la paura delle imprevedibili conseguenze di una catastrofe nucleare. Quelli che abitano attorno a queste centrali (e in Europa, in realtà sono tutti quanti) dipendono dai suoi costruttori per proteggersi contro lo scatenamento di una simile catastrofe tecnologica. In effetti, di fronte a ciò, di fronte alle radiazioni, di fronte alle «fughe», sono ancora gli stessi nucleocrati che hanno reso la catastrofe possibile a precipitarsi per «gestire» la situazione: con piani di evacuazione, presunte decontaminazioni, trattamento della centrale ferma… Questi specialisti e la loro struttura di comando fortemente gerarchizzata diventano così indispensabili. Inoltre, ogni centrale nucleare produce anche tonnellate di scorie radioattive che questi specialisti seppelliscono tranquillamente sotto terra sperando che tutto andrà bene. La loro radioattività è ormai dappertutto (a causa delle scorie, delle radiazioni, delle «piccole» fonti come i laboratori, gli ospedali, le fabbriche, le bombe d’uranio impoverito…), causando leucemie e cancri, modificando le strutture genetiche delle piante e degli esseri viventi, contaminando il pianeta in modo irreversibile.

Domandarsi perché esiste il nucleare, è comprendere le ragioni per opporvisi fermamente. Le centrali nucleari producono l’energia necessaria alle tecnologie del capitalismo. Le centrali producono l’energia che determina le strategie geo-politiche (come fanno anche il petrolio e il gas), modellando così la concorrenza e la collaborazione fra Stati. Producono la dipendenza delle persone dai loro oppressori. Esse producono la sottomissione alle gerarchie che gestiscono e mantengono questo mondo. Producono la pace sociale.

Il nucleare deve quindi essere fermato, nelle centrali e nella ricerca, nelle sue applicazioni militari e nelle sue applicazioni civili, è un passo necessario sul cammino verso la libertà.

Paura
Dopo il sabotaggio della centrale di Doel, i politici hanno parecchio evocato la minaccia di un black-out, di una panne di elettricità generalizzata. A sentire le loro parole, si potrebbe pensare d’essere all’alba di un’apocalisse da incubo. C’è un profluvio di appelli ad un «consumo responsabile», ma anche a preservare la calma e l’ordine. Per far fronte ad una potenziale carestia, lo Stato ha lanciato un piano alternativo che consiste nel tagliare l’elettricità alle persone piuttosto che ad uffici, fabbriche, commissariati, ministeri. L’economia e la sicurezza innanzitutto, com’è ovvio.

Se i politici parlano di black-out, cercano magari di intimorire la popolazione al fine di ottenerne la sottomissione. Evocare una penuria elettrica significa effettuare un lavoro di preparazione mentale per la costruzione, poniamo, di una nuova centrale nucleare. Ma non viene mai posta la questione del perché tutta questa produzione d’energia sia necessaria. Eppure, la moderna voracità del capitale si potrebbe forse misurare attraverso il suo consumo energetico. Per dare un solo esempio: portare i ricchi, gli eurocrati e i manager in 1h20 con un Thalys da Bruxelles fino a Parigi necessita di una quantità d’energia elettrica equivalente al consumo annuo medio di cinque abitazioni di Bruxelles!

Allora, vincere la paura che il potere cerca di distillare in relazione ad un eventuale black-out non significa voler cortocircuitare gli ospedali e gli ospizi come vorrebbe farci credere lo Stato. Lo Stato designa ogni critica, ogni azione di sabotaggio contro la dipendenza elettrica, come “terrorismo”, mentre è esso stesso a seminare paura, a brandire lo spettro del terrore che costituirà un bel taglio nella normalità, a bombardare e saccheggiare intere regioni per assicurarsi l’accesso al petrolio, al gas, alle materie prime.

Dobbiamo smascherare le menzogne dello Stato, il quale sostiene che siamo tutti nella stessa barca e che bisogna perciò fare tutti degli sforzi per occuparsene. Ma le cose non stanno così. Ci troviamo sulla sua barca nostro malgrado, o in ogni caso senza averlo mai veramente scelto. Incatenati come schiavi delle galere di un tempo pur di far funzionare la macchina. Alienati dalla vera vita, dato che nascendo e morendo nel guscio della barca, nel guscio del lavoro, dell’obbedienza, del consumo, i nostri occhi non hanno mai potuto scrutare l’orizzonte o il cielo. Allora, se il potere dice che è “terrorista” voler far inabissare la barca, è proprio perché vuole conservare il suo potere sugli schiavi incatenati. Allora, sta a te scegliere fra restare incatenato tutta una vita o liberarti rischiando perfino di nuotare da solo; a te scegliere tra la sottomissione e la rivolta, tra l’obbedienza e la dignità.

Sabotaggio e paralisi dell’economia
Che cos’è il capitalismo? La questione è complessa e può essere affrontata in mille maniere diverse, di cui distingueremo qui tre aspetti fondamentali.

Innanzitutto, c’è il modo capitalista di produzione, la produzione di merci. La produzione viene realizzata attraverso strutture (la fabbrica, il laboratorio, le macchine…) e manodopera (operai, impiegati, salariati…). Il capitalista ottiene profitto investendo nelle strutture e sfruttando la manodopera (ovvero, retribuendola meno di quanto produce realmente in termini di valore capitalista). Qui la cosa importante è che la produzione sia perciò dipendente dall’obbedienza della manodopera, perché se quest’ultima non vuole lavorare, la macchina non gira; e che questa produzione sia dipendente anche dalle strutture, perché una fabbrica dinamitata non può più produrre niente.

E poi, c’è un modo capitalista di scambio, ovvero il consumo, il commercio, la circolazione delle merci. Per questo, il capitale deve generare dei mercati per spacciare i prodotti, quindi creare dei bisogni; deve far circolare il denaro attraverso le banche, le borse, gli investimenti, perché un euro investito qui non genera lo stesso rendimento di un euro investito là; e soprattutto, ciò che qui ci interessa più in particolare, necessita di infrastrutture per realizzare questa circolazione. Ferrovie e porti per inviare le merci, reti di comunicazione per organizzare lo scambio e la circolazione, reti elettriche per far girare tutto questo. Il capitalismo è quindi dipendente da flussi continui, sia materiali (merci, manodopera, materie prime, energia) che immateriali (informazioni, dati, risultati della ricerca…).

Infine, c’è la riproduzione del rapporto sociale capitalista, ed è forse il centro di tutta la questione. I rapporti sociali determinano il ruolo ed il comportamento di ciascuno in questa società: del ricco come del povero, del capitalista come del salariato, del poliziotto come del prigioniero. Ma questi rapporti non sono «ideologici», perché si realizzano in uno spazio concreto. Il povero ha il suo posto in una gabbia da polli, il ricco nella sua villa. Il carcere, con le sue celle, le mura e il filo spinato, rinchiude gli individui e crea così i ruoli di prigioniero e di guardiano. Questa riproduzione del rapporto sociale coincide oggi quasi interamente con la continuità della normalità; in altre parole, finché il tran-tran quotidiano continua ogni giorno ad avanzare nello stesso modo, il potere non deve temere che si mettano in discussione i ruoli che ci impone. E questo tran-tran quotidiano può essere sabotato. Può essere cortocircuitato.

Se l’insieme del controllo, dello sfruttamento, dell’oppressione dipendono notevolmente dall’energia, è logico che tutte le piccole infrastrutture ripartite attraverso il territorio saltino agli occhi dei ribelli: centraline elettriche, cavi sotterranei, trasformatori, cavi di fibre ottiche, relé di telefoni portatili… Queste strutture sono così numerose e disseminate che il potere non potrà mai proteggerle tutte efficacemente dai gesti di rivolta, dai sabotaggi diffusi e ripetuti.

Se la pratica del sabotaggio non può trasformare da sola il rapporto sociale capitalista e autoritario, è comunque certo che, finché la macchina continuerà a girare, non si può sperare nessuna messa in discussione dell’esistente. L’onnipresenza del dominio esige una prima rottura nel corso normale delle cose, perché è unicamente grazie a tale rottura che possiamo sperare di avere un momento nostro, un momento per riflettere dove ci troviamo e per immaginare un altro mondo. È strano, ma in qualche modo c’è come l’intuizione che si vedrà più chiaramente al buio…

Fonte: Hors Service, n. 46, ottobre 2014, via Finimondo

* All’inizio di agosto di quest’anno il reattore della centrale di Doel4 si è fermato. A causarne l’arresto è stato un sabotaggio che ha interessato la turbina a vapore nella parte non-nucleare della centrale. 65000 litri d’olio della turbina sono defluiti verso un deposito sotterraneo destinato a recuperare l’olio in caso d’incendio. Per la mancanza di lubrificante la turbina si è surriscaldata e si è automaticamente fermata. Il blocco di questa centrale rischia di provocare nell’imminente inverno un black-out in Belgio e nei paesi limitrofi.

[Italia] È uscito Blasphemia, aperiodico anarchico

[…]
Questo giornale nasce dall’insofferenza ai settarismi che sembrano essere in espansione anche dove meno li si attendeva, ha la pretesa di stimolare riflessioni, che portino ad incontrarsi, non su una affinità ridotta alla familiarità che ci lega a volti e presenze scontati…
[…]
Chi scrive si è incontrato ed ha sentito l’impulso di mettere tutto in discussione, di non dare niente per scontato, di ricominciare a ragionare e a seguire l’intimo desiderio di distruggere il mondo. Per farlo occorrono idee, occorre coraggio, occorrono progetti, teorie e azioni, conoscenze e irriverenze, prospettive e ricerca, là dove è possibile, di affinità. È necessario tornare ad osare nei pensieri e nelle azioni. Senza attese, senza indugi, senza chiese.

Questi sono alcuni degli argomenti che cercheremo di affrontare ed approfondire nelle pagine che seguiranno, convinti della necessità per i compagni, aldilà dei confini territoriali, di incontrarsi, scontrarsi, discutere, progettare, agire.

In questa scia di pensiero si inserisce la motivazione per cui si è deciso di non fare circolare la rivista che avete sotto mano attraverso internet. Il modo in cui si diffonde un’idea è parte integrante del percorso di lotta, soprattutto se questa idea è un tutt’uno con la pratica, ragion per cui non può essere affidata ad uno strumento di comunicazione che non solo è invenzione, usufrutto del nemico, ma può essere responsabile della creazione di realtà fittizie.

C.P. 116
Piazza Matteotti
80133 Napoli, Italia
blasphemia@autistici.org

[Italia] Nuovo sito – Croce Nera Anarchica!

Il Progetto

Fuochi di rivolta continuano a rischiarare le tenebre di un mondo altrimenti volto all’annientamento dell’ individuo ed alla schiavitù omologata: ad attizzare questi fuochi e ad accenderne nuovi queste pagine sono destinate.

Uno dei pochi vantaggi forniti dalla parossistica ricerca di informazione globale è lo scoprire che anche agli antipodi ci sono cuori che battono allo stesso ritmo dei nostri e che armano mani abili a fare molto più che battere su una tastiera. La corsa verso l’abisso della società tecnologica si fa sempre più forsennata, ma i combattenti di tutto il mondo tengono il passo e pur a rischio di venir schiacciati da un mostro così gigantesco, provano ad ostacolarlo e farlo cadere a terra. Adesso è il momento di rimboccarsi le maniche e fare sempre di più.

Con questa tensione abbiamo deciso di dar vita ad una nuova Croce Nera Anarchica. Iniziamo questo percorso con la consapevolezza di vivere in tempi in cui è sempre più facile pagare ad alto prezzo la scelta di continuare a diffondere certe idee e pratiche, ma abbiamo sempre sostenuto che la rassegnazione sia complicità e- sebbene non siamo tra quelli che reputano che “la penna valga quanto il fucile” – risulta oramai evidente che anche all’interno del cosiddetto movimento anarchico si sia venuta a creare una intollerabile omogeneità di pensiero, che le pratiche collegate appaiano sempre più il risultato di un’asta al ribasso e che quindi sia imprescindibile tornare a far sentire altre voci. Rompiamo il silenzio assordante di questi ultimi anni, consapevoli del fatto che certe voci, le nostre, troppo a lungo non si sono fatte sentire.

Questa nuova Croce Nera nasce con lo specifico obiettivo di diventare una palestra di idee con come minimo comun denominatore la centralità della pratica distruttiva : non basta più usare la definizione “azione diretta”, visto che sembra aver acquisito il significato di “tutto ed il contrario di tutto”… Ovviamente daremo il più ampio spazio possibile al contributo dei compagni finiti nelle maglie della repressione, senza ridurci ad una sorta di croce rossa ridipinta, ma supportando in ogni modo la continuazione del loro percorso di lotta.

Lo scopo del progetto, che mai dovrà assumere i toni o le forme dell’assistenzialismo, è quello di rilanciare certe idee e conseguentemente certe pratiche.

Speriamo che, partendo da questi presupposti, si crei un reale dibattito, che non scada mai nella misera partigianeria, ma vivo a tal punto da farsi acceso fino allo scontro, perché siamo stanchi di un tiepido e possibilista “va bene tutto”.

Abbiamo deciso di dare forma cartacea al bollettino, più tangibile e duraturo dello scorrimento veloce della rete, mantenendo comunque il corrispondente blog con fondamentale funzione di volano e di strumento più rapido per la diffusione di notizie e comunicati su azione e repressione. Sentiamo la scelta della forma fisica del giornale non come sterile feticcio nostalgico, ma convinti che non ci si possa continuare a lamentare dei danni distruttivi della società tecnologica e ignorare come anche noi anarchici ci si sia lasciati ridurre a semplici “utenti” di un mondo sempre più virtuale in cui anche le lotte rientrano nell’idiota meccanismo di essere maggiormente “di successo” in base a quanti più “mi piace” ricevono…

Inoltre desideriamo ricreare un luogo fisico in cui incontrarsi, confrontarsi e trovare nuovi complici. Ci aspettiamo di ricevere molti contributi, anche critici e faremo il possibile per creare occasioni per presentare in bollettino e finalmente tornare a guardarsi negli occhi mentre si parla di quello che continua ad essere il nostro più ardente desiderio: la distruzione di quest’esistente che ci annichilisce e la gioia di contribuire a vederlo crollare in macerie.

aprile + maggio 2014 …

[Italia] E’ uscito il 4° numero di “Fenrir”, pubblicazione anarchica ecologista

Dopo una lunga assenza è uscito il 4° numero di “Fenrir”, pubblicazione cartacea anarchica ecologista di supporto ai/le prigionierx, azione diretta, aggiornamenti e analisi sulle lotte anarchiche e di liberazione animale, umana e della terra in tutto il mondo.

In questo numero trovate:

– Se non ora quando? Azioni dirette antiautoritarie nel mondo

Azioni dirette contro le carceri in Belgio
Brasile in rivolta contro la vivisezione
Liberazione animale in Italia
Attacco al dominio della scienza e delle multinazionali

– Alcune note sull’anarchismo e il mito proletario, di S.E.Parker

– L’individuo e la liberazione totale

– Esercizi di memoria rivoluzionaria: il GARI (Gruppi di Azione Rivoluzionaria Internazionalista)

– Ultime notizie dalla resistenza indigena. La lotta Mapuche non si arresta

– Riflessioni dalla lotta minoritaria in Cile. In insurrezione permanente contro l’oblio, il silenzio e l’alienazione che alimentano il potere, di Sin Banderas Ni Fronteras

– Dichiarazioni in aula di Alfredo Cospito e Nicola Gai

– Solidarietà è complicità

– Liberazione animale e anarchia

– Lettere dal carcere

– Grecia, arrestati compagni anarchici per una doppia rapina. Una piccola narrazione di una storia di illegalità

– “I nostri giorni passano, le nostre notti no”. Testo dei 4 anarchici greci arrestati riguardo alla doppia rapina di Kozani

– “I banditi sociali più ricercati della Grecia”. La storia dei fratelli Palaiokostas.

– Un soggetto difficile

– Quale anti-civilizzazione? di Elisa Di Bernardo

– Allora, come diventare selvaggi? di Wolfi Landstreicher

– Notizie dal necromondo. Ultime novità dalla ricerca su biotecnologie, nanotecnologie, manipolazione genetica e altre aberrazioni

– La solidarietà è la nostra arma. Aggiornamenti sui/le prigionierx e sulla repressione di Stato

– Indirizzi dei/le prigionierx e ultimi aggiornamenti prima di andare in stampa

– 23/30 agosto 2014 settimana dedicata ai/le prigionierx anarchicx: appello per una mobilitazione internazionale

Per ricevere una o più copie scriveteci: fenrir@riseup.net

Aiutaci a distribuire “Fenrir”, se hai una distro o vuoi un po’ di copie, contattaci!

Italia: Aggiornamenti sulla censura in AS2 del carcere di Ferrara

28 gennaio 2014 – Continuano la censura ed il sequestro arbitrario di corrispondenza e stampa anarchica, in entrata ed in uscita, dalla sezione di Alta Sorveglianza di Ferrara: lettere e aggiornamenti informativi stampati dai siti e blog di movimento consegnati con settimane di ritardo, stampa anarchica di lingua inglese trattenuta e sequestrata da due mesi, corrispondenza con alcuni compagni in carcere all’estero bloccata e sequestrata dalla censura.

Va ricordato che nella sezione AS2 ferrarese sono rinchiusi unicamente tre anarchici [Adriano Antonacci, Nicola Gai e Alfredo Cospito] e che non hanno alcuna possibilità di contatto con il resto dei prigionieri, tutto questo concorre ad ostacolare se non impedire di fatto qualsiasi intervento attivo nelle discussioni fuori, visto che le notizie arrivano tardi e con il contagocce.

Alfredo in particolare chiede di far presente la situazione (l’ultimo episodio –di cui ha ricevuto notizia la scorsa settimana dall’amministrazione penitenziaria– è il sequestro di una sua lettera/intervista indirizzata ai compagni in carcere in Grecia delle CCF, bloccata due mesi fa e mai uscita dalle mura del carcere) e ribadisce solidarietà e vicinanza ai quanti continuano ad agire, in Italia ed all’estero, ai compagni prigionieri ed in particolare alla compagna Tamara Sol Vergara, sequestrata dallo stato cileno per aver attaccato un guardiano del BancoEstado, in solidarietà a Sebastian Oversluij, anarchico ucciso durante un esproprio.

Per scrivere ai compagni …
Alfredo Cospito – Nicola Gai
C.C. Ferrara, Via Arginone 327, 44122 Ferrara (Italia)

Più d’informazione : nidieunimaitres@gmail.com