A causa di un disguido tecnico la firma “Individualità anarchiche di Firenze e dintorni” non è stata stampata sul manifesto Furor manet. Ce ne scusiamo vivamente con i compagni e le compagne.
Cassa antirep alpi
Chiunque dimentica i prigionieri della guerra sociale, ha dimenticato la guerra stessa!
(Parigi, 2016)
Lo Stato colpisce e continuerà a colpire gli anarchici e i rivoluzionari fintanto che questi saranno degni del loro nome.
Il processo Scripta Manent, cominciato nel giugno del 2017, riguarda 40 anni della storia del movimento anarchico, di cui siamo parte, e sta proseguendo con un ritmo serrato.
Il cardine del teorema accusatorio di questa inchiesta si basa sulla differenziazione fra anarchici “buoni” e “cattivi” e su una interpretazione strumentale, da parte dell’apparato repressivo, del dibattito interno al movimento anarchico.
Tra gli intenti di questo processo vi è anche il tentativo di annichilire la tensione verso pratiche radicali di attacco senza mediazioni contro lo Stato e il Capitale. Pratiche che stanno alla base di ogni percorso rivoluzionario e d’insurrezione.
Non rimarremo in silenzio di fronte a questo ennesimo tentativo di mettere al bando la volontà di sovvertire l’ordine costituito.
Non riconosciamo l’ormai nota strategia repressiva di differenziazione, quindi vogliamo ribadire la nostra complicità ai compagni e alle compagne prigioniere e agli indagati dell’Operazione Scripta Manent ed esprimere il nostro sostegno alle pratiche di cui sono accusati, che sono patrimonio del movimento rivoluzionario.
Presenza solidale in aula
Giovedì 14 giugno dalle ore 9,00
Aula bunker del carcere Le Vallette di Torino
Riflessioni ed aggiornamenti su di un processo
Non ci sono grosse riflessioni da fare su di un episodio repressivo, in fondo si tratta del semplice e ciclico presentarsi di azione e reazione – e neppure su quanto giochi sporco la repressione – altro fatto ben noto, al limite qualche nota a margine sullo svilupparsi delle sue tecniche e strategie.
Questo cercherò di fare, a più di un anno dagli arresti, a processo iniziato, aperta una breccia nella campana di vetro censoria e scoperte le carte giudiziarie, nella complessità della loro miseria, dopo lo scarno resoconto sullo scorso numero di Croce Nera e gli ulteriori sviluppi a cavallo della chiusura delle indagini e dell’udienza preliminare.
Prima di qualsiasi valutazione però, mi preme ribadire, semplicemente, l’orgoglio nell’anarchia e negli anarchici che mi hanno permesso di nutrirmi di solidarietà fatta azione, scritti, rabbia rimbalzata oltre i cancelli e da carcere a carcere, mostrando ancora una volta quanto la tensione anarchica sia viva, attuale e capace di irridere le categorie e saltare gli steccati che la repressione vorrebbe imporre, scrollandosi di dosso la zavorra di paure e del mito del consenso.
Ho sempre pensato che l’anarchia sia una cosa seria, se praticata da donne e uomini dotati di ragione ed istinto, di qualcosa che – quando viene chiuso nelle gabbie e nelle strettoie del dominio – gli si ritorce contro e si fa forza delle debolezze che vorrebbero istillare. Siamo qui per questo, in una partita a dadi senza fine tra l’autorità e la sua negazione.
Ho sempre pensato pure che l’anarchia abbia l’indubbio privilegio di poter poggiare su di un potente retroterra filosofico, storico e culturale, commisto ad un atavico istinto alla negazione: elementi che ancor oggi si miscelano spontaneamente in efficaci ricette distruttive.
“L’anarchia, quando vuole, essa è potente”, per citare il compagno anarchico Panagiotis Argyrou in un suo comunicato solidale, di quest’estate, agli arrestati al G20 di Amburgo.
L’idea anarchica continua ad esser un problema per l’autorità rendendo palese, alle menti libere, la concretezza insita nella sua negazione.
Non voglio creare equivoci però, non esistono meri processi alle idee: quando la repressione colpisce avviene sempre in seguito a fatti, azioni ben precise che vanno ad intaccare la quiescenza sociale diffusa e l’assuefazione al controllo tipiche di questi anni.
Azione e reazione: si istituiscono processi agli anarchici per quello che gli anarchici sono, nemici dello stato.
La repressione – e la conseguente codificazione ed applicazione del codice penale – cambiano forma e si adattano a seconda delle contingenze e del grado di pericolosità dello scontro in atto: possono muoversi con ferocia vendicativa, facendo tabula rasa di tutto quanto si para loro davanti, con blando paternalismo o con tutta una serie di gradazioni intermedie. A volte sono i refrattari stessi a dare il ritmo all’azione, a volte subiscono, e reagiscono – ai contraccolpi repressivi. Spesso si lamentano di muoversi quando stretti alle corde, piuttosto che attaccare per primi. Bisogna però aver coscienza che patire i colpi, non significa esserne “vittime”.
Sarà che per troppo tempo quello di vittima della repressione è stato un vecchio ruolo, di comodo per alcuni, nel teatro della democrazia, una falsa e sgradevole etichetta che ha prodotto pietismo, non coscienza combattiva.
Su questo passaggio sta l’importanza di questi tempi: sulla nuova o rinnovata coscienza di esser parte contundente, apportatori di germi sovversivi se si vuole, non solo negli ambiti ristretti di movimento ma nel porsi, sociali od antisociali che ci si senta, quali fieri portatori di una serrata critica all’era del dominio tecnologico, del controllo e dell’omologazione globali.
Denudare il re e le sue vergogne, ieri ed oggi, è stato e continuerà ad esser oggetto della repressione, con vecchi e nuovi arnesi. Le ridicole categorie del codice penale – apologie, istigazioni, associazioni – mirano a colpire il tessuto connettivo tra parola ed azione, la solidarietà.
Non possiamo permetterci di stupirci di questo, più di un secolo fa c’erano le associazioni di malfattori, la regia autorità faceva chiudere i giornali e perseguitava i sovversivi e le loro riunioni, sorvegliava i locali malfamati in cui si riunivano. Oggi si monitorano pure web e comunicazione digitale.
Differentemente dai tempi passati però, il controllo si è fatto pervasivo grazie all’avvento dei nuovi orpelli tecnologici, a cui speso si accompagna una minor consapevolezza e fiducia nelle proprie potenzialità e possibilità di opporvisi.
Modelli e tecniche repressive vengono riproposti ed ammodernati (a volte neppure più di tanto), somministrati al bisogno: ora, tra l’altro, utilizzati per arginare, o tentare di farlo, un’innegabile effervescenza degli ambienti anarchici.
Prender atto di questo non significa né immobilizzarsi come animaletti impauriti sorpresi dai fari di un tir in corsa né gettarsi – mani e piedi legati – nelle fauci del mostro, convinti della sua ineluttabile voracità. Un cambio di prospettiva piuttosto: aspirare, ora e sempre, ad esser un boccone indigesto, senza cadere nell’equivoco di un’onniscienza ed onnipotenza del dominio, dove spesso non c’è una strategia globale ma un intreccio informe di interessi carrieristici in contrasto, direttive impartite e funzionari variamente zelanti.
Non va dimenticato il fattore umano, anche nella forma più deteriorata che può emergere da un compilatore di carte di questura, che rubando e deformando pezzi di vita nostra, ci fornisce un’ampia panoramica della miseria della sua essenza.
Iniziando dalla fine: dall’associazione all’istigazione e viceversa
Con l’avviso di chiusura indagini dell’Aprile 2017 – per gli arrestati ed indagati a piede libero del Settembre 2016 – è stato aggiunto, oltre ai reati già contestati, per 12 dei 17 imputati iniziali, il 414 c.p. (istigazione a delinquere) con finalità di terrorismo come ideatori e/o diffusori di Croce Nera, giornale e blog, facendo esplicito riferimento ad alcuni editoriali ed articoli dal n° 0 al n° 3. Segno dei tempi, per quanto riguarda il reato di istigazione è indicata pure l’aggravante per “aver commesso il fatto attraverso strumenti informatici e telematici”.
Inoltre il 2 Giugno 2017, con suggestiva tempistica rispetto all’udienza preliminare del 5 Giugno, la catena di Sant’Antonio della repressione ha tirato dentro al carrozzone di S.M. Altri 7 compagni, a piede libero per 270 bis e 414 c.p. perché redattori (e non) di Croce Nera e del blog di RadioAzione e Anarhjia, oltre ad accusare ulteriormente 2 dei 7 succitati, per 280 c.p., per il rinvenimento, durante le perquisizioni del Settembre 2016, assieme ad altro materiale pubblicato su Croce Nera, di copia della rivendicazione dell’attacco al tribunale di Civitavecchia del Gennaio 2016, a firma del Comitato pirotecnico per un anno straordinario – FAI/FRI. Nell’udienza preliminare sono stati unificati i due filoni d’indagine, rinviando tutti a giudizio, senza cambiar nulla delle varie imputazioni. In pratica, dopo un anno di ossessivo controllo censorio (attraverso blocchi e sequestri sistematici della corrispondenza degli arrestati, che è confluita direttamente nei faldoni del pm, aggiunti agli atti all’udienza preliminare) e monitoraggio della solidarietà, il pm e la questura sono riusciti a partorire un provvedimento punitivo, “in direttissima”, per alcuni di quanti hanno continuato a mantenere contatti con loro e continuato l’attività editoriale.
L’utilizzo affiancato di 270 bis e 414 c.p. diventa paradigmatico delle loro strategie, se si ragiona su quanto successo con la sentenza Shadow a Perugia e l’utilizzo che in questo processo se ne vorrebbe fare.
Senza dimenticare l’intensificarsi, in questi anni, del 414 c.p. usato anche “in purezza”, come direbbero gli enologi, senza tenerlo come sponda nelle accuse associative, per colpire qualsiasi scritto che “difenda” l’agire anarchico, malleabile coperchio con cui cercar di soffocare le fiamme di parole ed azioni solidali.
C’è da sottolineare, d’altro canto, che i mezzucci da questurino non hanno intimidito nessuno.
Carta riciclabile…
…La struttura dell’indagine
Sarà che gli scritti rimangono ma, con Scripta Manent, la procura e la Digos torinesi non hanno voluto buttar via proprio niente. Hanno riesumato dal cimitero degli elefanti delle archiviazioni e dei processi già fatti, rimasticandoli e risputandoli, circa 20 anni di monitoraggio e repressione:
Processo ORAI (pm Marini, ROS, Roma) del 1995;
Indagine sull’attentato a Palazzo Marino a Milano nel 1997 a firma Azione Rivoluzionaria Anarchica;
Indagine su Solidarietà Internazionale (pm Dambruoso, Digos, Milano) archiviata nel 2000;
Operazione Croce Nera (pm Plazzi, ROS, Bologna) che nel 2005 aveva portato agli arresti dell’allora redazione di Croce Nera, poi risoltasi in breve tempo, in una sentenza di non luogo a procedere;
Indagine su plico incendiario a questore di Lecce del 2005 a firma Narodnaja Volja/FAI;
Indagine sull’attentato alla caserma allievi C.C. Di Fossano e plichi incendiari a firma FAI/RAT del 2006 (pm Tatangelo, ROS, Torino) archiviata nel 2008;
Indagine sui plichi incendiari ed attentato alla Crocetta a firma FAI/RAT del 2007, archiviata nel 2009 (pm Tatangelo, Digos, Torino);
Operazione Shadow (pm Comodi, Digos, Torino) iniziata nel 2009 per 270 bis, 280 c.p.; risoltasi nel 2016 con condanne per 414 c.p. per il periodico KNO3 e 2 condanne per furto d’auto e tentato sabotaggio a linea ferroviaria;
Operazione Ardire (pm Comodi, ROS, Perugia) iniziata nel 2010, che porta a 8 custodie cautelari nel 2012, poi confluita integralmente in Scripta Manent dopo passaggi di competenza territoriale prima a Milano, poi a Torino;
Indagini Kontro, Replay, Sisters, Tortuga (pm Manotti, ROS, Genova) su attentati a caserme C.C. di Genova, RIS di Parma del 2005 e altri attacchi;
Indagine Evoluzione, Evoluzione II (pm Musto, Milita, ROS, Napoli) Iniziata nel 2012 sull’attacco ad Adinolfi “evolvendosi” poi in monitoraggio su RadioAzione e RadioAzione Croazia;
Indagine Moto (pm Franz, Piacente, ROS, Genova) che nel 2012 ha portato agli arresti di Nicola Gai e Alfredo Cospito;
Indagine su pacco-bomba ad Equitalia (pm Cennicola, Polino, Digos, Roma) del 2011, riaperta nel 2014;
Indagine si attentato al tribunale di Civitavecchia e molotov ai C.C. di Civitavecchia del 2016 (pm Cennicola, ROS, Roma).
Questo lungo elenco è fatto spulciando l’indice – e dimenticando sicuramente qualcosa – senza citare tutta un’altra serie di monitoraggi e informative travasate da un’inchiesta all’altra, da una questura all’altra, spesso contesi a suon di competenze territoriali attraverso le scappatoie permesse dalla formulazione del reato associativo.
La strategia sottesa a tutto questo è abbastanza evidente, la stessa mole di carte per quanto contraddittoria diventa suggestiva. Si consideri che vengono quasi interamente riversati in Scripta Manent gli atti dei procedimenti succitati, che aggiunti alle elucubrazioni del duo Sparagna/Digos torinese diventano 206 e più faldoni di atti giudiziari.
Schedatura e scrematura: centinaia di nomi e curriculum vitae, di episodi di sovversione quotidiana, schedati, sezionati e ricomposti ad hoc. Alle traiettorie esistenziali, ai frammenti di discussioni e ai giornali pubblicati si sovrappongono interpretazioni discordi a seconda dell’occhiuto controllore di turno, acrobazie attributive spazio-temporali, neo-lombrosiani studi comportamentali. Non è la prima volta che accade, così come è ben collaudato il tentativo del setaccio tra “buoni e cattivi”, l’utilizzo della stampa anarchica come “clandestina” e prodromica all’”associazione”.
Spesso capita, e son la prima a farlo, di dar dell’ironia su grossolanità ed incongruenze palesi delle carte giudiziarie, dimenticandosi però che c’è una consapevole arroganza del potere in questo.
Al di là della pescata grossa o piccola che faccia, l’apparato repressivo è ben consapevole della manovrabilità che le sue operazioni anti-terrorismo permettono. Sorvegliare e punire… monitoraggio approfondito su contatti, reazioni, tentativi di pressione sulla “tenuta” e ampiezza solidale, lunghe carcerazioni preventive.
Ritengo però miopi e sbagliate le analisi che vorrebbero vedere la repressione contro determinati settori di movimento come un laboratorio dove in vitro si sperimentano tecniche repressive che verranno poi allargate a vasti strati sociali. In questo c’è una certa paternalistica, per quanto ingenua, presunzione oltre al tentativo di cercar consenso, attraverso il cemento della repressione, nel dissenso tiepido di questi anni.
Quando invece, l’utilizzo del bastone e della carota è molto più articolato e subdolo.
Il potere non ha bisogno di testare in vitro la repressione sugli anarchici, semplicemente applica sugli anarchici un frammento della violenza dispiegata in modo molto più feroce altrove: quando lo stato non si fa problemi ad addestrare bande armate di mercenari per difendere i propri confini ed interessi, ad affogare quotidianamente migliaia di esseri umani, di utilizzare gli allontanamenti coatti dal proprio territorio ogni settimana per meri reati d’opinione (basta un semplice click sulla pagina del primo idiota, integralista religioso del 21° secolo per ritrovarsi imbarcati sul primo volo).
LA repressione somministra, per ora, punizioni ben diversificate ed è ben consapevole di dove può allargarsi in maniera indiscriminata, con la più ampia ed asservita copertura mediatica. Senza nulla togliere al fatto che anche in ambiti di movimento le pene “esemplari” non mancano.
Spesso risulta che i compagni siano più cautelati e consapevoli nell’affrontare la repressione. Non è casuale che arrivino da queste parti le attenzioni maggiori all’evoluzione delle tecniche di schedatura, controllo, monitoraggio massivo nonché a quelle di manipolazione del consenso.
Psico-antropologia da questura
In un quadro di accuse dove tutto si muove si deduzioni/illazioni a cercar di far da collante interviene in dosi massicce una sorta di studio comportamentale. La consapevolezza – ed il sottrarsi – all’occhiuto ed onnipresente controllo poliziesco diventano essi stessi suggestivi.
Esistono prassi ormai consolidate negli ambienti di movimento, anzi ormai una prassi sociale diffusa per i più disparati motivi: parlare in maniera evasiva per telefono od utilizzarlo in maniera limitata, non compulsiva come vorrebbe la guida del cittadino-consumatore perfetto; porre attenzione a pedinamenti; eliminare microspie e telecamere da casa, auto, luoghi di lavoro; porre attenzione al controllo telematico, per far qualche esempio.
Conosciamo da anni pure le opportunistiche interpretazioni sbirresche delle frequentazioni con amici e compagni e nelle iniziative di movimento: ad insindacabile giudizio del guardone di turno e/o miopia calcolata, a seconda della necessità, si è troppo o troppo poco presenti. Conosciamo pure la passione questurina per scambiare qualsiasi iniziativa, viaggio o gita fuori porta come “incontro tra sodali” (l’eccesso di zelo dei birri piemontesi è arrivato a nutriti video-reportage al mare, in Liguria sugli scogli a Ferragosto, con tanto di nuotate alla boa come “incontri riservati”).
Ora, in un perfetto incrocio tra psico-polizia e commedia all’italiana diventa suggestiva l’assenza: assenza fisica, assenza di telefonate e contatti. Questo non è ancorato, nella tesi accusatoria ad un particolare evento od azione ma vale di per sé il sottrarsi al controllo, o meglio il non essere monitorati passo a passo, e non è ben chiaro se ciò avvenga per volontà dei controllati o per incapacità manifesta dei controllori.
Troppa ironia? Forse sì, visto che la realtà è fatta di un controllo ossessivo ed inquietante che non si tira indietro di fronte a nulla: perquisizioni estemporanee travestite da controlli sul malfunzionamento dei microfoni occultati in casa, controlli e radiografie delle spedizioni postali prelevando direttamente la corrispondenza da buche delle lettere e uffici di smistamento postale: duplicati delle chiavi per entrare nei luoghi di lavoro in assenza degli indagati, telecamere nascoste in luoghi pubblici in quanto “presunti obiettivi”.
Questi sono solo alcuni esempi di un’applicazione piuttosto capillare del controllo, oltre a quelli tradizionali: telefoni intercettati per anni, microspie in casa e sul lavoro, gps in auto, telecamere sugli ingressi di casa, cantina e luoghi di lavoro, controllo incrociato di tabulati telefonici e positioning dei cellulari, pedinamenti con foto e videoriprese, intercettazione traffico mail e ascolto ambientale tramite i computer.
Poi, sempre nella suggestione tecno-logica e pseudoscientifica del nuovo millennio, un fiorire di statistiche, diagrammi, percentuali, incroci di dati tra i più curiosi: quante volte gli imputati si sono incontrati nel corso degli anni (…anche a casa loro, tra parenti e conviventi, nonché ai loro stessi processi) e quante volte si sono incontrati… i rispettivi telefoni; in quali giorni della settimana arrivano più plichi incendiari; quali centri urbani siano interessati da più attentati; quali parole preferiscano utilizzare gli anarchici… ma lì si sconfina dallo studio sociologico statistico e comportamentale, ad un altro caposaldo da tribunale…
La suggestione di una perizia
In questo processo balza agli occhi evidente una tecnica sartoriale per attribuire i reati specifici ai singoli imputati. Per dar corpo alle supposizioni accusatorie viene fatto un utilizzo massiccio di perizie grafiche, linguistico-stilistiche per attribuire ad un paio di imputati la scrittura di alcuni testi rivendicativi.
Detta così sembrerebbe una cosa seria (e lo è in quanto funge da pretesto per la custodia cautelare), addentrandosi nella lettura di una moderna perizia che utilizza sia la tecno-logica che la mente umana si vede però quanto i metodi utilizzati siano discutibili e malleabili ed i risultati aleatori.
Da un lato è evidente la scelta di procedere ignorando scientemente i risultati contraddittori rispetto alle tesi da sostenere, per cui i confronti con esiti negativi vengono ignorati e si setacciano i testi cercandone di adattabili al bisogno. Termini di uso comune o propri del linguaggio politico-poetico anarchico diventano caratterizzanti tanto che in questo parossismo di abbinamenti abbondano le attribuzioni… cioè ne escono fuori delle più disparate, che pure travalicano le accuse ed imputazioni stesse.
Il meccanismo repressivo è ben consapevole dell’inconsistenza di determinati confronti e perizie – e lo ammette pure tra le righe – però è parimenti consapevole che l’utilizzo del DNA e di altre perizie tecnico-scientifiche è stato venduto all’opinione pubblica come tecnologia certa ed inoppugnabile e così si cerca di utilizzarlo anche in tribunale. In realtà la casistica di errori manipolazioni ed approssimazioni è notevole (ed ormai pure la giurisprudenza è costretta ad ammetterlo, dopo i primi anni di utilizzo “acritico” di qualsiasi reperto biologico). Ne abbiamo traccia anche di recente, in giro per il mondo, in processi che hanno riguardato compagni.
Da questo compulsivo raccattamento di materiali e confronti incrociati si ricavano però alcuni dati sulla loro raccolta e utilizzo sistematici.
Il DAP si offre come serbatoio, oltre che di foto segnaletiche ed impronte, anche di altre tracce di carcerazioni passate, fornendo schede personali e reperti grafici di tutti gli anarchici transitati per le patrie galere, cavando fuori dai propri archivi addirittura corrispondenze, istanze, domandine, etc. Se un arresto o una perquisizione non ci sono stati si arriva addirittura all’anagrafe o altri archivi cittadini.
Svariate banche-dati del DNA sono in uso da più di 10 anni, non solo con i prelievi fatti durante perquisizioni, ma conservando campioni e facendo confronti incrociati di reperti in possesso ai vari archivi.
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Questi sono solo alcuni aspetti, da ampliare e su cui ragionare. Rimane il discorso che, in un quadro dove i procedimenti repressivi sono vasi comunicanti, l’assenza è accusatoria, la solidarietà è un’aggravante, se Scripta Manent cercava di colpire alcuni anarchici, ha invece contribuito a far fiorire solidarietà e consapevolezza e questo – a conti fatti – nonostante la ristrettezza del mio attuale orizzonte, non può che continuare a farmi sorridere.
Anna
Roma, Gennaio 2018
in portoghese
Testo scritto da Anna e Marco circa l’andamento del processo in cui sono imputati per l’operazione Scripta Manent.
Nelle udienze di gennaio e febbraio sono continuati a scorrere i testimoni dell’accusa (in origine il PM Sparagna ne ha citati una settantina) principalmente digos torinesi, polizia, carabinieri, artificieri, testimoni, relatori della scientifica di Roma e del Ris di Parma, tutti in relazione ai reati specifici contestati. Inoltre sono stati chiamati a deporre alcuni redattori, od ex redattori, di Radio Blackout di Torino sul ricevimento di alcune rivendicazioni ed un occupante dell’Asilo in relazione ai rapporti di conoscenza e corrispondenza tenuta con gli imputati.
Nelle udienze del 7 e 8 marzo hanno fornito le loro relazioni quelli che dovrebbero essere i pilastri dell’impianto accusatorio, ovvero i prestatori dell’opera “d’ingegno” che va a puntellare il tutto: i periti grafici, l’esperto d’analisi linguistico/stilistica, ed un digossino torinese addetto a dare il quadro generale dell’accusa.
Il duo di grafologhe Rosanna Ruggeri e Paola Sangiorgi, periti/consulenti del PM ed esercitanti il mestiere privatamente, non presso Scientifica, Ris o quant’altro, ha relazionato durante l’udienza del 7 marzo, sulla perizia effettuata nel 2014 confrontando testi normografati e indirizzi vergati a mano dei plichi incendiari/esplosivi a Torino Cronaca, Coema Edilità ed all’allora sindaco Chiamparino del luglio 2006 e delle relative rivendicazioni con i campioni di mano scritture di tre degli imputati (appunti prelevati durante perquisizioni, lettere dal carcere, modulistica varia).
Il duo ha manifestato la certezza che le scritture effettuate a normografo non sono attribuibili. Per quanto riguarda i confronti sulle mano scritture ha cercato di mettere in rilievo le somiglianze o i tratti grafici peculiari tra singoli caratteri scelti tra i vari campioni di scrittura: l’esito sarebbe una probabile somiglianza con alcuni campioni di due degli imputati.
Il duo ha impiegato un paio d’ore, più che a motivare la “probabilità”, a difendere la serietà delle prestazioni offerte e del metodo utilizzato che appunto… non consente attribuzioni su base certa ma appunto ad un discorso probabilistico.
Oltre a questo la difesa, facendo riferimento alla loro ignoranza di analisi precedentemente effettuate, ha fatto notare che gli stessi reperti (le etichette manoscritte dei pacchi del 2006 e le relative rivendicazioni) sono state oggetto di perizia nel corso di indagini effettuate all’epoca dei fatti, in particolare nella relazione del Ris di Parma del luglio 2006 era stato appurato che si trattava di scritture ricavate da ricalco, quindi non attribuibili.
Il perito linguistico/stilistico consulente del PM, Michele Cortelazzo, tenutario di cattedra all’Università di Padova ha relazionato sulla perizia fatta nel 2014 in cui ha confrontato testi di articoli pubblicati da tre degli imputati e diversi testi di rivendicazioni a firma di diversi gruppi FAI. La perizia ammette che il linguaggio utilizzato fa parte dell’“universo discorsivo dei movimenti antagonisti”. Crea però degli abbinamenti fra testi degli articoli ed alcune rivendicazioni in base al metodo “qualitativo” e a quello “quantitativo”.
L’analisi quantitativa, viene spiegato, è effettuata tramite un software che crea degli abbinamenti in base a termini trovati setacciando porzioni di testo.
In particolare vengono indicati alcuni “tratti caratteristici” quali l’utilizzo di termini, non frasi, quali “palestra”, “anonimo”, dittologie (abbinamenti di due termini) contenenti “forza” e/o “gioia”, “di turno”, “più o meno” e via dicendo.
Senza ricorrere alla sinergia tra un software e un cattedratico, pare che questi termini facciano parte del linguaggio comune, non solo di movimento.
Esposte le incertezze peritali è stata la volta della lunga relazione, durata più di un’udienza e terminata il 15 marzo di quello che sembra lo scheletro dell’inchiesta. Il tuttologo della Digos torinese tal Luciano Quattrocchi ha esordito magnificando le proprie doti di investigatore su operazioni su aree non anarchiche, per poi esporre la sua personale applicazione dello schema accusatorio su suggerimento del PM Sparagna e del suo nuovo strumento d’analisi, il binomio esclusione/inclusione (si suppone dal novero dei buoni e dei cattivi…) per contestualizzare l’inserimento di frasi estrapolate da giornali, scritti, commenti e documenti pubblicati negli ultimi 20 anni, discussioni e conoscenze dirette fra compagni, eventi repressivi passati (vengono in questo caso ripresi integralmente, senza spostare una virgola, intercettazioni ambientali, ricostruzione indagine sui fatti del quartiere Crocetta, a Torino, archiviate nel 2009) ed indagini riaperte ad hoc.
Sotto la lente degli indagatori passa un po’ di tutto: da Emile Henry a Horst Fantazzini e Baleno, dai documenti di Azione Rivoluzionaria per cui uno degli attuali imputati è stato processato più di trenta anni fa e su cui altri imputati stavano preparando una memoria storica (parte di un libro più ampio sulle pratiche di lotta anarchica, negli scorsi anni) a quelli inerenti al dibattito durante il processo Marini (un documento letto in tribunale, in gabbia, per la morte di Baleno nel 1998, discussioni sulla necessità di dare voce alle varie posizioni su metodi organizzativi, comunicati dal carcere).
È passato poi all’analisi di CroceNera, vecchia e nuova, fino ad arrivare agli articoli pubblicati sull’ultimo numero, proprio su Scripta Manent e l’analisi della corrispondenza, sotto censura, degli arrestati.
Con l’udienza del 12 aprile, su richiesta dell’accusa, è stata assegnata ad una perita la traduzione dallo spagnolo della vecchia corrispondenza finita agli atti, di alcuni imputati. Si è poi passati al contro-esame del digossino torinese da parte della difesa.
Nel corso del contro-esame uno dei compagni imputati è intervenuto ripercorrendo il proprio vissuto dal dicembre ‘69, all’esperienza in Azione Rivoluzionaria, alla latitanza, il carcere, fino ad oggi. Nelle prossime udienze del 18 aprile e 3 maggio, dovrebbero comparire i Ros di Perugia e di Napoli per riferire sulle rispettive indagini, poi confluite in questo procedimento: le cosiddette operazioni Ardire, Evoluzione I e II.
Il 16 novembre, alle ore 10.00, davanti all’aula bunker a Torino, si terrà la prima udienza del processo “Scripta Manent”, che avrà un lungo percorso di giudizio, e che vede imputati/e 22 compagni/e anarchici/che, di cui sette attualmente in carcere.
L’apparato repressivo dello stato accusa parte del movimento anarchico di attaccarlo con pratiche di: azione diretta distruttiva contro le sue strutture e i suoi uomini, realizzazione e diffusione di stampa anarchica e sostegno ai prigionieri ed alle prigioniere rivoluzionarie.
Il teorema del P.M. Sparagna è quello per cui le posizioni delle compagne e dei compagni indagati sono isolate e lontane dal contesto anarchico.
Il suo è un chiaro tentativo di parcellizzare e rinchiudere l’anarchismo entro determinati recinti, giudiziari ed interpretativi.
Scardiniamo il tentativo di isolare questi compagni e queste compagne e sosteniamo che le pratiche e le posizioni di cui sono accusati/e sono patrimonio di tutti gli anarchici e rivoluzionari, e riaffermiamo la nostra vicinanza e solidarietà agli imputati e alle imputate.
Facciamo un appello a partecipare al presidio di giovedì 16 novembre alle ore 10.00 di fronte all’aula bunker del carcere “Le Vallette” di Torino e rilanciamo, per quel giorno, una chiamata alla solidarietà internazionale con tutti gli anarchici, i ribelli e i rivoluzionari prigionieri; nei luoghi e secondo le modalità che ognuno/a ritiene più opportune.
in spagnolo, inglese, portoghese, tedesco
Nella notte fra il 2 e 3 giugno siamo andati al consolato italiano ad Iruñea (Euskal Herria) (via Taconera, 2, di fronte al commissariato generale della poliza nazionale) e abbiamo dipinto la facciata con stati 5 kg di vernice. Questo gesto di solidarietà lo dedichiamo ai compagni e le compagne anarchiche prigionierx dello stato italiano.
Siamo solidali con l’anarchico sardo Davide Delogu che di recente ha tentato la fuga dal carcere di Brugoli il maggio.
Con i prigionieri anarchici nelle carceri di Ferrara, Alessandria, Uta, Rebibbia, etc.
Solidarietà con i compagni arrestati e perseguitati a Torino.
Solidarietà agli anarchici e anarchiche dell’ operazione Scripta Manent, Shadow.
La prossima visita sara’ con la dinamite.
Il 3 maggio l’anarchico Alfredo Cospito – prigioniero in regime di AS2 nel carcere di Ferrara per la gambizzazione dell’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, Adinolfi, e di recente destinatario di un altro mandato di arresto per l’operazione “Scripta manent” – ha iniziato uno sciopero della fame della durata di dieci giorni contro la censura che gli blocca la maggior parte della corrispondenza in entrata e in uscita. Alfredo chiede ai compagni e alle compagne di spedire libri, riviste, lettere e materiale cartaceo in quantità, per sostenere il suo sciopero della fame e infrangere l’isolamento dettato dalla censura carceraria.
Il PM Sparagna di Torino impone la censura per i compagni e le compagne imprigionati/e per l’operazione “Scripta manent”. Negli ultimi mesi la censura è divenuta più stringente e molta parte della corrispondenza viene sistematicamente censurata e bloccata; libri, giornali e spedizioni di ogni tipologia quasi mai giungono a destinazione. La censura ha colpito anche uno scritto che lo scorso dicembre Alfredo ci aveva spedito per essere pubblicato su Vetriolo.
Così come in gennaio uno scritto è stato sequestrato ad Anna, per un’altra pubblicazione. Parallelamente nessuna copia del nostro giornale è giunta ad Alfredo e agli altri prigionieri: sequestrato dalle guardie, o spesso semplicemente scomparso.
È chiaro che se l’isolamento nei confronti dei compagni e delle compagne viene intensificato e reso così pressante è anche, e soprattutto, grazie alla censura e al blocco della corrispondenza. È chiaro che per il potere non è tollerabile che i compagni e le compagne possano continuare a contribuire al dibattito tra i refrattari e i nemici dell’autorità. Se il misero lavoro di spionaggio e la censura vengono sistematicamente intensificati è perché il potere suppone e immagina di poter annientare e ammutolire gli anarchici e le anarchiche nelle sue prigioni.
Bisogna fare dunque una breve analisi di questo odioso strumento del dominio. Il visto di censura è una disposizione, ordinata dal PM, che prevede che ogni lettera, in entrata e in uscita, venga letta dal secondino incaricato per questo infame lavoro, scannerizzata e inviata alla Procura. I frutti più succulenti di questo spionaggio dovrebbero poi venire utilizzati nel processo. Un ulteriore incremento di questo strumento è il blocco della corrispondenza: in questo caso il secondino, evidentemente seguendo linee guida indicate dalla magistratura, decide che non solo quella determinata lettera – come tutte le altre – verrà fotocopiata e spedita copia in Procura, ma bensì che essa non può entrare affatto nelle mani del destinatario. Il salto qualitativo applicato nei confronti dei compagni e delle compagne arrestate lo scorso settembre nell’operazione “Scripta manent” è l’utilizzo sistematico di questo blocco. Negli ultimi mesi si è andati verso una progressiva intensificazione dei blocchi della corrispondenza, deteriorando ogni comunicazione e impedendo ormai ai prigionieri di ricevere qualunque tipo di pubblicazione rivoluzionaria.
Una dinamica obbiettiva che, senza vittimismo, va osservata e denunciata. Così come non possiamo non osservare che tale intensificazione non riguarda solo un singolo carcere (quindi le
paranoie securitarie di quel singolo secondino o di quella singola direzione penitenziaria): è evidente che c’è una regia da parte della Procura di Torino. I solidali devono dire chiaramente e coraggiosamente che la responsabilità di questo comportamento liberticida è del dottor Sparagna.
Sparagna non è il solito PM da barzelletta delle numerose inchieste anti-anarchiche. È un “eroe” dell’antimafia. Un gran pezzo di Stato, apprezzato dalla buona borghesia, come testimonia la solidarietà espressa dall’associazione Libera nei suoi confronti, che arrivò persino a paragonare gli anarchici alla ‘ndrangheta. Come il dominio scelga i personaggi a cui affidare le proprie operazioni repressive, per le loro capacità o per le suggestioni simboliche che portano seco, è un altro elemento non trascurabile per una analisi e una pratica rivoluzionaria di solidarietà.
Nella consapevolezza che – nell’immediato, non in un radioso futuro – è la solidarietà nell’azione rivoluzionaria a poter spezzare questo isolamento e a poter distruggere le galere, esprimiamo la nostra solidarietà ad Alfredo in sciopero della fame e agli anarchici e alle anarchiche prigionieri/e.
Le compagne e i compagni della redazione del giornale anarchico Vetriolo
un testo di solidarietà in portoghese qui
Scritto a partire dalle riflessioni degli incontri ‘A testa alta’
In questo sistema di dominio la repressione statale è parte fondamentale e una delle sue espressioni più infime; non ci sorprende che storicamente ad essere attaccati con più forza siano quelli che non si lasciano recuperare dal sistema di potere, ovvero le individualità anarchiche, rivoluzionarie e ribelli.
Queste ultime, alla repressione fisica, psicologica, morale, sociale ed economica portata avanti da tutte le componenti del potere democratico ed alla brutale violenza indiscriminata dei loro bracci armati e della magistratura, contrappongono l’azione diretta mirata contro i responsabili dell’oppressione, la distruzione creativa e liberatrice dei luoghi del dominio e il sabotaggio ai danni delle sue infrastrutture, per porre fine o quanto meno ostacolare le cause dello sfruttamento e dell’oppressione dell’essere umano sull’essere umano, sulla terra e sugli animali.
Nell’ottica della liberazione totale, assistere passivi alla riproduzione del dominio è essere complici, perciò c’è chi continua ad alzare la testa e ribellarsi.
In conseguenza a ciò il potere mette in atto le sue strategie repressive e continuano i processi e i procedimenti contro compagni in riferimento ad azioni, momenti di conflittualità e scritti; il prossimo mese si terrà l’udienza in cassazione della cosiddetta operazione Shadow, in cui alcuni compagni ed una compagna sono accusati, tra le altre cose, di istigazione a delinquere per la pubblicazione della rivista KNO3. * (NdR: L’Operazione Shadow è il procedimento per 270 bis che la Procura di Perugia attuò nel 2008. Il reato associativo cadrà in primo grado ed in appello si concretizzerà, nel 2015, ad una condanna di 3 anni per due compagni e ad un terzo compagno indagato a piede libero per 302 c.p. con l’aggravante di finalità al terrorismo per gli articoli di KNO3 ed a condanne ad altri compagni per tentato sabotaggio ad una linea ferroviaria e furto d’auto.)
Questi procedimenti sono un’espressione della guerra che l’autorità porta avanti contro il connubio tra pensiero e azione che è il fondamento della pericolosità dell’anarchismo. Ogni operazione sbirresca, aldilà degli individui e delle lotte specifiche, mira a colpire i concetti cardine del pensiero e del metodo anti-autoritario come l’azione diretta, il rifiuto della delega e la solidarietà.
A partire da queste riflessioni, negli incontri che si sono sviluppati a seguito degli arresti dell’operazione Scripta Manent, anziché soffermarsi a discutere delle strategie repressive, si è sentita la necessità di non ridurre la solidarietà a un sostegno tecnico a chi è in carcere, ma di allargare lo spettro delle nostre analisi.
In questo senso, ci si è confrontati su come la solidarietà sia un elemento fondamentale del nostro agire anarchico e dei rapporti di complicità volti alla distruzione del dominio; una solidarietà che vada quindi al di là degli attacchi della repressione, e sia in grado di non farsi soffocare dalle specificità dei percorsi di lotta, nel momento in cui ci si riconosce in una tensione comune di attacco. In particolare, la solidarietà attiva è uno strumento essenziale per rispondere alla violenza dello stato, per non ricevere passivamente i suoi colpi, per mantenere un carattere di attacco di fronte ad essi, così da non sviluppare atteggiamenti al ribasso e vittimistici, che è proprio ciò che la repressione si auspica. Ragionando in un’ottica offensiva, di conflittualità permanente ed internazionalista, al di là dei differenti percorsi di ognuno, si riduce il rischio dell’isolamento, invalidando uno degli obiettivi principali del nemico.
Esprimere solidarietà nei confronti di contesti e progetti specifici non significa doversi uniformare ai discorsi ed alle pratiche di chi viene colpito, e nemmeno inserirsi necessariamente nella scia di una lotta o di una pratica: riconoscendoci in un orizzonte comune, è possibile agire in solidarietà secondo la propria tensione individuale.
La creazione di rapporti di solidarietà, a livello locale come internazionale, è un obiettivo strategico, che dovremmo porci per cercare di far fronte al potenziamento dei mezzi e delle volontà repressive nei confronti delle individualità anarchiche, rivoluzionarie e ribelli.
Pensiamo sia necessario indirizzare le nostre proposte, progettualità ed obiettivi verso la distruzione di questo sistema, che struttura i rapporti sociali e di dominio appiattendo il dissenso attraverso il recupero e, quando non è possibile, eliminandolo attraverso la repressione.
In questo senso, riconosciamo l’importanza della multiformità di tensioni e pratiche all’interno dell’anarchismo, proprio perché più differenze ci sono in un contesto, maggiore è la possibilità di non immobilizzarsi su posizioni prestabilite e dogmatiche, a condizione che ogni lotta e attacco specifico si inserisca nell’ottica più ampia della tensione alla sovversione.
Riconoscere il valore di questa diversità vuol dire anche porre le basi per contrastare ogni tendenza accentratrice ed egemonizzatrice nell’anarchismo.
Questo è possibile solo attraverso un atteggiamento di autocritica e critica costante tra i diversi approcci, che vada nella direzione di una crescita qualitativamente significativa, tanto dell’analisi di ciò che ci circonda, quanto delle diverse maniere possibili per organizzare la distruzione di ciò che ci opprime.
Rifiutando di catalogare e far catalogare le nostre diverse tensioni in aree identitarie, pensiamo che ogni attacco all’autorità interagisce all’interno dei meccanismi e rapporti sociali e contemporaneamente agisce contro la società stessa.
Da un punto di vista strategico una multiformità di pratiche è utile per alimentare la complessità di forme di organizzazione e di attacco, stimolando così la discussione su mezzi e fini all’interno delle diverse progettualità anarchiche d’azione. Capire come valorizzare questa multiformità, senza diluire i contenuti nell’ottica di un comune progetto di distruzione totale di questo sistema di dominio, è una necessità impellente.
È importante considerare le diverse proposte e progettualità non come antitetiche e statiche ma come strumenti, risorse e possibilità a disposizione degli anarchici e delle anarchiche, purché abbiano alcune caratteristiche che riteniamo fondamentali, quali la conflittualità permanente, l’attacco, l’indipendenza da strutture politiche istituzionali e/o organizzate gerarchicamente, e l’informalità come strumento organizzativo.
Parlando di conflittualità permanente intendiamo una tensione all’irrecuperabilità delle nostre pratiche e discorsi, il rifiuto di sottoporre il nostro agire a valutazioni opportunistiche. Con questo non si esclude la possibilità di sviluppare una strategia relativa alle modalità e agli obiettivi, ma questa non può essere la giustificazione dell’attendismo, né dell’annacquamento dei propri contenuti in un’ottica di allargamento quantitativo.
Ribadiamo da questo punto di vista il rifiuto di ogni intervento di collaborazione con il potere o che presti il fianco al recupero. Con quest’ultimo termine intendiamo la strategia del potere di inglobare le esperienze ed i comportamenti per esso potenzialmente pericolosi, reindirizzandoli ai suoi scopi.
Nelle democrazie il meccanismo del recupero è complementare al volto più duro della repressione ed ha il fine di perpetuare questo sistema di sfruttamento e oppressione: il tentativo di inclusione e integrazione di alcune forme di rifiuto è volto ad aumentare la partecipazione al gioco politico, creando divisioni per poter più facilmente attaccare chi allo spettacolo della società non vuole partecipare.
L’azione anarchica diretta alla distruzione della società del dominio risponde sia alla pulsione che rifiuta l’autorità e quindi non media con essa, mirando ad abbatterla violentemente, sia ad una più ampia strategia che parta dalla consapevolezza che non si vivrà mai liberi creando isole all’interno di questa società di massa.
È quindi imprescindibile che una lotta, affinché non sia riformista, contempli come pratica l’attacco diretto.
In seguito all’operazione Scripta Manent si trovano al momento, Alfredo, Nicola, Danilo, Valentina, Anna, Marco e Sandrone nelle sezioni di alta sicurezza, sottoposti a limitazioni e censura della comunicazione con l’esterno.
Altri anarchici si trovano nelle carceri in Italia e nel mondo, altri ancora qui e altrove sono sottoposti a diverse misure restrittive, come arresti domiciliari e obblighi di dimora.
Lanciamo per il mese di Giugno una mobilitazione in solidarietà alle individualità anarchiche, rivoluzionarie e ribelli colpite dalla repressione, come momento di coordinamento tra iniziative e pratiche.
Roma, 30 aprile 2017
Anarchiche e Anarchici
in portoghese
Nella notte tra il 19 al 20 novembre, a Tolosa, un furgoncino di Eiffage è stato divorato dalle fiamme.
Quando la repressione prende di mira gli/le anarchic*, dalle accuse dopo le rapine ad Aachen all’operatione “Scripta manent” in Italia, la solidarietà è la nostra arma.
Vi mandiamo un po’ di calore.
in greco
In risposta alla repressione subita dai/lle compagn* anarchic* che vivono nella regione dominata dallo Stato italiano da parte della DIGOS (Divisione Investigazioni Generali e Operazioni Speciali) nel quadro dell’operazione “Scripta Manent”, il 25 settembre, all’una del mattino, abbiamo bruciato un SUV che apparteneva alla Presidenza della nazione argentina, all’incrocio fra la via Marcos Paz e via Pedro Lozano, nel quartiere di Villa Devoto a Buenos Aires.
Anna, Marco, Sandrone, Daniele, Danilo e Valentina: sappiate che non siete sol* e che chi è da questa parte delle mura della prigione continuerà ad attaccare l’autorità e a dar fuoco alle città in tutto il mondo.
Libertà o morte (Federazione Anarchica Informale)
SCRIPTA MANENT ? ACTA NON VERBA !
Davanti alla repressione che colpisce dei/lle compagn* anarchic* in Italia (Operazione Scripta Manent), davanti ai nostri nemici che sono lo Stato e il capitale, pensiamo ancora e sempre che la migliore solidarietà sia l’attacco. Loro pagano per dei gesti che appartengono a tutt* gli/le anarchic* del mondo. Vogliamo mandar loro un segno della nostra vicinanza con delle azioni. Non come altr* qui e altrove che si accontentano di un po’ di retorica sui loro siti internet.
La notte fra il 3 e il 4 ottobre in via Candale Prolongée a Pantin, abbiamo bruciato un’utilitaria d’Engie, azienda che collabora con lo Stato all’imprigionamento (gestione di prigioni e di centri di retenzione).
Fuoco alle prigioni!
La solidarietà è l’attacco!
Altr* anarchic* solidal* di Parigi
in francese, inglese, greco, portoghese
Come gesto di solidarietà con i/le compagn* arrestati ultimamente in Italia e in Repubblica Ceca abbiamo esposto uno striscione nel centro di Atene, che dice: “Attacco armato fino alla distruzione della civiltà del Potere e dei suoi esecutori; per tutt* i fratelli e le sorelle anarchic* prigionier*; per tutti i momenti rubati. Solidarietà & complicità con gli/le anarchic* recentemente arrestat* in Italia & Repubblica Ceca”.
Unione di individualità anarchiche Uroborus
[12 settembre 2016]
in inglese
Ma che caldo fa!
Il 13 settembre, in località Valsavignone, abbiamo bruciato due antenne ripetitrici della Wind/Ericson.
Una risposta minima alla RECENTE INCARCERAZIONE DEI/LLE NOSTRI/E COMPAGNI/E Anna, Vale, Alfredo, Nicola, Danilo, Daniele, Divo, Marco e Sandro.
Che ogni colpo inferto dal nemico sia un ritorno di fiamma inflitto al nemico: il suo volto è ovunque… beh, noi anche!
Che le nostre quotidianità, con o senza repressione, siano (anche) distruttive!
Che la solidarietà, una volta di più quando la repressione colpisce, sia (anche) attacco!!
Giuriam giuriam vendetta, o Libertà o morte!
Nel corso del fine settimana, le ruote di un veicolo eiffage, di un veicolo bouygues, di due veicoli orange e di un veicolo di sicurezza privata sono state bucate.
Queste imprese partecipano attivamente alla costruzione di prigioni, allo sfruttamento dei/lle prigionier* o aiutano gli sbirri.
Pensiamo ai compagni e alle compagne alle prese con l’operazione repressiva in corso in Italia.
Baci
dei/lle sabotatori/trici di veicoli