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[Prigioni greche] Nikos Romanos: “Requiem per un viaggio di non ritorno”

alexandros-grigoropoulosQui di seguito il prigioniero anarchico Nikos Romanos fa un resoconto dei fatti che hanno preceduto l’assassinio di Alexandros Grigoropoulos il 6 dicembre 2008.

Ricevuto il 30 novembre 2015:

Requiem per un viaggio di non ritorno

Oggi parlerò di quello che dovrebbe essere considerata come un’autentica testimonianza dell’anima alla memoria rivoluzionaria. La testimonianza della mia anima a proposito di un incidente che è diventato il detonatore per l’intensificarsi dell’attacco armato ai palazzi d’inverno del Potere; un incidente che ha contribuito in maniera decisiva a creare un punto di non ritorno per chi ha preso le armi e riempito le valigie di sogni e speranza per un mondo di libertà. Anch’io ho preparato quella stessa valigia col mio odio, un po’ di vestiti e qualche souvenir, e ho lasciato per sempre casa mia [nell’aprile del 2010] un giorno prima che la polizia venisse a cercarmi, ammanettarmi e portarmi in tribunale per deporre al processo degli sbirri-assassini. Ho tagliato i ponti con la mia vita passata, e mi sono unito alle fila della lotta anarchica clandestina. Avevo sedici anni, ma ero pienamente consapevole delle mie azioni, e sebbene avessi una statura morale ben maggiore di quei/lle ridicol* smidollat* sedut* in aula, sapevo che il momento di dire tutto quello che andava detto non era ancora arrivato, non era il momento giusto, e non ero realmente pronto a liberarmi di un tale peso storico. Ecco perché ho preferito restare in silenzio e dedicarmi alla guerra contro il Potere, la stessa guerra in cui, sette anni dopo, mi ritrovo prigioniero, pur mantenendo la stessa posizione combattiva. Ora mi libero di questo peso storico, che ho temporaneamente evitato ma cui non ho mai rinunciato di occuparmi.

Il processo [in prima istanza] cui ho rifiutato di assistere, ma anche il processo di appello che seguirà, cerca di mettere fine – nella forma di una ratifica istituzionale – a un aspetto della storia sovversiva, un aspetto che disonora la democrazia rivelando l’odore di morte che trascina con sé. Questo aspetto specifico – parte integrante di una storia che continuerà a esistere finché gli/le oppress* si ergeranno contro i/le loro oppressor* – si è rivelato la sera del 6 dicembre 2008 all’incrocio di via Messolonghiou e via Tzavela, a Exarchia.

Quello che sto per dire non lo dico assolutamente per facilitare il meccanismo giudiziario a emettere un futuro verdetto equo. Non credo nelle leggi né nelle corti, né nelle prigioni che appaiono minacciose a disciplinare chi devia dall’ordine legale, seppellendol* vivi tra cemento e sbarre.
Ho il coraggio di credere nella forza degli essere umani liberi, nella possibilità della loro auto-determinazione in un mondo di subordinazione universale, nella prospettiva della rivoluzione anarchica e la pratica dell’insurrezione anarchica permanente.

Comincerò il mio racconto con la prospettiva di rivolgermi alla storia, restare degno davanti a lei, contribuire alla creazione di un’eredità incontaminata che non macchierà la memoria dei/lle nostr* mort*, e mandare un segnale di guerriglia a chi è interessato a diventare un attore che plasmerà il proprio sviluppo di conseguenza. Con lotta costante, con tutti i mezzi, con la passione per la libertà e odio per chi mantiene il nuovo ordine delle cose, dipinto col sangue di chi ha resistito alla sua onnipotenza.

Il canto del cigno per la mia amicizia con Alexandros inizia…

Alexandros e io ci siamo conosciuti a scuola, e abbiamo cominciato a passare un sacco di tempo insieme, dato che vivevamo relativamente vicini. Era una persona che detestava la rispettabilità e l’ipocrisia dominanti nel nostro ambiente scolastico. Era sempre alla ricerca di un modo per evadere da questa condizione, ed è così che ci siamo trovati. Ci siamo conosciuti meglio bigiando la scuola, per evadere dalla routine della noia scolastica, vagando per ore ed esplorando parti della città che ci erano sconosciute, parlando e discutendo tutti i giorni di tutte le cose che ci lasciavano perplessi. Man mano che il tempo passava, abbiamo continuato a camminare su sentieri di ricerche sempre più vaste e forti interrogativi sul mondo che ci circondava.

Verso i 14 anni ci siamo accorti per la prima volta degli anarchici; ci piaceva guardare in tv i filmati degli scontri fra i dimostranti e la polizia; alla nostra comprensione ancora immatura, che avevamo appena cominciato a formare, sembrava un modo di resistere all’ingiustizia quotidiana delle ineguaglianze sociali. Peraltro per noi che passavamo le giornate nei parchi e nelle piazze non era difficile detestare la polizia – anche istintivamente, potremmo dire. Avevamo visto gli sbirri umiliare dei/lle migranti nel centro di Atene; eravamo stati testimoni di quanto trattassero male tossicodipendenti e senza-tetto. Naturalmente sono cose che chiunque può vedere semplicemente passeggiando nel centro di Atene. La contraddizione che stavamo vivendo veniva fuori quando vedevamo gli sbirri chinarsi e leccare i piedi dei ricchi dove vivevamo [uno dei quartieri più agiati nella parte nord di Atene]. È stato allora che abbiamo davvero capito che razza di vermi ipocriti e vigliacchi fossero tutti quanti.

Così abbiamo deciso di andare insieme a una manifestazione [in centro] per vedere da vicino quello che fino a quel momento avevamo osservato da lontano e per cui avevamo sviluppato un vivo interesse. Ed è quello che abbiamo fatto. Ricordo che la prima marcia cui ci siamo uniti è stata quella del 17 novembre [manifestazione annuale che commemora la rivolta del Politecnico di Atene del 1973] del 2007, dove ci sono stati degli scontri con la polizia cui abbiamo partecipato anche noi. Naturalmente ai tempi eravamo un po’ esitanti, seguivamo e imitavamo semplicemente le persone che affrontavano la polizia. Abbiamo visto da vicino gli sbirri antisommossa della MAT picchiare selvaggiamente delle persone a caso, abbiamo sentito l’asfissia causata dai lacrimogeni, e abbiamo assistito per la prima volta alla repressione poliziesca delle manifestazioni. Finita la marcia siamo andati a Exarchia, siamo rimasti fino a tardi a discutere degli eventi con una sorta di entusiasmo per quello che era appena accaduto; l’entusiasmo che sentono tutte le persone quando cominciano a entrare in contatto con la parte autentica della vita.

Un punto di riferimento importante per entrambi fu la manifestazione antifascista che si è svolta il 2 febbraio 2008. Era il giorno in cui Alba Dorata aveva organizzato un raduno per Imia [commemorazione nazionalista del conflitto del 1996 tra Grecia e Turchia a proposito dell’isolotto di Imia/Kardak nel Mar Egeo], e gli anarchici avevano chiamato a una contro-manifestazione per scontrarsi con i fascisti.

C’eravamo anche noi e abbiamo visto i fascisti avanzare da dietro le linee delle squadre antisommossa per accoltellare i compagni; abbiamo visto come quei porci della polizia coordinavano le loro cariche con i fascisti. Abbiamo visto compagni accoltellati, fascisti attaccati dai compagni con asce e bastoni di legno. E, non dimentichiamolo, quelli che erano in prima linea fra i fascisti ora fanno parte del parlamento greco – sto parlando di Elias Panagiotaros, Yannis Lagos ed Elias Kasidiaris, prima che rinnegassero il loro passato e invocassero legalità e democrazia.

Una volta finiti gli scontri coi fascisti e la polizia, ci siamo barricati all’interno del Rettorato [dell’Università di Atene ai Propilei, in via Panepistimiou] e abbiamo aspettato lì fino a tardi; poi abbiamo lasciato l’edificio tutti insieme in manifestazione. Manifestazione che è stata attaccata dalla polizia non appena siamo arrivati in strada, e ci sono stati fermi, arresti e feriti.

Da quel giorno siamo andati a Exarchia quasi tutti i giorni e abbiamo cominciato a prendere contatto con altri che frequentavano il quartiere. Abbiamo cominciato a leggere riviste e volantini anarchici, a dare un’occhiata ai siti di contro-informazione, frequentare squat come quello di Villa Amalias [ora sgomberato] e di Prapopoulou. Nello stesso periodo abbiamo partecipato a tutte le manifestazioni a proposito delle riforme previdenziali e alle proteste degli studenti universitari contro la famosa Legge Quadro [per l’educazione superiore], motivati unicamente della prospettiva degli scontri e dei disordini nelle strade, cui ci univamo ogni volta più volentieri e più determinati.

E allo stesso tempo, con altr* student*, avevamo creato un collettivo anarchico chiamato «attacco anarchico degli studenti» e abbiamo tenuto delle assemblee sulla scuola e il ruolo dell’educazione in riferimento al funzionamento della macchina sociale.

Mi ricordo anche che, qualche giorno prima del 17 novembre 2008, avevamo partecipato a un attacco contro la Gioventù del PASOK, che quel tempo aveva gli uffici a Exarchia. Lo scontro durò un buon momento, perché i membri del PASP [sezione studentesca del PASOK] avevano assunto un gruppo di buttafuori per proteggersi – esattamente come avevano fatto gli anni precedenti durante le manifestazioni del 17 novembre, in cui i loro sgherri avevano in realtà attaccato i blocchi anarchici. Quindi in sostanza il confronto non era con la Gioventù del PASOK ma con i buttafuori che sorvegliavano i loro uffici. Alla fine siamo riusciti ad arrivare agli uffici, e quelli che non si erano chiusi dentro hanno avuto quello che si meritavano. Di conseguenza, uno studente del PASP che teneva la bandiera [nazionale insanguinata] del Politecnico ha un braccio rotto in tutte le foto che hanno decorato le prime pagine dei quotidiani il giorno dopo.

Un altro incidente che ripesco tra i miei ricordi è un presidio di solidarietà al tribunale di Evelpidon [nel luglio 2008] per gli anarchici allora in carcere [Marios] Tsourapas e [Chrysostomos] Kontorevythakis, processati per un attacco incendiario [di una pattuglia] alla sede della polizia municipale. Finita la seduta, i/le solidari* che avevano assistito all’udienza si sono incamminat* a piedi verso Exarchia. All’altezza del parco Pedion tou Areos, è scoppiata una rissa con due sbirri dell’unità motorizzata Z, e sono stati presi i caschi che avevano lasciato sulle moto. Durante la rissa gli sbirri avevano estratto le pistole e sparato diversi colpi non solo in aria ma anche sulla folla per costringerci a scappare.

Fotogramma successivo nella narrazione è quella maledetta sera del 6 dicembre. Ero seduto con Alexandros e altri ragazzi nella via pedonale di Messolonghiou, come quasi ogni giorno.

Dopo un po’ è arrivato un compagno che ha suggerito di andare in via Charilaou Trikoupi ad aspettare che passasse una pattuglia per gettare le pietre che aveva raccolto. Siamo andati con lui e abbiamo aspettato mentre Alexandros era rimasto un po’ indietro. Poco dopo è passata una pattuglia, con Korkoneas e Saraliotis all’interno.

Allora non sapevo che la pienezza del tempo era venuta per tutti noi; era il momento che avrebbe cambiato tutto. La clessidra della vita è stata girata nel momento in cui una pietra ha colpito la vettura di Korkoneas. Siamo tornati indietro a sederci nella via pedonale con gli altri, mentre Korkoneas e Saraliotis sono passati con la pattuglia da via Zoodochou Pigis per vedere chi li aveva attaccati; a quel punto abbiamo gettato qualche oggetto alla pattuglia; dopo averci gettato un’occhiata, si sono allontanati, hanno parcheggiato la vettura accanto alla squadra antisommossa delle MAT che sorveglia gli uffici del PASOK, e sono tornati a piedi all’incrocio fra Tzavela e Zoodochou Pigis.

Quando abbiamo visto avvicinarsi gli sbirri ci siamo alzati per andar via, perché pensavamo che con loro ci fosse la squadra antisommossa, come capita di solito. In quel momento i due sbirri hanno cominciato a insultarci ed è allora che ci siamo accorti che erano venuti da soli, senza rinforzi. Quindi alcuni di noi sono avanzati verso di loro, e Alexandros, che era davanti, ha lanciato qualche bottiglia di birra che stavamo bevendo. Dopo pochi secondi, Korkoneas ha estratto la pistola e concluso con le pallottole lo scontro che era iniziato solo poco prima.

Una pallottola nel cuore di Alexandros per chiudere il cerchio dell’onnipotenza della macchina statale. Una macchia di sangue nella via pedonale Messolonghiou per aprire il cerchio di ribellione che ha distrutto l’ordine legale e seminato caos e anarchia in tutte le città greche.

Logicamente gli avvocati della difesa hanno cercato, e cercheranno, di sostenere che è stato un caso sfortunato, una pallottola di rimbalzo, un incidente isolato. Dal mio punto di vista, per quanto possa suonare contraddittorio, fa comodo anche a me – ovviamente sul piano giudiziario più che politico. Non credo nell’istituzione del carcere, lo considero uno degli strumenti dell’orrore, democraticamente amministrato in dosi, che la dominazione ha a sua disposizione per assicurarsi una tranquilla riproduzione.
Credo nel diritto rivoluzionario di prendere la legge nelle proprie mani e nello sforzo di tutti di regolare i propri conti da soli, lontano dalla mediazione di sbirri, giudici, leggi, prigioni, la repressione scientificamente pianificata, la bruttezza tecnocratica che macchia la bellezza dell’istinto selvaggio e della libera volontà. Di conseguenza per me gli sbirri-assassini meritano la probabilità caotica della prospettiva che venga fatta vendetta per tutte le anime perdute che cercano la propria salvezza violenta. Questa è l’unica giustizia nel mio sistema di valori.

Inoltre noi non torturiamo le persone come fa sistematicamente la civilizzazione autoritaria contemporanea – la più grande mostruosità nella storia del genere umano, che è persino riuscita a normalizzare la morte e mette le parole e i significati al servizio della propria dominazione attraverso i meccanismi di propaganda dei centri d’informazione globale sempre imparziali.

Perché tutti noi, nemici del Potere, possiamo accettare la prigione o persino la morte come possibile eventualità, ma non abbiamo mai accettato l’esistenza della morte come una nuova storia nella realtà virtuale con cui veniamo bombardati.

La cosa più ridicola è il fatto che i meccanismi di propaganda della dominazione cercano di ritrarre gli omicidi commessi dagli sbirri come incidenti isolati causati da personalità disturbate, come incidenti che accadono sempre a causa di negligenza.

Gli omicidi della polizia non sono né casi isolati, né un fenomeno greco. Sono la manifestazione estrema dell’imposizione democratica sui margini sociali, i poveri diavoli, i delinquenti, i disobbedienti, i migranti. Inoltre, gli omicidi commessi dalla polizia confermano che la guerra di liberazione esiste, ogni volta che prendono di mira i ribelli che prendono le armi e combattono la dominazione con le fiamme della libertà che ardono nei loro cuori.

Questi omicidi sono la logica conseguenza della percezione che gli sbirri hanno del loro ruolo, percezione con cui questi individui vengono indottrinati per far parte della macchina repressiva che protegge il buon funzionamento della macchina sociale.

Le armi da fuoco della polizia non sparano con intenzioni omicide solo in Grecia; uccidono dei 15enni in Turchia perché partecipavano a delle manifestazioni contro il governo, uccidono dei 16enni in Italia perché non si sono fermati a un blocco stradale della polizia, assassina madri e figli in Palestina, assassinano decine di afro-americani negli Stati Uniti per motivi puramente razzisti, uccidono migranti nelle periferie svedesi, uccidono dei giovani nei quartieri più poveri del Regno Unito; uccidono ripetutamente e in serie in tutti gli angoli del pianeta per imporre la pace sociale.

E se gli esempi che ho citato sono conosciuti perché collegati a rivolte su piccola o grande scala in reazione agli omicidi di stato, non smettono per questo di essere una semplice goccia nell’oceano in confronto alla tempesta di giri di vite assassini lanciati dai corpi di sicurezza in difesa della dominazione capitalista.

Se chiudiamo occhi e orecchie al flusso incessante della propaganda dominante, saremo in grado di sentire le migliaia di morti anonime nelle stazioni di polizia, le zone di frontiera marittima e terrestre, i campi di concentramento, le istituzioni psichiatriche e le prigioni, le zone di guerra in Medio Oriente, le fabbriche sfruttatrici che sterminano gli schiavi dei nostri tempi. Chiunque può udire le grida delle persone che vengono torturate nelle celle della polizia, che si suicidano per disperazione in una struttura di reclusione, che vengono affondati dagli sbirri della guardia costiera e annegati nelle gelide acque del Mediterraneo, che mutilano il proprio corpo sulle macchine di produzione delle multinazionali nei paesi del Terzo mondo, che vengono seppelliti sotto le macerie dai bombardamenti aerei condotti alla cieca dagli imperi capitalisti.

Di conseguenza, tutti i discorsi politici che attualmente ruotano attorno al valore della vita umana sono, di fondo, ipocriti e profondamente offensivi.

Da parte nostra, abbiamo un approccio molto diverso su quello che è normalmente accettabile e sul valore della vita umana, in confronto a come questi concetti sono definiti dalla norma dominante.

Non crediamo che sia normale accettare che le persone nelle società occidentali mangino apatici davanti alla TV, guardando operazioni di guerra in cui i territori del terzo mondo sono bombardati alla cieca. Crediamo invece che sia normalmente accettabile trasporre questa guerra all’interno dei centri urbani, provocando un costo politico agli interventi assassini dei superpoteri dominanti.

Non crediamo che sia normalmente accettabile che dei civili vengano bombardati come strategia di guerra degli stati per abbattere il morale dei popoli in resistenza come quello della Palestina. Crediamo invece che sia normalmente accettabile colpire con ogni mezzo quei soldati, più o meno esperti, che vengono impiegati nelle operazioni militare contro i civili.

Non riteniamo che sia normalmente accettabile che tutto questo venga presentato come un intervento umanitario dei superpoteri dominanti per assicurare la pace. Non troviamo che sia normalmente accettabile che l’intero mondo civilizzato pianga lacrime di coccodrillo per i morti in Francia, mentre quegli stessi stati e i loro servizi segreti – che con i loro interventi annegano nel sangue intere popolazioni – hanno chiaramente istruito, armato e finanziato il mostro chiamato Islamofascismo per servire i loro interessi; mostro che, come è già capitato spesso in passato, è diventato autonomo e si rivolta contro i propri benefattori una volta acquisito il potere.

Non pensiamo che sia normalmente accettabile che gli avvoltoi delle lobby finanziarie saccheggino le ricchezze in risorse naturali di paesi destabilizzati in nome della pace e della crescita.
Ma pensiamo che sia normalmente accettabile attaccare con ogni mezzo possibile i padroni, i funzionari di stato, i banchieri, chi detiene posizioni di potere politico ed economico, chi si arma per proteggere la pace sociale assassina, i rappresentanti della magistratura, i dirigenti delle multinazionali, tutte le persone e le infrastrutture che mantengono e riproducono un sistema responsabile per tutta la bruttezza che esiste su questa terra.

Queste sono differenze che non possono essere superate ma che possono soltanto scontrarsi fino alla fine; costituiscono l’evoluzione dell’insurrezione e della controinsurrezione, così come le dialettiche avanzate sviluppate in ognuno dei due campi.

Per quanto ci riguarda, questo crea uno spazio vuoto tra gli ambiti in cui il controllo sociale è organizzato e sbocciano i fiori insanguinati dell’apatia, un vuoto pericoloso che mira a schiacciare l’oppressione organizzata e la violenza del Potere, il fattore imprevedibile, l’errore statistico nei diagrammi dei tecnocrati, l’ospite non invitato sotto forma di nemico interno che si organizza e si arma per colpire i nemici della libertà.

Questa è l’insurrezione anarchica permanente, e la sua filosofia contagia il tessuto autoritario, diffondendo l’anarchia nelle metropoli del capitalismo.Ed è evidente che non si arrende e non batte in ritirata, ma è solo dispiegata altrove per attaccare ripetutamente. Perché rischiare il tutto per tutto non è una frase inoffensiva dipinta su un muro, ma il significato che riassume le vite di quei/lle compagn*, di questi e altri tempi, che sono cadut* combattendo contro il nemico. Ecco perché l’insurrezione anarchica continua continuerà a prendere d’assalto la dominazione finché l’ultimo autoritario non verrà impiccato con le budella dell’ultimo burocrate.

Quindi torniamo al punto in cui le minoranze combattive rovesciano la produzione di massa di conclusioni deterministiche, in cui tutto è possibile, in cui le intrusioni non annunciate nel territorio occupato dal Potere affliggono la sua supremazia militare e politica.

Perché parlare di anarchia non è abbastanza se non ci si assicura della sua sopravvivenza attraverso azioni contro lo stato, il capitale, la società e la sua civilizzazione; perché l’anarchia sarà sempre una guerra senza limiti contro la probabilità dettata dagli “esperti”.

Per me, questo è sempre stato la posta in gioco in questo conflitto; era, è e sarà l’unica fonte solida per l’analisi della storia.

Alexandros è ormai parte integrante di questa storia; non posso dire quello che sarebbe diventato se le cose fossero andate diversamente; “e se invece” non è nient’altro che il demone interiore del ferito. Ma posso dire chi era Alexandros finché non è caduto ucciso dalle pallottole di quello sbirro. Nella sua breve ma avventurosa vita ha vissuto in maniera autentica; era un giovane ribelle, affascinato dall’idea dell’anarchia, come chi occupa in questi gioni le stradine della città, lancia molotov agli sbirri, e incendia le pattuglie; era indisciplinato e testardo; una persona sincera con un animo gentile e altruista in qualunque cosa facesse. Era una persona che viveva intensamente passioni e frustrazioni.

Ha amato ed è stato amato da molti compagni, e sarà sempre un punto di riferimento per molte persone, la maggior parte delle quali sono ora detenute nelle prigioni della democrazia. E può non essere più con noi, ma so che continua a progettare ribellioni su piccola e grande scala con i nostri morti , Mauricio [Morales], Carlo [Giuliani], Sebastián [Oversluij], Michalis [Kaltezas], Lambros [Foundas], Christos [Tsoutsouvis] e dozzine di altre persone meravigliose che sono partite lasciando i loro sogni irrealizzati.

Alla domanda che potrebbe essere giustamente posta – perché tutto questo doveva essere detto proprio ora – la risposta è semplice.

Nel contesto attuale, in cui la velocità del tempo storico è deragliata, in cui i fatti vengono facilmente slegati dalle circostanze che li hanno visti nascere, in cui la realtà viene alterata dalle lenti deformanti di addetti stampa di ogni tipo, in cui la vita di tutti i giorni è plasmata secondo l’immagine che ricade sulle teste della gente dal mondo digitale, mantenere viva la memoria rivoluzionaria, rendere noti tutti i suoi aspetti senza abbandonare niente all’oblio, cosa che può soltanto favorirne l’alterazione, è una necessità.

Con l’apertura di nuovi circoli di esperienze radicali, non c’è un modo migliore di riprendere l’insurrezione anarchica che collegarla con il punto in cui è stata ravvivata. Perché è una supposizione comune che una parte della generazione di anarchici, con i loro piccoli e grandi disaccordi, che si sono armati dopo la rivolta del dicembre 2008, e sono ora rinchiusi nelle celle delle prigioni greche, ha come punto di partenza le notti in cui i ribelli erano dietro le barricate e l’anarchia ha respirato tra i simboli danneggiati del Potere.

Dato che le nostre esperienze sovversive si allontanano dall’ambito dei nostri eventi personali nella routine della nostra prigionia, cerchiamo di creare un punto di contatto e, allo stesso tempo, il punto di partenza di un nuovo viaggio. Un punto di contatto con le nostre origini storice e politiche, un nuovo punto da cui partire in cui i ribelli si incontreranno fra loro, e non prenderanno le strade di tanto in tanto, ma contribuiranno piuttosto alla creazione di una piattaforma informale di coordinamento e azione all’interno dell’anarchia; in cui la strategia chiami alla permanenza della rabbia, in cui la dialettica rivoluzionaria chiami a un impegno appassionato nei confronti della lotta di liberazione.

Perché Dicembre Nero non è la messa in scena di una ripetizione di gesti insurrezionali passati, ma piuttosto un circolo di lotta che unisce il passato al presente, alla ricerca di un futuro in cui la nostra vita di tutti i giorni sarà sommersa di atti di attacco e ribellione contro il Potere.

Perché, nonostante i nostri corpi siano incarcerati tra mura e sbarre, le nostre anime si trovano in ogni parte del pianeta in cui vengono innalzate le bandiere della resistenza per un mondo di libertà. Perché i nostri cuori continuano ostinatamente a battere al ritmo della libertà selvaggia, accanto ai compagni del Movimento Insorto Anarchico in Brasile, che, a loro volta, hanno lanciato l’appello al Dicembre Nero dopo aver appiccato il fuoco a delle filiali di banche, accanto alle cellule della FAI e i gruppi di compagni guerriglieri che vanno all’offensiva, accanto ai combattenti per la libertà che combattono l’Islamofascismo nel territorio del Rojava, accanto ai compagni anarchici che rischiano le loro vite con abnegazione per aiutare alla ricostruzione di Kobanî, accanto ai rivoltosi in Gran Bretagna la cui rabbia si manifesta violentemente, spezzando il controllo sociale soffocante, accanto agli anarchici spagnoli colpiti dalle operazioni anti-anarchiche dello stato spagnolo, nelle strade del Cile, in cui i ribelli si scontrano con gli sbirri e fanno saltare le stazioni di polizia, nelle piazza turche, in cui i nostri compagni hanno pagato con le loro vite il conflitto con lo stato-mafia di Erdoğan, accanto ai compagni in Belgio che appiccano fuochi di distruzione nelle strade di Bruxelles. Nonostante le distanze la nostra lotta è comune, e condividiamo la stessa gioia e gli stessi dolori con tutte le persone che diffondono il veleno della libertà nel tessuto sociale autoritario.
Ed è qui che metto fine a questo racconto.

Questo era Alexandros e questo sono io. Non mi pento di niente e credo ancora che l’unica scelta dignitosa al giorno d’oggi sia quella della lotta sovversiva multiforme per l’anarchia. Per tutte le ragioni del mondo, il confronto tra il mondo della libertà e il mondo dell’asservimento continuerà fino alla fine.

Onore eterno a chi è stat* ucciso nella lotta per la liberazione!

Per un Dicembre Nero!

Per l’offensiva anarchica contro il mondo del Potere!

Solidarietà e forza a tutt* i/le prigionier* anarchic*!

Lunga vita all’Anarchia!

Nikos Romanos

 

PS. Per mettere fine alla presa in giro di questi ultimi giorni a proposito di un emendamento sui permessi educativi, la cui bozza sarebbe stata presumibilmente presentata dalla banda di pagliacci di SYRIZA per “avvantaggiarmi personalmente”, lasciatemi giusto chiarire che per i tre anni in cui mi sono ritrovato in prigione non ho mai messo piede all’esterno, e non sembra probabile che accada, visto che è evidente che non mi sarà concesso alcun permesso da nessun pubblico ministero, che si chiami Nikopoulos o Perimeni. Quindi i trucchi della comunicazione di SYRIZA sono ben studiati per coltivare  un’impressione positiva tra i votanti di sinistra che rimangono loro, senza rischiare, dato che il processo del caso in cui appaio come accusato [cioè in attesa di sentenza; che per le autorità è la “giustificazione speciale” per respingere tutte le richieste di permessi educativi] si concluderà comunque fra un mese; ma l’amministrazione carcerale mi ha fatto chiaramente capire che continuerò a ricevere decisioni negative finché continuerò a rilasciare dei testi e “disturbare” dall’interno – cosa che continuerò a fare, perché non intendo fare alcuna concessione sulle mie posizioni.

in inglese, greco

Grecia / Cipro: Manifestazione e scontri del 6 dicembre

heraklion-creteIl 6 dicembre si sono svolte delle manifestazioni per il settimo anniversario dell’uccisione di Alexandros Grigoropoulos in diverse città greche, come Salonicco, Komotini, Ioannina, Karditsa, Lamia, Volos, Larissa, Trikala, Agrinio, Patras, Kalamata, Heraklion & Rethymno (isola di Creta), Mytilini (isola di Lesbos), e Atene centro, ma anche a Limassol, Cipro.

Lo striscione principale a Trikala diceva: “Avanti per un Dicembre Nero senza fine – Perché nessun Dicembre finirà mai (A)CAB”.

trikalaUno degli slogan cantati a Mytilini: “Koumis, Kanellopoulou, Michalis Kaltezas, Alexis Grigoropoulos, questa è la Grecia,” in riferimento ai giovani che hanno perso la vita per mano della polizia greca (lo studente universitario Iakovos Koumis e il lavoratore Stamatina Kanellopoulou sono stati uccisi dai poliziotti nel novembre 1980; i loro crani sono stati sfondati da feroci percosse).

A tarda sera ci sono stati degli incidenti in città come Komotini, Agrinio, Volos, Kalamata e Heraklion, mentre la terza notte di scontri a Exarchia è durata diverse ore.

Filmati da Athens / Exarchia:

Filmato da Komotini, Grecia del nord:

in inglese

Creta: iniziativa per Dicembre Nero dei/lle compagn* di Rethymno

creta

Un’iniziativa dei/lle compagn* di Rethymno, sull’isola di Creta, ha risposto alla proposta di un Dicembre Nero da parte del prigioniero anarchico Nikos Romanos e di Panagiotis Argirou, prigioniero anarchico della CCF. In più, volendo ravvivare il ricordo e le pratiche del Dicembre ’08, hanno invitato individualità e collettivi dell’isola a comunicare fra loro e coordinare le loro azioni in tutta Creta.

I compagni, fra le altre cose, dichiarano:

“(…) L’appello alla creazione di una ‘piattaforma di coordinazione informale’, che possa superare i preconcetti teorici all’interno dell’anarchia insurrezionale, propone qualcosa di nuovo in confronto alle recenti proposte. La base informale può essere terreno fertile perché ogni compagn* o collettivo che scelga di rispondere all’appello possa esprimersi e agire liberamente. (…)
Come individualità abbiamo notato che ultimamente la tendenza anarchica è quella di unire le forze in occasione di ‘eventi significativi’ e, sfortunatamente, si ritrova soltanto a tenerne traccia. Il risultato concreto è che ci troviamo impreparati, e le nostre azioni non ottengono i risultati sperati.

Cerchiamo di diventare, tutti noi, il detonatore di eventi, di creare le condizioni propizie, e invece di posizionarci sulla difensiva contro l’establishment creato dallo Stato e il Capitale, scegliamo di andare all’offensiva.
A Rethymno, l’interruzione della regularità sociale è un episodio raro. Attraverso le nostre azioni, cerchiamo di disturbare la legge divina della normalità retimniana.

Il primo tentativo di coordinazione e azione viene attuato nel contesto del ‘Dicembre Nero’. L’eredità del Dicembre 2008 è importante per l’anarchia. Centinaia di squat e occupazioni, gruppi di azione diretta, attacchi spontanei e organizzati, diffusione diretta del discorso anarchico, attraverso interventi nei mass media dell’addomesticazione, è tutto quello che rievochiamo e desideriamo reintegrare nelle pratiche quotidiane dell’anarchia. (…)

Per tutte le ragioni, obiettivi, azioni e aspirazioni sopra citate, scegliamo di essere al fianco di tutt* i/le compagn*, dentro e fuori le mura, che agiranno nel quadro del ‘Dicembre Nero’.
I fuochi di Dicembre ’08 possono essersi affievoliti, ma bruciano ancora dentro di  noi.”

in inglese, greco

[Prigioni greche] Per una nuova posizione di lotta dell’insurrezione anarchica – Per un Dicembre Nero

“Odio l’individuo che china il suo corpo sotto il peso di una potenza sconosciuta, di un X qualsiasi, di un Dio. Odio tutti coloro che cedendo ad altri per paura, per rassegnazione, una parte della loro potenza di uomini non solamente si schiacciano, ma schiacciano anche me, quelli che io amo, col peso del loro spaventoso concorso o con la loro inerzia idiota. Li odio, sì, io li odio, perché lo sento, io non mi abbasso sotto il gallone dell’ufficiale, sotto la fascia del sindaco, sotto l’oro del capitale, sotto tutte le morali e le religioni; da molto tempo so che tutto questo non è che una indecisione che si sbriciola come vetro…”
–Joseph Albert (Libertad)

Ci sono momenti nella storia in cui la casualità di alcuni eventi può provocare delle variabili dinamiche in grado di paralizzare quasi interamente lo spazio-tempo sociale.

Era la notte di sabato 06 dicembre 2008 quando in pochi istanti c’è stato il culmine del conflitto tra due mondi. Da un lato la violenza insurrezionale, giovanile, entusiasta, spontanea e impetuosa; dall’altro l’apparato ufficiale e instituzionale dello stato che, legittimamente, reclama il monopolio della violenza attraverso la repressione.

No, non si è trattato di un ragazzino innocente e un poliziotto paranoico che si sono trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato, ma di un giovane compagno ribelle che ha attaccato una pattuglia, in una zona in cui gli scontri con le forze di repressione erano frequenti, e di un poliziotto che pattugliava quella stessa zona e, obbedendo all’idea personale di onore e reputazione della polizia, ha deciso di affrontare da solo gli agitatori. È stato un conflitto fra due forze opposte: da una parte l’Insurrezione, dall’altra il Potere, con i protagonisti principali di questo conflitto che rappresentavano il proprio campo.

L’assassinio di Alexandros Grigoropoulos da parte del poliziotto Epameinondas Korkoneas, e l’ampia sommossa che ne è conseguita, hanno causato un elettrochoc sociale potente, perché l’immagine di “pace sociale” ne è uscita distrutta e l’esistenza di questi due mondi contrapposti è diventata visibile nel modo più evidente, scatenando situazioni da cui non era facile tornare indietro, almeno non senza la creazione e la manifestazione di eventi la cui dinamica nessuno poteva più fingere di non aver notato, di non aver visto, di non aver sentito, di non aver preso in conto.

La rivolta del 2008 ha scosso una società che, per la maggior parte, approfittava ancora della benedizione consumistica e della cultura dello stile di vita occidentale, e ignorava le conseguenze insopportabili dell’incombente crisi economica. Ha causato imbarazzo, torpore e paralisi percettiva, poiché la maggioranza del corpo sociale era incapace di capire da dove saltassero fuori le tante migliaia di rivoltosi che creavano disturbi di tale portata.

All’indomani della rivolta, numerosi intellettuali, analisti politici, professori, sociologi, psicologi, criminologi, e persino artisti, approfittando tutti del loro prestigio e della loro notorietà professionale, hanno partecipato al dibattito pubblico, non solo per interpretare Dicembre ’08, ma anche per privarlo di senso, diffamandolo e condannando allo stesso tempo la violenza, da dovunque venisse, rendendo ben chiaro quale fosse il loro reale ruolo sociale.

C’è molto da dire su Dicembre ’08 e la sua eredità insurrezionale, come è stato manifestato attraverso decine di gruppi di azione diretta che si sono moltiplicati in maniera esplosiva in tutto il paese, creando un fronte di minaccia interna. Un periodo in cui l’azione diretta anarchica ha minato la normalità sociale quasi quotidianamente. Ma quello che vogliamo innanzi tutto è ricordare…

Ricordare cos’è stato Dicembre ’08 e come l’anarchia, assumendo un ruolo da protagonista, ha contribuito all’apparizione di situazioni dinamiche che hanno acquistato risonanza nel movimento anarchico internazionale.

Ricordare il momento in cui l’anarchia ha superato la paura dell’arresto, della prigionia e della repressione violenta, acquisendo così un’enorme fiducia in se stessa, passando ad azioni e gesti che fino ad allora sembravano impossibili; una fiducia che si è manifestata con l’intera gamma di azioni anarchiche multiformi, dai semplici interventi pubblici a ogni tipo di occupazioni, e dalle pratiche conflittuali spontanee alle azioni offensive più organizzate.

Vogliamo ricordare il nostro giovane compagno colpevole della propria spontaneità che ha pagato con la vita. In altre circostanze avremmo potuto essere al suo posto, poiché lo stesso entusiasmo insurrezionale ci pervade da allora, e tra l’altro, TUTT* dovremmo ricordare le nostre origini invece di esorcizzarle.

Vogliamo ricordare la bellezza del paralizzare lo spazio-tempo sociale attraverso corto-circuiti sociali piccoli o grandi.

Vogliamo ricordare quanto può diventare pericolosa l’anarchia, quando vuole…

Vogliamo rivivere i giorni in cui “morte non avrà dominio, i morti nudi saranno uno con l’uomo nel vento e la luna occidentale, e irromperanno nel sole fin che il sole cadrà” (versi parafrasati da un poema di Dylan Thomas).

* * *

“È così che impariamo l’umiltà.
Quante volte la gente è rimasta seduta
a casa e aspettato da sola,
aspettato che i compagni
tornassero?
La battaglia è pianificata
Ogni minuto conta
Ogni persona sa quello che deve fare
Sono state prese tutte le precauzioni.
Stanotte quanti guerriglieri stanno combattendo?
Stanotte la radio annuncia
che la polizia sta cercando di ricacciare
dalle strade centinaia di manifestanti.
Le pietre volano,
puoi sentire i canti, i vetri che si spaccano,
le sirene dietro il chiacchiericcio nervoso del cronista.
Le undici.
Non è ancora finita.
Quanti sono passati prima di noi?
Le linee risalgono
lungo la storia.
Quante ne restano ancora da fare?”
–La tribù dell’Aquila orgogliosa del Weather Underground

Partendo da una semplice osservazione, il bisogno imperativo di tracciare una strategia il cui nucleo sia l’azione anarchica molteplice che si scontri frontalmente col Potere e i suoi esponenti, siamo sicuri che il contributo di un’altra proposta teorica sull’organizzazione anarchica non sarebbe proficuo, se dovesse restare all’interno della struttura ristretta dell’inflessibilità ideologica. Se non tentiamo di sciogliere le nostre contraddizioni quotidiane attraverso azioni che siano complementari della lotta di liberazione nel suo complesso, siamo destinati ad annegare nella marea di introversione che pervade i circoli anarchici.

Crediamo che per elaborare una strategia – sui cui assi si incroceranno gruppi di affinità, lotta multiforme e insurrezione anarchica permanente – dobbiamo mettere alla prova nella pratica le nostre forze, il nostro slancio, le nostre capacità e i nostri limiti. In questo modo saremo in grado di  porre i fondamenti logici basati su reali esperienze di lotta e non su acrobazie teoriche. Viviamo l’inizio della fine del mondo come lo conosciamo.

Il tentativo da parte dello Stato di risolvere pacificamente i conflitti sociali è un lontano ricordo, come lo è la prosperità economica, e i modelli d’interventismo di stato nell’economia sono finiti in pattumiera – dato che ai giorni nostri la dominazione delle multinazionali e la possibilità del Capitale di oltrepassare i confini nazionali senza restrizioni sono state istituzionalizzate dai centri di potere dominanti. La narrazione storica degli stati-nazione che ha servito lo sviluppo capitalista per diversi decenni attraverso le economie nazionali sta collassando, la fascizzazione tecnologica crea infinite possibilità per la gestione delle emozioni umane, la complessità in continua crescita della struttura sociale destabilizza gli automatismi sociali e militarizza la vita sociale delle metropoli, le macchine per la digitalizzazione della vita tolgono vigore al complesso funzionamento critico del pensiero degli esseri umani e creano cimiteri di coscienze, le immagini dell’orrore umano vengono assimilate nella coscienza sociale e cessano di creare sentimenti al di là della sensazione di choc.

Ci troviamo nel processo di un aumento qualitativo della “guerra civilizzata”, in cui la felicità di uno convive col tormento di un altro; in questo nuovo ambiente fa la sua comparsa la specie di umani contemporanei, geneticamente atti ad accettare come ovvio un modo di vita malato, in un mondo degenere da cui ogni selvatichezza della natura è sparita a causa della rigenerazione urbana e le tendenze espansive delle condizioni artificiali della civilizzazione. Viviamo in mezzo a roditori industriali che vivono con una dieta controllata, in un ambiente controllato, e si trasformano in modelli sociali che dobbiamo seguire per sopravvivere.

In questo contesto l’anarchia acquista una possibilità strategica di incendiare tutte le forme di rappresentazione politica e di diventare un fronte di guerra aperta e non convenzionale contro la dominazione, che trasformerà la diversità e il pluralismo delle opinioni all’interno della comunità anarchica in un vantaggio e riunirà gli oppressi che decideranno di spezzare le catene della loro sottomissione ai centri di lotta creati. Spesso le osservazioni più importanti vengono dette nella maniera più semplice. Vogliamo vedere il mondo del Potere distrutto dalle mani armate di uomini e donne ribelli. Quindi superiamo gli schemi teorici, e riportiamo il peso del discorso al punto iniziale, al punto in cui il sasso lascia la nostra mano per finire sulla testa di un poliziotto, il punto in cui decidiamo di spezzare le catene della prigionia, il punto in cui le volontà sovversive si manifestano in maniera combattiva nelle strade, il punto in cui le lancette di un ordigno esplosivo si allineano per far esplodere la nebbia assassina dell’ordine legale.

Invertendoil flusso del dialogo predeterminato, non parliamo in anticipo del modo in cui agiremo, ma proponiamo la coordinazione dell’azione anarchica e una rete informale di progetti anarchici tramite la forza vitale dell’azione multiforme; in questo modo saremo in grado d’individuare i nostri errori e le nostre debolezze misurando allo stesso tempo le nostre capacità di arrivare a una valutazione critica che sarà la base della nostra strategia che favorirà l’azione anarchica frontale contro ogni autorità.

La nostra proposta di scommettere sulla formazione di un fronte anarchico insurrezionale molteplice è semplice; una campagna d’azione col nome di ‘Dicembre Nero’ che sarà il detonatore della ripresa dell’insurrezione anarchica, dentro e fuori le prigioni.

Un mese di azioni coordinate per conoscerci fra noi, uscire in strada e distruggere le vetrine dei grandi magazzini, occupare scuole, università e municipi, distribuire testi che diffonderanno il messaggio di ribellione, piazzare ordigni esplosivi contro fascisti e padroni, esporre striscioni su ponti e strade, sommergere le città di manifesti e volantini, far saltare le case dei politici, lanciare molotov contro la polizia, taggare i muri con slogan, sabotare il flusso tranquillo di merci in pieno periodo natalizio, saccheggiare l’ostentazione di abbondanza, organizzare attività pubbliche e scambiare esperienze e motivazioni su diversi temi della lotta.

Incontrarci nelle strade della città, e dipingere con le ceneri sugli orridi edifici di banche, commissariati, multinazionali, basi militari, studi televisivi, tribunali, chiese, associazioni benefiche.

Sconvolgere in mille modi la mortale normalità sociale delle droghe psicotrope, l’asfissia economica, la miseria, l’impoverimento e la depressione, regolando la nostra esistenza sui ritmi dell’insurrezione anarchica, in cui la vita assume un significato nella battaglia incessante contro la dominazione e i suoi rappresentanti. Incendiare la fragile coesione sociale e uscire in strada per strangolare per prima cosa il mostro dell’economia, prima che ci stermini attraverso i suoi meccanismi burocratici e i suoi killer in giacca e cravatta che riempiono i centri di comando della guerra economica.

Dicembre Nero non cerca semplicemente di trasformarsi in qualche giorno di rivolta; quello che vogliamo creare invece – attraverso l’azione anarchica multiforme e multilivello – è una piattaforma di coordinazione informale sulla cui base confluiscano gli impulsi sovversivi; un primo tentativo di coordinazione informale dell’anarchia, al di là del quadro predeterminato, che aspira a creare quest’esperienza di lotta per mettere in moto proposte sovversive e strategie di conflitto.

Questa nostra proposta è legata allo stesso tempo con eredità di lotta corrispondenti al di là dei nostri confini geografici; qualche mese fa, in Messico, un gruppo di compagn* ha attaccato l’istituto nazionale elettorale con un ordigno esplosivo, e chiamato a una campagna anti-elettorale multiforme e dinamica per un Giugno Nero, appello che è stato raccolto da una parte significativa del movimento anarchico. Seggi elettorali e ministeri sono stati travolti dalle fiamme, scontri con la polizia sono nati nelle strade delle città, sono state tenute riunioni pubbliche, e testi di propaganda anarchica contro le elezioni sono stati distribuiti. Un mosaico di attività molteplici, con riferimenti politici e punti di partenza diversi, con cui l’anarchia ha risposto al circo elettorale della democrazia, avendo come strumenti i principi di orizzontalità, coordinazione informale e insurrezione perenne; tali esperienze di lotta, in cui l’immaginazione collettiva e la determinaione creano fuochi di guerra liberatori nel nuovo ordine dele cose, dimostrano chiaramente che esiste una prospettiva per l’abolizione effettiva della nota pseudo-polarità tra legale e illegale, e allo stesso tempo rende la progettualità anarchica opportuna attraverso i fuochi dell’insurrezione.

La scommessa della sovversione rimane aperta; il destino di questa proposta si trova nelle mani dei/lle compagn* di tutto lo spettro di lotta che sceglieranno se vale la pena metterla in movimento.

“La prima notte in cella, pensieri della sua vita libera viaggiavano a velocità vertiginosa nei neuroni del suo cervello. Sapeva che la prigionia è la conseguenza logica dello scontro con un nemico che possiede una potenza di fuoco superiore a tutti i livelli.
Per chi ha sabotato i binari del treno del terrore appartenente a una realtà sociale che elimina in ogni modo possibile coloro che lo mettono in questione, le sbarre della prigione saranno una realtà; ma naturalmente questo non significa che questa realtà verrà accettata senza lottare.

Con questi pensieri in testa, chiuse gli occhi e sognò non che gli sarebbe piaciuto vivere fuori dalle mura ma l’incubo di molti anni di inerzia, attesa e corruzione dei propri istinti.

Il mattino seguente, affrontando per la prima volta la monotonia di una routine carcerale quotidiana e ripetitiva, era già stanco di essere paziente; l’aveva visto viaggiare senza scopo attraverso il labirinto della tolleranza nei primi segni di una vigliaccheria nascosta. Rinchiuse l’odio nella valigia delle emozioni intatte accanto all’amore per la libertà, e passò la chiave a un compagno, chiedendogli di lasciarla acanto alle tombe dei/lle compagn* assassinat* che sono caduti in battaglia contro il nemico.

Gli anni sono passati e l’unica cosa che la prigione è riuscita a fare è stato riempirlo di rabbia, renderlo impaziente per il dopo, fargli cercare un modo di applicare praticamente la guerra anarchica; a quel momento aveva realizzato che l’unica alleanza fattibile è col mondo delle possibilità.

Poche possibilità per convincere la maggioranza delle persone in questa società che la sua scelta non si trova tra la follia e un’impasse, ma abbastanza perché valga la pena scommetterci  per la grandiosa idea di distruzione. La grandiosa idea di una collisione frontale con il mondo delle ombre e i suoi sottomessi. La porta della prigione si apre, e ora sa cosa fare; tenere viva la memoria, non lasciare spazio all’oblio, non dimenticare mai i compagni lasciati indietro, riprendere il filo dell’insurrezione dove si era spezzato, versare il veleno dell’insubordinazione nelle reti riproduttive della società capitalista.

Per un’insurrezione anarchica permanente!
Nessuna tregua col Potere e i suoi burattini!”

Per un Dicembre Nero!

Per l’offensiva anarchica contro il mondo del Potere!

PS. L’11 dicembre di due anni fa il nostro fratello Sebastián ‘Angry’ Oversluij ha perso la vita durante l’espropriazione armata di una banca in Cile, ucciso dal tiro di un servo in uniforme del sistema. Crediamo che questo Dicembre Nero sia l’occasione per onorare la memoria del nostro fratello anarchico, unendo la memoria anarchica e abolendo di fatto confini e distanze.

Nikos Romanos

Panagiotis Argirou, membro della Cospirazione delle Cellule di Fuoco – FAI/IRF

in greco, inglese, spagnolo, portoghese

Grecia, Atene : Assunzione di responsabilità dalla Minoranza Combattente/Comando Alexandros Grigoropoulos 07/12/2012

Assumiamo la responsabilità per l’attacco incendiario alla casa dell’ex ministro delle Finanze e della Difesa Giannis Papantoniou. Siamo arrivati ​​davanti alla porta della sua villa in via Olimpias a Kifissia ed abbiamo dato fuoco alle due auto che usa lui e la sua “moglie” Roula Kourakou per i loro trasporti inutili. La guardia personale che mantiene il maiale non ha potuto garantirli la sicurezza di cui chiede. Al di Fuori del fatto che i nostri pensieri hanno sempre flirtato con l’immagine della villa in fiamme e del terrorizzato Papantoniou e la sua “moglie” in cerca di vie di fuga, avevamo escluso a priori tale prospettiva visto che all’interno della villa era il loro piccolo bambino il quale non volevamo mettere ad alcun rischio.

Lontano da una retorica populista rileviamo al volto di Giannis Papantoniou un ufficiale del potere. Non ci interessa di elencare gli affari loschi anche se certamente ne ha fatti molti. In ogni modo, incorruttibili o corrotti, i funzionari del governo, indipendentemente dal fatto che mantengono le proprie posizioni nell’apparato statale sono un permanente bersaglio per le dignità ribelle. Abbiamo effettuato il nostro attacco la stessa notte che quattro anni prima i sbirri hanno uccisi il compagno Alexandros Grigoropoulos. Quattro anni fa qualcuno ci ha lasciato presto, un urlo di morte che ha scatenato la rivolta e gli eventi che tutti conosciamo, quattro anni dopo quel giorno, un grande fuoco e alcune esplosioni al di fuori della casa di un nemico dichiarato risvegliano il nostro odiano e scatenano il terrore nella direzione desiderata.
Attraverso gli attacchi personali desideriamo di irrompere le zone territoriali di sicurezza nelle loro vite. Nelle loro case, nelle loro auto, nella loro vita dissoluta.

Pensieri dall’abisso, dedicati dal nostro cuore a coloro che si immettono con rabbia nel proprio abisso…

Volti oscuri, con i caratteri che si nascondono sotto un cappuccio, con l’interni che bruciano. Bruciano dalla loro passione per una libertà che deve essere vissuta, per una morte che forse si avvicina, per un evento inatteso che ha cambiato la loro vita.

Per una attimo si illuminano per interi sui fuochi accesi delle barricate e sulle merci bruciate delle metropoli, con gli occhi che brillano da una speranza, per l’impossibile che deve essere raggiunto a tutti i costi, per la contraddizione che è stata appena armata ed ha preso il proprio posto di battaglia nella camera di scoppio. E l’arma punta verso entrambi i nemici e le nostre teste. Una roulette russa che porta alla follia. E questa follia, bella e pericolosa travolge ogni muscolo del nostro corpo, ogni neurone del nostro cervello, diventa pietra sulla testa dei sbirri, bombe nelle sede centrali dell’ordine costituito, pallottole nei corpi dei nostri aguzzini. E ritornando alla base, la contraddizione armata fa fuoco, si converte in una domanda eterna che ronza e urla dentro di noi, un pianto che si versa per il cambiamento che si allontana sempre di più, un grido che rompe la notte di pietra degli schiavi moderni per informarli del nostro arrivo.

“Bastardi vi fotterò, tutti, oggi ho toccato la fine come voi toccate la vostra moglie o il vostro marito, che procedura standard per voi, così come prendete il cibo dal forno, che cosa nuova per noi ogni volta una nuova esperienza e un nuovo senso, un nuovo sentimento che nasce destinato a morire accanto a noi in qualche luogo buio di riflessione, figli di puttana, fanculo il vostro dio, potessi tirare una linea e sparare in aria come colui che da l’inizio ad una gara, di sapere che correrò come un matto attraverso laghi, foreste e montagne, ma alla fine avrò ottenuto un segno di vincitore o perdente, fanculo al vostro dio”.

E quando il sole tramonterà portando con sé verso l’ignoto pozzo significati e scopi, sfide e deposizioni, questi volti sconosciuti emergono dallo stesso punto sconosciuto che coloro che l’abbiano cercato sono stati persi nel pellegrinaggio trascendentale, ma ora sono felici, sorridenti con un po di felicità prestata dalla creatività distruttiva che preparano per disperdere, decisi che questa volta toccheranno il cielo allungando le mani fino a quando gli fanno male i loro bordi.

Vogliamo un po di tempo in più, giusto per riuscire a mettere i nostri pensieri caotici in un cosiddetto ordine, per definire la variabile della nostra vita che soffoca nei sotterranei sporchi della vita priva di significato del mondo moderno e raggiungere la superficie per un respiro. Solo un respiro che durerà abbastanza a lungo per correre, per innamorarsi, per piangere, abbracciare i nostri amici e i nostri genitori, fare una forte risata, amare i nostri affini e odiare i nostri nemici, a contemplare l’orizzonte, l’universo dell’infinite possibilità. E nel momento che il soffocamento ci affermerà indosseremo di nuovo i nostri cappucci e ci armeremo per l’ultima volta, e quest’ultima volta la parola vendetta prenderà le dimensioni terrificanti che abbiamo sempre sognato, bruceremo i portatori del disprezzo umano e dell’oppressione accumulata, poliziotti e giudici, funzionari governativi e politici, la tempesta autoritaria che ci spaccia diventerà cenere. E in quel esatto momento in cui abbiamo messo a punto una danza favolosa sui cadaveri di tutti loro, realizziamo che la gioia della vittoria non ha alcun significato, non ce la fai, cerchi di prendere un altro respiro, di vivere nel mondo che per tanti anni costruivi con la plastilina della fantasia anarchica nella tua testa, inizi ad avere vertigini, un respiro cazzo, solo un respiro, ma hai già fatto i tuoi accordi quando stringevi la mano con l’aria che ti aveva sussurrato con un reclamo triste, “hai solo un respiro fratello”. Chi se ne frega, questo era tutto, se il tempo era una persona reale l’avrei certamente ammazzata con piacere, succhi con gli occhi spalancati che le ultime immagini e gli odori, pensi con ritmi febbrili, sai che segue l’eternità del nulla e per questo devi pensare molto. Piano piano, inizi lentamente a perdere il contatto, dopo un po’ si era spento tutto.

Siamo nella ricerca del momento fatale…

Il momento che avremo eliminato qualsiasi voglia di rinviare per assumere posizioni assolute, punti di vista, pratiche, qualsiasi approccio etico deterrente ai movimenti distruttivi con l’unico obiettivo l’integrazione del istante vissuto, i desideri implacabili, gli istinti più violenti. Il momento che il pensiero e l’azione si innamoreranno uno con l’altra con passione, cominciando una magica danza illegale di passione e rischio sotto la luce delle stelle. Il momento che ogni paura sarà un’altra occasione per rompere i confini e vivere al di fuori di questi. Al di fuori di ogni legge ci comanda, ogni società che ci soggioga, ogni compromesso che ci annuisce con sornione. Per vivere al di fuori della loro realtà, costruendo focolai diffusi di caos e illegalità per ogni fuorilegge del pensiero e dell’azione. Chiamando tutti i disadattati di questo mondo di profanare qualsiasi morale, tutti i radicali di sanguinare ogni mediocrità, tutti i pazzi di uccidere qualsiasi cosa logica.

Imponendo il demone irrazionale che custodiamo per anni nelle nostre viscere.

Per portare in esecuzione la potenza della maggioranza!

Viva il nulla creatore!

Viva l’anarchia!

Onore per sempre tutti i morti della lotta della liberazione anarchica.

Minoranza Combattente/Commando Alexandros Grigoropoulos

fonti: greco, inglese

Grecia-Carceri di Larissa: Respinta la richiesta di Andrzej Mazurek per la libertà condizionale

Dopo l’udienza d’appello del 11 Giugno 2012, la detenzione di Andrzej è stata ridotta a 8,5 anni. Dal momento che aveva già completato due quinti della pena, egli aveva il diritto di essere rilasciato. Tuttavia, ai primi di Luglio 2012 – grazie al compagni della Redakcja Portalu Baader-Meinhof (raf.espiv.net, Polonia) ed il Fondo di Solidarietà e di Sostegno Finanziario ai Combattenti Imprigionati (tameio.espiv.net, Grecia) – è stato confermato che Andrzej Mazurek era ancora nelle carceri di Larissa.

Ecco l’ultimo aggiornamento in greco (28 Settembre):

L’unico prigioniero del Dicembre 2008 si affaccia alla rappresaglia giudiziaria

Andrzej Mazurek, prigioniero di origine polacca, è stato arrestato durante la rivolta del Dicembre ’08. Circa un mese fa, ha chiesto per la seconda volta (dopo il processo d’appello) che la sua richiesta di libertà condizionale dalle carceri Larissa sia concessa. Ha fatto i 2/5 della sua pena di 8 anni in carcere (condannato per possesso ed uso di esplosivi, ecc) ed abbia esposto la buona condotta in carcere (contestato soltanto di un reato disciplinare minore, del cui il termine di prescrizione è scaduto). Anche se la liberazione anticipata è concessa senza ostacoli particolari in altri casi simili, il trattamento discriminatorio ed illecito delle autorità prevale nel caso di Andrzej.

Nessun compagno lasciato solo, né in prigione, né da nessuna parte.

Grecia: Libertà per anarchico Andrea Mazurek, da 3,5 anni imprigionato in attesa in seguito ad un processo con accuse prefabbricate

André è uno dei migliaia di partecipanti ribelli nella rivolta del Dicembre ’08. La data del suo processo d’appello si sta avvicinando.

Lunedì, 11 Giugno 2012, Corte d’Appello di Atene, Via Loukareos.
Richiamo di raduno di solidarietà con André, ultimo prigioniero della rivolta del Dicembre ’08.

Qui Andrea stesso presenta una serie di circostanze che hanno portato al suo arresto e carcerazione (testo originale in polacco)

Manifesto di solidarietà in polacco

Indirizzo attuale in carcere:

Αντρέ Μαζούρεκ / André Mazurek
Filaki Larissas, B Pteriga (Larissa Prison, 2 ° Braccio)
Larissa 21110, Ελλάδα/ Grecia

Lettera di Andrea Mazurek dal carcere

Dopo 3,5 anni

Per 3,5 anni sono un prigioniero nelle carceri greche, più precisamente dal 2008-11-12 durante i conflitti che seguirono l’assassinio di Alexandros Grigoropoulos ad Exarchia. Mi chiamo Andrea Mazourek e mi trovo in Grecia dal 2007, precisamente dal mese di Maggio. Sono venuto dalla Polonia ed a causa di ignoranza della lingua greca ero impiegato a lavori saltuari, così e mentre ero 1,5 anni qui, ho sentito, come tutti noi, l’assassinio di Alexis, e in questo modo ho ritenuto opportuno a scendere nel centro di Atene e unire la mia rabbia con tutti gli altri che erano scesi in strada per lo stesso scopo.

L’11-12-2008 mentre camminavo con altre persone sull’angolo delle vie Solonos e Stournari verso l’Università del Politecnico siamo circondati dai maiali della squadra antisommossa ( M.A.T. ) e da sbirri in borghese, i quali hanno cominciato a picchiarci, ci hanno arrestato, ci hanno portato alla stazione centrale della polizia di Atene ( G.A.D.A. ) e da lì, mentre ero già diventato per due volte un sacco da pugilato, ci hanno condotto in detenzione al settimo piano dell’edificio. La mattina dopo e venuta un’impiegata dall’ambasciata Polacca per contribuire al lavoro di indagine dei poliziotti, in seguito all’interesse su di me da parte dell’autorità polacche per la mia azione sovversiva. L’ambasciata Polacca ha riportato erroneamente alla stampa che  sono arrivato in Grecia per partecipare ai conflitti della rivolta…

Poi il giorno successivo, ossia il 12-12-2008 mi hanno portato davanti al giudice istruttore che mi ha annunciato le accuse, tentato omicidio, esplosione, fabbricazione e possesso di esplosivi, senza neanche le possibilità di difendermi, visto che il traduttore era un arabo! che parlava il greco e polacco in modo rotto, e non veniva dall’ambasciata. Gli Stati mostrano come possono collaborare bene di fronte al nemico interno…Le richieste del giudice istruttore di trasferirmi in ospedale dopo la fine della procedura non sono mai state realizzate. Dopo il mio arrivo alle carceri di Korydallos i secondini si sono precipitati su di me gridando che bruciavo le loro auto e mi hanno messo in un raggio dove nessuno parlava polacco per aiutarmi ad essere trasferito all’ospedale. Ogni volta che chiedevo un medico mi veniva dato un semplice antidolorifico ( DEPON ). Una settimana dopo mi hanno annunciato che avevo un’altro mandato di cattura in Polonia…

Di settimana in settimana il tempo è passato e le ferite sono state chiuse, ma la rabbia è rimasta in me per tutti quei 3,5 anni che sono un’ostaggio delle celle democratiche. L’11-6-2012 verrò processato presso la Corte d’Appello di Atene in via Loukareos dal momento che sono già condannato ad 11 anni di reclusione. Per questo motivo chiedo la vostra solidarietà, se e con il modo in cui la consideriate necessaria…

Dichiaro inoltre che non ho dimenticato tutti quelli che mi hanno colpito, mi hanno messo in carcere e continuano a negarmi la mia libertà, mentre l’assassino di Alexandros, Saraliotis, è stato rilasciato e da più di un’anno circola libero!

Daremmo di nuovo appuntamento nelle strade con tutti coloro che non hanno dimenticato, hanno bruciato e rotto le vetrine dell’ipocrisia di questo mondo invecchiato, hanno combattuto e continuano a combattere. Non posso essere al loro fianco, continuate per tutti coloro che sono in carcere e non sulle strade, continuate per Alexandros Grigoropoulos.

LA SOLIDARIETÀ E L’ARMA DEL POPOLO, GUERRA ALLA GUERRA DEI CAPI

Andrea Mazurek, prigioniero alle carceri di Larisa.