Prigione Nord di Città del Messico, ottobre 2016
La legge è un artificio che castra i comportamenti umani; che pensa, dirige, inventa le nostre vite al posto nostro, e una tale concezione implica la mutilazione del frammento più unico e autentico di noi stessi.
È per questa ragione che chi decide di prendere in mano la propria vita ai margini del macchinario marcio viene considerato come “strano”, “antisociale”, “criminale”, etc…
Non possiamo pensare delle soluzioni all’interno del “quadro democratico”, che con la sua politica di sterminio spaventa gli/le abitanti con furti, violenza e morte.
Mi sono arrivate voci riguardo un’amnistia promossa da qualche partito e istituzione politica. Mi sembra necessario precisare la mia posizione di rifiuto a ogni forma di strumentalizzazione delle energie del popolo per conservare l’ordine. Qualcun* pensa che un’amnistia possa guarire gli interessi del popolo, ridotto in mille pezzi dall’imposizione della ricchezza e grazie alla schiavitù economica; noi non vogliamo “uscire” da una prigione per entrare in un’altra. Vogliamo essere liber*, davvero liber*, al di fuori di tutte le loro realtà virtuali, e questo implica necessariamente distruggere la società. Lo faremo pensando che qualcosa di nuovo deve nascere per far crollare per sempre questa civilizzazione marcia che ci trasforma in automi e ingranaggi del suo macchinario.
Non ci interessano le “lotte politiche”, ma piuttosto il conflitto permanente che esiste ovunque; possono imprigionarci ma non fermeranno la rivolta. I/Le vicin* scontenti che scendono in strada per rifiutare i progetti immobiliari causa dello spoglio e del trasferimento forzato di migliaia di famiglie che non hanno la possibilità di finanziare la privatizzazione dello spazio pubblico. La privatizzazione dell’acqua è un altro sintomo lampante, riflesso della considerazione in cui ci tengono in realtà i/le potenti. Schiavitù moderna, alienata e addolcita da lusso, droga e altre aspirazioni capitaliste.
Non abbiamo bisogno di amnistie perché non abbiamo bisogno di leggi che decidano della nostra vita; lo specchio per allodole del progresso ci fa credere che lo Stato e il governo sono indispensabili e d’un tratto non ci rendiamo conto degli indizi che ci mostrano che ci trasformano in complici del massacro dei nostri popoli…
Vogliamo vedere diffondersi ovunque l’insurrezione che distruggerà il potere centralizzato, giogo comune sotto il quale noi, tutt* i/le pover* soffriamo.
Salutiamo ogni atto d’insubordinazione contro gli standard di vita internazionali che pretendono di convertirci in pezzi indispensabili al loro macchinario.
Noi altr* emarginat* siamo coloro che sopportano il peso di questa società e siccome ormai siamo inutili a questa società tecnologica, giustificano il nostro massacro con delle guerre informali contro la droga, lanciate appunto nei luoghi in cui vivono persone che hanno tradizioni comunitarie e conducono vite diverse da quella imposta dallo Stato.
Chiunque viva in un quartiere povero sa fin da piccolo che il traffico di droga è gestito da organismi semi-pubblici, ossia che l’insediamento della mafia come istituzione regola il controllo interiore del territorio mentre la polizia mette in piedi una politica di due pesi due misure, senza risparmiare gli sforzi per il buon funzionamento della mafia. In questo modo la mafia non è nient’altro che una sottospecie di polizia che regola non soltanto il traffico di droga ma anche le imprese formali e informali esistenti sul territorio.
Nonostante questo, se la situazione è diventata massiccia, questo è dovuto al fatto che all’origine il traffico di droga non è nient’altro che un’attività supplementare dell’idra capitalista.
Un* capitalista resterà sempre un mostro vorace e predatore, che si dedichi a un’impresa “legale”, oppure a quelle che chiamano “illegali”.
L’unica motivazione dei capitalisti è il loro insaziabile desiderio di profitto. Sono pronti a tutto per i soldi e d’altronde è per questo che i rapporti tra capitalisti “legali” e il “crimine organizzato” sono così stretti.
Non possiamo mettere né le nostre vite né quelle dei/lle nostr* car* nelle mani dello Stato/Mafia, perché sono loro i responsabili del genocidio e dei massacri che respiriamo ogni giorno.
Come anarchic* conduciamo una guerra contro il potere, contro tutto quello che cerca di condizionare gli individui e allontanarli da loro stess*.
È per questo che bruciamo tutte le gabbie, che sabotiamo le loro marche commerciali, che attacchiamo i simboli della loro società. Le città le prendiamo d’assalto perché l’urbanizzazione è l’apice dell’imprigionamento di massa, della privatizzazione delle risorse economiche. Persino i trasporti pubblici sono un simbolo che non smette di ricordare agli/lle emarginat* che non sono i/le benvenut* nei grandi centri urbani. L’aumento del prezzo del metrò, il monopolio di un’unica azienda che tenta di accaparrarsi l’intero mercato dei mezzi pubblici della città, imponendo così il suo schema terrestre di trasporto, sono altrettanti sintomi della privatizzazione totale delle città.
In questa era tecnologica, la prigione è un luogo banalizzato, ragion per cui dobbiamo inventare sentieri e vie che ci aiutino a vivere ai margini, reinventare le nostre vite giorno dopo giorno riappropriandocene.
In guerra, finché non saremo tutt* liber*!
Fernando Bárcenas
in francese