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Bolivia: Dibattito in merito alla solidarietà con gli imprigionati Henry e Krudo

Segue la traduzione di tre testi da parte di collettivi e individui solidali con Mayron Gutiérrez “Krudo” e un gruppo solidale con Henry Zegarrundo, nel tentativo di chiarire quello che sta succedendo riguardo alla repressione in Bolivia, in merito alla quale si trovano contrapposti gruppi che appoggiano Krudo ed altri che invece lo considerano un collaboratore.

Inoltre, il progetto Liberación Total (Cile) ha preso una chiara posizione in merito al questo contrasto ritirando da ora in poi qualsiasi solidarietà con Krudo. Continue reading Bolivia: Dibattito in merito alla solidarietà con gli imprigionati Henry e Krudo

Bolivia: Lettere del compagno Mayron Mioshiro (Krudo) dal carcere di Qalauma di La Paz

Nota: Come già chiarito nelle note dell’ultima lettera di Henry Zegarrundo e nel comunicato dal Cile sulla repressione in Bolivia, Nina Mansilla Cortez a un certo punto della sua detenzione si è comportata da delatrice nei confronti degli altri compagni, facendo nomi e allusioni dei presunti responsabili degli attacchi della FAI/FRI e invitando pubblicamente i “responsabili” a consegnarsi alla polizia, come si può leggere in spagnolo nel suo comunicato.

Nessun supporto quindi per lei e per tuttx gli/le infami!

Traduzione: Lu Brijant

Il 5 giugno 2012 agenti della FELCC (Fuerza Especial de Lucha contra el Crimen) dello Stato boliviano arrestano il compagno anarchico Mayron Mioshiro (20 anni), alias Krudo, come presunto membro della FAI/FRI, per lo stesso caso per il quale sono stati arrestati Henry e Nina. L’arresto di Mayron si basa nuovamente sulle dichiarazioni degli infami della OARS. Mayron è attualmente sequestrato nel centro penitenziario di Qalauma. La madre ha segnalato il sensazionalismo della stampa: “Noi viviamo soli. Io e mio figlio non abbiamo soldi. L’unico reato che ha commesso è quello di vestirsi come qualsiasi giovane desidera fare, magari a voi potrà sembrare strano, ma noi non abbiamo nemmeno i soldi per essere terroristi”. Il compagno ha urgente bisogno di appoggio economico sia per la difesa che per il mantenimento quotidiano. I compagni del gruppo d’appoggio LibertadPresxsBolivia[at]gmail.com segnalano che se si invia un contributo bisogna specificare a quale dei prigionieri è diretto.

1° lettera del compagno Krudo dal carcere di Qalauma

Non è la prima né sarà l’ultima volta che lo Stato rinchiude degli individui che in qualche maniera fanno conoscere le loro idee ed azioni come mezzo di propaganda, cercando di annientare la lotta e le finalità ad ogni costo, ed il metodo che sempre giustificheranno con le loro leggi sarà la detenzione di merda.

Lo Stato ha preso di mira movimenti e individui che cercano di esprimere per proprio conto la loro lotta, trattandosi di un ambito “illegale”, viene dato il via ad una caccia dei rivoluzionari.

E’ un delitto lottare per le tue idee? Finora lo Stato criminalizza il libero pensiero e la libera azione, lo fa in una maniera così stupida manipolando la società, utilizzando i mezzi di (in)comunicazione, tergiversando la nostra lotta, additandola come il peggior crimine, e mostrando degli individui come se fossero i peggiori delinquenti, sovversivi e terroristi conclamati, senza condurre una indagine concreta, col solo fine di assicurarsi che la moltitudine sia al loro lato.

Purtroppo ci sono dei rifiuti che cadono nel gioco della polizia, testimoniando, accusando, inventando menzogne contro degli altri, come nel caso di Henry, Nina e mio. Noi (Henry, Nina e la mia persona) siamo stati accusati da Renatto Vincenti, Jeffer Vincenti e Daniel Càleres, con delle dichiarazioni che sostengono che siamo partecipi e militanti di movimenti internazionali, dicendo anche che istighiamo al caos e al disordine, che apparteniamo alla FAI e al FRI e che riceviamo finanziamenti da queste organizzazioni, la qual cosa è totalmente falsa, come confermato da Henry. Non facciamo parte di alcun movimento. Io, ad esempio, preferisco considerarmi individualista perchè non credo nelle militanze e nei gruppi di permanenza, in quanto in essi non viene mai rispettata la spontaneità di ciascuna persona. Pertanto, rendo noto il mio rifiuto della massificazione del pensiero, che è ciò che questi individui praticano.

Non è una novità che questi individui abbiano mostrato la loro complicità con la polizia per salvare la stupida pellaccia ed ottenere la libertà. In maniera ipocrita, questi individui all’esterno stanno chiedendo la solidarietà per Henry e Nina, continuando a fare quel che hanno sempre fatto: mostrare una faccia presentabile in modo che il prestigio di collettivo “rivoluzionario” (OARS) sia mantenuto e non decada la loro fottuta reputazione. Renatto Vincenti s’è accordato con la polizia nel continuare a dare il suo contributo all’indagine, fornendo altri dettagli, ed i funzionari lo stanno credendo alla lettera. Perchè Renatto collabora ancora con la polizia? Sarà perchè la polizia è “operaia”? Si sente così superiore come “anarchico” da denigrare diversi ambiti definendoli hippy. Vuole lavarsi le mani e testimoniare contro quelli che non gli vanno a genio? Sono interrogativi dalle ovvie risposte. So che Renatto mi ha qualificato come hippy, punk destroy, pepe o altro. Si sente superiore a chi non la pensa come lui, sulla favola della classe operaia? Mi sembra patetico il giochetto di alcuni di mostrarsi rivoluzionari agli occhi della società per apparire amici di tutti.

Se mi trovo rinchiuso in un carcere è perchè non ho parlato contro nessuno, mentre ci sono tante dichiarazioni contro di me, così come contro Henry e Nina. Perciò quelli che hanno testimoniato contro di noi staranno cercando di porre tutti dalla loro parte. Sono stato condotto in un carcere per giovani adolescenti (Qalauma) perchè è stata presa in considerazione la situazione economica della mia famiglia, che naturalmente è critica, e non c’era la possibilità di pagare un ingresso come quello chiesto dal carcere di San Pedro; oltre al fatto che non volevano che avessi contatti con Henry, visto che lui si trova lì. Sono al corrente di tutte le voci all’esterno, dei dibattiti e delle discussioni su Facebook, in cui si dice che mi troverei in un “penthouse” e che starei collaborando con la polizia. E’ triste sapere che la gente si lascia facilmente manipolare per poi lanciarmi merda senza conoscere la mia situazione e quindi si nasconde vigliaccamente in casa per tutelare la propria vita sociale, commentando stupidità con una spudorata faccia tosta. Io non devo spiegazioni a nessuno. Voglio solo che si conosca la mia situazione che è un poco complicata per la mia famiglia perchè non le è facile venire a visitarmi visto che sono piuttosto isolato dalla città, così come per i veri compagni che vengono a darmi il loro sincero appoggio. In questo posto ho notevoli restrizioni e divieti, oltre ad attività lavorative obbligatorie.

Approfitto dell’occasione per dire che noto una grande solidarietà dal momento che in diverse parti del globo, e persino qui, ci sono individui che ci appoggiano e che si sbattono. E’ in questi momenti che si nota il vero senso della lotta che mi auguro continui a restare in piedi e non in ginocchio, com’è accaduto con quelli che sono caduti nel gioco della polizia e dello Stato.

E’ bene che si continui a fare cose che solidarizzino come volantinaggi, distribuzione, presidi, pubblicazioni e incontri perchè non sono atti delinquenziali. Ora più che mai bisogna lottare per le nostre convinzioni, non permettendo che lo Stato criminalizzi la nostra lotta. Certo, non dobbiamo nasconderci né mostrarci deboli dinanzi alla repressione; anzi, dobbiamo mostrare la forza e il grande spirito dell’anarchia nella coerenza. Ringrazio la solidarietà che giunge da diverse parti come Ecuador, Perù, Argentina e altrove. Ringrazio l’appoggio della mia famiglia e dei compagni che, malgrado potesse essere pericoloso appoggiarmi, non si sono mai voltati indietro.

Krudo (Mayron Mioshiro)

fonte

2° lettera del compagno Krudo dal carcere di Qalauma

Saluti compagnx, qui si tira avanti affrontando il presente e ovviamente senza abbassare la testa. La mia intenzione con questo comunicato è questa: chiarire alcuni conflitti e voci che ultimamente sono girati rispetto alla mia persona. Continue reading Bolivia: Lettere del compagno Mayron Mioshiro (Krudo) dal carcere di Qalauma di La Paz

La Paz, Bolivia: Lettera del compagno Henry Zegarrundo dalla prigione di San Pedro

APOLOGIA SULLA DELAZIONE

Seduto sul letto che è diventato uno dei luoghi dove posso leggere e scrivere, ho deciso di mettere le preoccupazioni della mia testa in parole. Il trambusto dei circa 50 prigionieri con i quali condivido questo spazio assume i dintorni, una luce debole è sparsa su questo pezzo di carta su cui scrivo per dare modo a queste parole, che hanno deciso di rompere il silenzio alludendo agli informatori.

È necessario tener presente -nella riflessione permanente- che lo Stato intende esaurire l’individuo, con le sue strategie note, che non sono un’innovazione, ma la materializzazione della punizione che sia diventata una routine tramite la detenzione, la prosecuzione e “l’esemplificazione”. Lo Stato cerca di ridurre l’individuo in una carta d’identità, un numero o un codice, per sterminarci moralmente, ed annientare qualsiasi pratica rivoluzionaria. Ma c’è un dettaglio rilevante su questo: tutte le persone che si riconoscono nella condivisione dello spazio libertario condividono il concetto di posizionarsi sul lato opposto della barricata dal Potere-autoritario. Tuttavia, ci sono alcuni altri che si proclamano libertari o anarchici che giustificano oppure sostengono la repressione; con questa dicitura-giustificazione, questa loro proclamazione muta in un discorso auto-ipocrita, e queste persone finiscono sul lato opposto della barricata che vediamo di fronte a noi, e non dalla nostra parte.

Se ci sono ostaggi, non è perché i “responsabili” degli attacchi dovrebbero essere ritenuti colpevoli per il fatto che lo Stato incarcera diversi individui che supportano queste tendenze politiche o pratiche;* lo Stato-Potere si avvale di tali azioni per applicare e giustificare la sua efficienza o “sicurezza civile”. È molto chiaro che l’entità politica e repressiva insieme ai suoi alleati sono gli unici responsabili per il fatto che alcuni di noi devono essere intrappolati nella bocca del Potere. È quindi patetico chiedere alle persone che hanno compiuto gli attacchi di consegnarsi o scambiare la loro libertà al posto di altri. Quelle persone, che parlano di anarchici veri o falsi, hanno solo bisogno di una dotazione di uniformi della polizia in cambio della delazione e la collaborazione; non hanno ancora digerito che una lotta dignitosa tiene alti valori rivoluzionari, e che una persona senza un vuoto morale non consegni un altra.

Dichiararsi “colpevole o innocente” non è nemmeno una priorità in questo dibattito; la priorità è che nessun altro compagno viene catturato, e il dolore inflitto ai parenti e le persone care non vienne riprodotto.

In tutta la storia della lotta in queste terre, è inevitabile di menzionare delle donne guerriere del Sindacato delle Donne delle Varie Unioni (SFOV) e la Federazione delle Donne Operaie (FOF). Nel corso degli anni ’20 agli anni ’50, la lotta contro l’oppressione dello Stato-borghese è stata organizzata in sindacati in cui – non solo in Bolivia, ma anche in diversi altri paesi in Europa e in America – iniziative con forti legami di solidarietà ai prigionieri politici di altri paesi sono stati derivanti. Queste valorose anarchiche cholas** erano ben consapevoli del fatto che non vi era alcun bisogno di avere anarchici imprigionati ovunque. Alla fine del 1927, hanno deciso di aderire alla campagna internazionale per la liberazione degli anarchici nati in Italia Sacco e Vanzetti – è noto che si trattasse di due immigrati, lavoratori ed anarchici che sono stati portati in tribunale, condannati e giustiziati sulla sedia elettrica per la presunta rapina a mano armata e l’assassinio di due persone (negli Stati Uniti). Un fatto molto importante in questa storia è che la totalità della campagna di solidarietà non ha chiesto la testa degli autori degli attacchi; le anarchiche cholas hanno chiesto la liberazione di Sacco e Vanzetti, ed hanno mantenuto un elevato concetto morale e pratico; sapevano tutte troppo bene che le lotte libertarie non potevano essere fatte ricattando e chiedendo agli autori di consegnarsi in modo che la quantità dei prigionieri politici sarebbe continuata a crescere. Anche se è passato molto tempo da quei giorni, le posizioni della dignità e della etica rimangono intatte; ogni volta che ci sono stati informatori, sono stati trattati come una piaga che, a causa delle loro azioni, sia molto lontano da ogni tipo di lotta contro il potere. Le anarchiche cholas del SFOV e della FOF sono un buon punto di riferimento della lotta anti-patriarcale, ed hanno saputo in modo molto coerente come liberarsi da un altro tipo di catene: l’accusa e la delazione. Al giorno d’oggi, i sindacati – almeno qui – sono stati sequestrati dai Trotskisti. La lotta sindacale è stata trasformata in un organismo verticale ed autoritario, quindi non ha nulla a che fare con un atteggiamento anarchico, ma è stata istituzionalizzata e si distingue solo per un agglutinazione delle masse che si limita a seguire gli accordi tra i loro leader e lo Stato.

Non mi aspettavo che, all’interno di questo “capitolo” del carcere, i delatori sarebbero diventati gli attori principali. Anche se hanno testimoniato contro di me, non mi aspettavo che coloro che si definiscono compagni sarebbero arrivati al punto di chiedere che la fila dei prigionieri anarchici diventasse più densa. Pertanto, respingo ogni azione di solidarietà in cui potrebbe essere legata a persone che sostengono la repressione.

Sto ancora aspettando di uscire da questa gabbia, e anche se il meccanismo giudiziario gira così lentamente, mi sento forte e fermo. Ammiro tutti coloro che combattono ancora dentro e fuori le carceri; la fine definitiva del Caso Bombe (in Cile) ha portato un grande sorriso sul mio viso; questa è una grande vittoria della nostra storia. Prima o poi, tutte le fabbricazioni dello stato cadranno. Ribadisco i miei saluti a tutti i prigionieri del potere che non si arrendono, alla mia famiglia e i compagni. Non dobbiamo lasciarli rubare i nostri sogni. La solidarietà è ciò che incoraggia un prigioniero a non sentirsi solo.

Henry Zegarrundo
Prigioniero anti-autoritario

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* Il 28 Agosto la collettività di solidarietà Libertad abbia annunciato quanto segue: “Deploriamo il fatto che Nina [Mansilla], nella sua disperazione per uscire da quel centro di sterminio, abbia danneggiato i compagni Krudo [Mayron Gutiérrez Monroy] e Henry [Zegarrundo] con la sua dichiarazione amplificata che lei stessa abbia rilasciato; in questo modo, ha fato i nomi di coloro che, come lei vorrebbe far credere, sono membri della FAI-FRI”.

Il 29 Settembre l’auto-proclamata “attivista anarchico-femminista” Nina Mansilla ha menzionato, tra l’altro, che gli autori dei 17 attacchi devono essere ritenuti a rispondere delle loro azioni e non lasciare che qualcun altro “pagasse per il movimento”. Inoltre, per quanto riguarda un video incriminante (che, secondo le autorità della persecuzione penale, mostra Nina durante un’azione), ha fatto riferimento a dettagli diversi, per coinvolgere un’altra persona, la quale – nelle sue stesse parole – “usavo chiamare compagna e sorella fino ad un certo punto, ma non posso dire la stessa cosa ora, dal momento che lei sa la mia situazione giuridica ed emotiva, sa che sono qui per lei, per avere una presunta “somiglianza” a lei.” Infine, N.Mansilla abbia avuto il coraggio di scrivere: “Perché dovrei stare zitta? Per proteggere chi? È stato detto di me che sono una spia, e che le persone ritireranno la loro solidarietà nei miei confronti perché “ho accusato gli altri per salvare me stessa, da quello che vedo, è molto facile per chiunque di riempire la bocca con discorsi molto radicali, di parlare di lealtà e resistenza dietro una tastiera, di scrivere dichiarazioni contro lo Stato, la società e tutti coloro che non la pensano come loro, solo per fare un grande affare da questo. Ma chi arriva al mio posto? Chi vive con me ogni giorno qui dentro? Chi subisce le umiliazioni e le intimidazioni che subisco negli ultimi quattro mesi?”

** Il termine femminile chola (maschile: cholo) ha una lunga storia ed una ricca connotazione culturale in America Latina. In generale, la parola è l’acronimo della donne rurali andine che indossano il Pollera (gonna tradizionale), parlano Quechua o Aymara e vendono i propri prodotti nei mercati (un archetipo di donne andine). Ma cholas può anche essere caratterizzata da un certo modo di atteggiamento che riflette nel loro modo di parlare e di vivere, caratteristiche che completano l’abbigliamento per identificare una persona in quanto tale. Il termine è stato usato in modo dispregiativo dalla borghesia per definire una donna bellicosa, seducente e lasciva, quindi un oggetto di desiderio sessuale, e per di più sinonimo di sacrificio attraverso la maternità e il lavoro. È arrivato a simboleggiare la triplice oppressione di cui le donne erano e sono sottoposte: discriminazione in base all’origine indigena, alla classe sociale e al genere. Come descritto nel testo di Henry, il termine designa le qhateras (piccole commercianti) e le altre donne operaie che si sono ribellate dal 1920 e abbiano partecipato alle lotte anarco-sindacaliste in Bolivia, e in particolare a La Paz, facendo diventare chola una parola propria.