Oggi 22/10/13, presso il tribunale di Perugia, è stata emessa la sentenza di primo grado in merito alla cosiddetta operazione “Shadow”. L’impianto accusatorio è crollato interamente, tutti/e i/le compagni/e sono stati assolti perché il fatto non sussiste. Fa eccezione Sergio Maria Stefani, condannato a 3 anni e 3 mesi per furto d’auto. Adesso la PM Comodi, distintasi come al solito per i suoi deliri in aula, stavolta prontamente contrastati dal compagno Sergio che ha partecipato al processo (istantaneamente denunciato da lei per oltraggio), ha 90 giorni per impugnare la sentenza e presentare ricorso in appello.
Sergio resta prigioniero nel carcere di Ferrara in custodia cautelare per via dell’operazione “Ardire” (partorita sempre dalla Comodi). Mentre il 6/11/13 ci sarà, sempre al tribunale di Perugia, l’udienza preliminare dell’operazione “Ardire” relativa al troncone perugino.
Il 6 Giugno 2013, si è tenuta al tribunale di Perugia l’udienza preliminare del processo a carico di alcune delle persone indagate in seguito all’operazione repressiva anti-anarchica detta “Ardire”, che nel giugno del 2012 aveva portato all’arresto di 10 persone (alcune delle quali non si erano mai viste, né conosciute e due erano da tempo già detenute), accusate di partecipazione ad “associazione sovversiva con finalità di terrorismo” (art. 270 bis c.p.).
Ciò che all’epoca balzò agli occhi fu l’evidente contraddizione fra la titolarità dell’inchiesta della Procura di Perugia e l’inchiesta stessa, dal momento che tutti i principali episodi sottoposti ad indagine (come, ad esempio, l’invio di pacchi bomba alla sede di Equitalia a Roma, al Cie di Gradisca di Isonzo e il ritrovamento di un pacco bomba dentro l’Università Bocconi di Milano) erano avvenuti ben lontano dal territorio umbro.
Per questo motivo gli artefici dell’inchiesta (la Pm Comodi della Procura di Perugia – già nota per aver condotto nel recente passato altre due operazioni antianarchiche in Umbria, nel 2007 “Brushwood”, rivelatesi poi di consistenza nulla, e nel 2009 “Sherwood”, il cui processo è tuttora in corso; e il Generale dei carabinieri del ROS Giampaolo Ganzer, lo stesso che è stato condannato nel luglio 2010 in primo grado a 14 anni per traffico internazionale di droga) si dovettero ben ingegnare per inventarsi una cellula terroristica umbra affiliata alla “FAI informale” (senza la quale l’inchiesta stessa non avrebbe potuto reggere), accusandola di aver… effettuato scritte sui muri, esposto striscioni e imbrattato un bancomat.
Ma se all’epoca l’operazione ebbe grandissima rilevanza mediatica, grazie soprattutto al supporto della stampa asservita (basti pensare all’enfasi con la quale venne presentato il risultato di alcune perquisizioni, che avevano permesso il ritrovamento di… lampadine, chiodi, mollette di legno e fermacarte, indicando il tutto come pericoloso materiale atto all’imminente fabbricazione di ordigni esplosivi), ben poca attenzione si è data alla successiva suddivisione dell’inchiesta in due parti, una passata alla procura di Milano, l’altra, il filone umbro/perugino, rimasta alla procura di Pg: così che per parlare di terrorismo in Umbria restano davvero solo scritte e striscioni.
La mattina del 6 giugno si è dunque tenuta a Perugia l’udienza preliminare del processo per il solo filone umbro/perugino, che riguardava 4 persone (una ancora detenuta nel carcere di Ferrara, due ai domiciliari e una a piede libero), mentre, per quanto riguarda le persone sotto inchiesta per la parte passata a Milano, il giudice titolare delle indagini ha purtroppo recentemente richiesto la proroga delle misure cautelari in carcere per altri 6 mesi.
L’udienza vera e propria non si è però tenuta, da momento che gli avvocati della difesa hanno evidenziato l’incompatibilità del Gup (giudice per l’udienza preliminare), in quanto aveva a suo tempo partecipato all’inchiesta stessa ponendo la sua firma ad alcuni decreti di autorizzazione delle intercettazioni.
Ciò che a questo si spera e ci attendiamo è che, al di là di ogni considerazione sulla (poca) consistenza dell’inchiesta stessa, il 13 giugno, ad un anno dagli arresti e alla scadenza dei termini di custodia cautelare, i compagni sotto inchiesta in Umbria possano tornare in libertà.
Un anno fa i carabinieri del ROS, comandati dal generale Ganzer, entravano in molte abitazioni della penisola dando inizio alla più grossa operazione repressiva degli ultimi anni contro gli anarchici. Le indagini dei ROS, convalidate dalla Procura di Perugia nella persona della PM Manuela Comodi hanno portato all’arresto di 10 persone, più altre indagate a piede libero, per 270bis (associazione sovversiva con finalità di terrorismo anche internazionale) oltre a 280 e 280bis (attentato con finalità di terrorismo e con ordigni esplosivi).
Da quel giorno la libertà di questi ragazzi e ragazze, compagni e amici, è stata annientata dalla rappresaglia dello Stato all’indomani di alcuni attacchi a persone e strutture del dominio, determinato a intimidire e scongiurare le voci di dissenso nel momento in cui la sopportazione degli oppressi è al culmine. Questo unitamente alla voglia di carriera della Comodi e dei vertici dei ROS.
Oggi si svolge in tribunale qui a Perugia il primo atto di questo teatrino chiamato “Operazione Ardire”, che pomposamente si pubblicizza come l’intervento che ha “decapitato i vertici della Federazione Anarchica Informale”. Tutto ciò sarebbe ridicolo se non fosse che Alessandro, Sergio, Stefano, Peppe ed Elisa si trovano ancora in carcere e Paola e Giulia agli arresti domiciliari.
E’ sempre più evidente la violenza di questo Stato e del Capitalismo che rappresenta che ci costringe a vite inaccettabili, che sparge terrore sui posti di lavoro e nella disumanità di tasse e prezzi insostenibili per continuare ad alimentare i privilegi di pochi sulle spalle dei molti che non ce la fanno più. Che picchia e stupra con la sua polizia e rinchiude nelle sue galere. Uno Stato che attacca chi gli si oppone, utilizzando i manganelli e le leggi di cui dispone. Indipendentemente dall’innocenza o dalla colpevolezza dei nostri compagni, quello che li vede indagati è l’utilizzo da parte degli inquirenti del reato associativo, ormai sistematico per reprimere i ribelli, che consente di ovviare alla mancanza di prove attraverso la strumentalizzazione di parole, azioni o idee funzionali all’impianto accusatorio. Accade quindi che appendere uno striscione, gestire un sito internet o semplicemente discutere di come si vede il mondo venga trasformato nel filo conduttore che lega insieme individui che neanche si conoscono bene in un’associazione a carattere sovversivo. Tutto ciò etichettando come “terrorista” chi si oppone al terrorismo e alla violenza di Stato, in modo da sminuire e delegittimare la sua giusta rabbia.
Ribellarsi diventa una condizione vitale e necessaria se non vogliamo soccombere, se vogliamo difendere la nostra dignità, la nostra libertà e i nostri bisogni.
SOLIDARIETA’ CON ALESSANDRO, PAOLA, GIULIA E BENEDETTA PROCESSATI OGGI NEL TRIBUNALE DI PERUGIA. SOLIDARIETA’ CON STEFANO, SERGIO, PEPPE, ELISA PER CUI SONO STATI CHIESTI SEI MESI DI PROROGA PER LA CONCLUSIONE DELLE INDAGINI E ANCORA NELLE CARCERI DELLO STATO.
Con il fraterno appoggio solidale dei compagni e delle compagne della “Cassa antirep. delle Alpi occidentali”, comunico quanto segue:
Il 13 giugno 2012 sono stato tratto in arresto a Pisa, assieme alla mia compagna Elisa, all’interno dell’“Operazione Ardire” della procura di Perugia. I carabinieri del ROS hanno sfondato la porta e mi hanno condotto in caserma, in cui sono stato schedato e sottoposto al prelievo del dna e dove ho subito una pesante provocazione. In seguito sono stato ristretto presso il carcere Don Bosco di Pisa.
Il 16 giugno sono stato interrogato dal gip, ma – ovviamente – mi sono avvalso della facoltà di non rispondere. Il passo successivo a livello legale sarà il tribunale del riesame.
Per ragioni che spiegherò a breve, sono stato impossibilitato ad accedere a qualsiasi canale informativo e pertanto ho una visione piuttosto ristretta di quel che è accaduto. Ad esempio, non conosco chi siano gli indagati, oltre a noi dieci tratti in arresto, e nemmeno conosco dove siano state effettuate le 40 perquisizioni.
L’ordinanza di custodia cautelare nei miei confronti è di oltre 200 pagine, e in essa le accuse che mi vengono imputate sono piuttosto pesanti: ideologo ed esecutore materiale di una serie infinita di azioni dirette, oltre a coordinamento e propaganda di campagne solidali con i prigionieri anarchici di tutto il mondo. Ma, nel merito delle accuse ritornerò in futuro dopo una attenta analisi delle carte processuali.
Anticipo solo che lo schema seguito dagli investigatori sembra ripercorrere in pieno i tanti teoremi accusatori degli anni Settanta e Ottanta. La differenza fondamentale è che stavolta al centro dell’attenzione c’è il blog anarchico “Culmine”. Su questo punto, ovvero sulla presunta libertà di contro-informare ai tempi di internet, sarà doverosa una riflessione all’interno del movimento anarchico internazionale.
Essendo imputato di 270 bis e 280 sono stato classificato in A.S.2, ovvero devo scontare la carcerazione preventiva in un regime di Alta sorveglianza. Ma il carcere di Pisa, in cui mi trovo, non ha sezioni per l’A.S. ed è così che non ho socialità e faccio l’aria da solo in una sorta di isolamento informale!
È molto probabile che mi trasferiranno in un carcere che abbia delle sezioni i A.S.
I tanti compagni che mi conoscono da decenni sanno quanto sia importante per me il contatto con gli anarchici e le anarchiche. Se in questi giorni non avete avuto mie notizie, nemmeno un saluto, è perché sono stato impossibilitato a farlo.
In pratica, dal giorno del mio arresto fino al 22 giugno, giorno in cui mi è stata notificata la censura della corrispondenza, non ho ricevuto nulla, ma proprio nulla da parte dei compagni, nonostante i siano stati spediti telegrammi, cartoline, lettere solidali. Nel frattempo avevo scritto 13 lettere, utilizzando i pochi indirizzi memorizzati, e non ho idea se tali missive siano mai state recapitate. Pertanto, in dieci giorni di prigionia ho subito il blocco e sequestro totale di tutta corrispondenza, in entrata e in uscita. Non ho idea di quanto legale sia tale trattamento e, da anarchico, non mi interessa impugnarlo. Ci tengo solo a far conoscere questo pericoloso precedente negativo con un anarchico. Tratto in arresto e “desaparecido” dallo Stato italiano per dieci giorni, senza neanche poter ricevere telegrammi solidali. Per carità, nessun vittimismo, solo una constatazione di quel che il sistema si prepara a fare contro noi anarchici.
Il giorno stesso dei nostri arresti è intervenuta anche il ministro degli interni, stesso copione già visto con l’arresto dei compas cileni coinvolti nel caso “Bombas”, dei compagni greci della “Cospirazione delle cellule di fuoco”, degli arrestati in Bolivia. Anche su questo, ovvero sulla internazionale della repressione anti-anarchica, bisognerà riflettere.
Oltre alla censura della corrispondenza, ho il divieto di incontro e di corrispondenza con la mia compagna Elisa, rinchiusa nel femminile del carcere di Pisa.
Fino ad oggi, per i motivi sopra esposti, non mi è stato possibile contattare i miei coimputati/e, dei quali non avevo nemmeno il recapito. Annuncio che, appena dopo il riesame, inizierò a preparare la mia difesa tecnica con la quale smentirò, punto per punto, le tante menzogne diffuse in questi giorni. I compagni anarchici che mi conoscono da decenni sanno bene che non sono così sprovveduto, come vorrebbero far credere. Questo è il mio quinto 270 bis, in precedenza sono stato assolto o archiviato prima del processo per analoghe associazioni sovversive da parte delle Procure di Genova, Lecce, Torino e Firenze.
Da individualista quale sono, ho sempre trovato affascinante il percorso dell’antigiuridismo anarchico, e sulle mie spalle di pregiudicato ho una condanna per “Oltraggio all’onore e al prestigio del corpo giudiziario”, ma credo che tale percorso abbia dei limiti, soprattutto quando ci si trova dinanzi a un teorema accusatorio pieno di menzogne, manipolazioni e clamorosi errori di traduzione.
Per preparare la mia difesa tecnica – si badi bene, senza accettare nessun interrogatorio da parte della giustizia – ho bisogno di un grande aiuto da parte del movimento anarchico, italiano e non solo. In pratica, devo ricostruire con documenti, comunicati, articoli e libri la storia dell’anarchismo d’azione degli ultimi decenni. Di volta in volta segnalerò i materiali dei quali avrò bisogno. Ovviamente mi auguro che qualche compagno smanettone salvi tutto il data-base di Culmine, con una particolare attenzione alla cronologia dei post pubblicati. Più copie saranno salvate e meglio sarà. (Occhio, quando consultate Culmine evitate di fare commenti a voce alta, potreste essere arrestati all’istante!)
Tutti noi anarchici sappiamo che un giorno o l’altro potremmo finire dietro le sbarre, ma quel che colpisce in questo caso è il feroce accanimento nei confronti di due carissimi amici e compagni: Marco e Gabriel che, per ragioni diverse, erano prossimi a una decisiva svolta della loro lunghissima situazione detentiva. Colpisce soprattutto quel che si dice contro Marco e penso sia urgente che il movimento anarchico internazionale si ponga l’obiettivo di valutare come sostenerlo in maniera efficace.
Non ho idea se mi verrà recapitata tutta la corrispondenza.
Io risponderò a tutte le lettere e cartoline che riceverò. Per via della censura, vi consiglio di inviarmi in maniera separata materiale scritto in italiano da quello scritto in altre lingue (spagnolo e inglese).
Invio un forte abbraccio ai compagni e alle compagne che mi/ci hanno espresso la propria solidarietà, come il corteo spontaneo di Trento, quello di Perugia o il manifesto di Pisa.