Quella di oggi è stata un’udienza diversamente interessante. Noi “imputate/i” siamo stati/e presenti in otto. Subito dopo l’appello tre di noi hanno dichiarato, ognuno con proprie parole, estraneità a ogni riconoscimento nei confronti del tribunale, del processo unita alla decisione di revocare l’avvocato nominato al momento dell’arresto. Il tribunale si è immediatamente ritirato in camera di consiglio per trovare un avvocato d’ufficio cui affidare la difesa dei tre compagne/i che avevano fatto la revoca. Il processo è ripreso circa un’ora e mezza dopo, presente l’avvocato d’ufficio. Abbiamo ripreso la parola per ribadire che ci saremmo autodifesi, che perciò non riconoscevamo nulla all’avvocato d’ufficio, il quale ha chiesto i termini per poter leggere le carte ecc.; gli sono stati concessi 10 giorni. Tuttavia, la corte, decisa a riprendere a tutti i costi l’udienza, ha dato mandato agli avvocati di fiducia revocati di “assistere” noi per il tempo dell’udienza. Gli avvocati hanno tentato di respingere l’incarico anche appellandosi alla legislazione dell’Unione Europea che prevede l’ “autodifesa”. Un pastrocchio evidente, “imbarazzo tangibile” come dichiarano gli avvocati. I pm intervengono precisando che la legge italiana non riconosce l’autodifesa, che quindi la “difesa tecnica è irrinunciabile… che la normativa europea è stata riconosciuta in Italia negli ultimi decenni, concedendo all’imputato la possibilità della ‘dichiarazione spontanea’.” La corte, riparatasi anche dietro queste argomentazioni, è così riuscita a far proseguire l’udienza.
La prossima udienza, rinviata al 21 giugno, dati i termini di 10 giorni concessi all’avvocato d’ufficio, si svolgerà nell’aula-bunker vicina al carcere.
Di seguito la dichiarazione di Mau, Marta e Juan con alcune riflessioni.
Dichiarazione in aula:
“Revoco l’avvocato da me nominato al momento dell’arresto. Voi farete altre nomine, è chiaro, parleranno per voi, mai e poi mai per me! Questo processo e questo tribunale fanno parte dello stato che, l’ho visto con i miei occhi, sta devastando la val Clarea. Per me qui parlano le lotte portate avanti il mondo contro le vostre devastazioni sociali e ambientali. A parlare qui per me sono i movimenti in cui vivo e mi identifico anche qui”.
Mau
Marta, arrestata il 3 luglio 2011 nel bosco teatro della resistenza NOTAV.
Il processo contro i NOTAV che hanno combattuto per resistere allo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena, e coloro che hanno cercato di riprendersi il tutto ancora una volta il 3 luglio, sta andando avanti ormai da un anno nelle squallide aule del tribunale di Torino (prima) e ora nell’ancor più squallida aula bunker del carcere delle Vallette.
In questo ambiente freddo e malsano, ma con la complicità e il calore di altri due compagni, Maurizio e Juan, il giorno 7 giugno 2013 ho revocato l’avvocato, leggendo in aula la seguente dichiarazione (anche se non sono riuscita a leggerla proprio tutta perché il giudice alla parola “Lotta” ha cominciato a scaldarsi): Dichiarazione in aula:
“Oggi sono in quest’aula per dichiarare la revoca dell’avvocato perché non voglio essere difesa e non accetto nessuna accusa. Rivendico totalmente le giornate del 27 giugno e del 3 luglio: ero lì per contrastare ogni singolo meccanismo di questo sistema tecno industriale che ogni giorno ci subordina, trasforma e uccide.
Non intendo legittimare questo processo, che vuole sanzionare la lotta, così da paralizzarla, distruggerla; i processi servono solo per sancire i vostri poteri, non certo per sancire la verità.
La lotta NOTAV non si riduce a leggi, la realtà non è dentro a quest’aula, essa non si nutre di invenzioni coercitive come le vostre leggi.
Sono e sarò in valle per fermare il TAV, come fanno ogni giorno compagne e compagni da ogni dove, che rifiutano con determinazione il TAV, i vostri giudizi e le vostre leggi”.
Marta Bifani
Dichiarazione in aula:
Ho deciso di revocare qualsiasi avvocato perché non voglio far parte di questo teatrino giudiziario e statale che io rifiuto e di cui non faccio parte.
Juan
Riflessioni
Perché revoco gli avvocati:
Dopo le critiche ricevute da alcuni compagni penso sia importante rispondere.
Le motivazioni che mi hanno spinto a decidere di non avvalermi degli avvocati per il processo degli scontri in val Susa sono queste: dopo un confronto e delle riflessioni con Alessio, Maurizio e Marta, perché in quel momento erano quelli con cui potevo confrontarmi direttamente e perché ci siamo subito intesi, ho pensato e sentito che questo avrebbe dato uno slancio al mio morale e alla gente che lotta fuori; un modo di darmi coraggio e di darci coraggio per andare avanti. Questa è una mia percezione. E’ quello che voglio provare a trasmettere, non so se ci sto riuscendo.
Dopo aver sperimentato varie volte sulla mia pelle le relazioni imposte dai tribunali, ho deciso di non avvalermi della difesa di un avvocato per provare a non far parte di tali relazioni sociali, per provare a rifiutarle e attaccarle e disertare il teatrino della Giustizia.
Anche questo è un modo di rifiutare il potere: rifiutarsi di dare i documenti; rifiutarsi di fare il militare; gli schiavi che si rifiutano di lavorare; una valle che si rifiuta di far passare un treno; il rifiuto di abbassarsi i pantaloni in una delle tante perquise davanti alle guardie carcerarie. Sono tutte spaccature nel mondo delle relazioni imposte.
Probabilmente imporrano le loro regole con la forza e il mio rifiuto potrà cadere nel vuoto, ma voglio provare comunque a non stare al loro gioco.
Per me Il metodo o mezzo utilizzato quando si rifiuta il teatrino giudiziario non è il processo, il processo è la situazione imposta dallo stato con la forza, il processo non è il mezzo di lotta, è il rifiuto dell’autorità il mezzo o metodo concepito come azione e rottura con i suoi grandi limiti. Lo scopo è provare a delegittimare l’autorità e il suo apparato, è mettere in campo la mia di forza nonostante sia essa in proporzione microscopiche rispetto a quella dello stato e della società. Una forza sempre diretta da me stesso, senza intermediari, che rifiuta i ruoli fittizi e di delega, e guarda a quelli della lotta diretta con le proprie forze e le proprie rivendicazioni con le persone che le fanno propria e provano ad allargare spazi di “libertà” e autonomia senza intermediari, attraverso il rifiuto e altri metodi che uno ritiene necessari.
Penso che il “rifiuto” sia uno dei mezzi di lotta che un detenuto o una qualsiasi altra persona può mettere in pratica, un atto “coerente” in un percorso di aut-organizzazione, di non riconoscimento dello stato e della società che crea tutto ciò che abbiamo intorno, compresa la tav.
Tutte queste riflessioni sono frutto del confronto con i miei amici e di un mio percorso di lotta di cui fa parte anche la val Susa, ma non solo, e non è né più né meno importante di altre esperienze.
Ci tengo a dire un’altra cosa: durante le riflessioni nel gabbiotto, mentre il giudice e il pm parlavano, noi ci siamo appropriati di quel tempo per farlo nostro, per confrontarci, discutere, prendere decisioni. Questi momenti hanno scaldato il nostro animo. Con le nostre scelte di azione e di lotta, come in altri momenti che mi sonno vissuto, in val Clarea, a Chiomonte, a Venaus o sul ponte del Seghino o anche nei vicoli di Genova o nelle strade in generale o anche in una cella infame, ci siamo riappropriati delle nostre esistenze. Provare ad esprimere ogni volta con la lotta è con mezzi diversi il rifiuto dell’autorità, e affrontare in questo modo il processo penso sia la continuazione della lotta e non qualcosa di separato. Certo la lotta va fatta nella strada, ma quando sei costretto a stare in certe situazioni, anche in queste situazioni se vuoi trovi anche la lotta.
Parlando del processo penso che le scelte di quasi tutti noi imputati finora siano fiere e portino dentro la voglia di continuare a lottare. Non penso che la scelta di non avvalersi degli avvocati possa creare delle separazioni con chi ha deciso di avere una difesa o con chi è fuori o dentro.
Per me la ricchezza della lotta, con tutte le sue contraddizioni, è l’eterogeneità e la diversità degli individui e dei gruppi che si aut-organizzano autonomamente con mezzi, modi e scelte diverse. Non vedo come adesso potrebbe essere diverso. La scelta che ho fatto non è nata solo da riflessioni e valutazioni, ma soprattutto sentendo quello che ho nel cuore, come ho fatto di solito in valle e in altri posti in cui mi sono trovato.
So che la mia valutazione potrebbe anche essere sbagliata. Dubbi ne ho. Penso che sia una scelta importante ed è anche per questo che ho voglia di confrontarmi…
Juan