[Nuovo processo per il caso CCF] Comunicato dai fuggiaschi Dimitris Politis e Giannis Michailidis

Di seguito è riportato il testo integrale della lettera dei compagni (13/12/2012)

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Parliamo in occasione del processo contro l’organizzazione rivoluzionaria Cospirazione delle Cellule di Fuoco, perché ci capita di essere ricercati per questo caso.

No, non stiamo facendo alcun appello ai rappresentanti giudiziari del Potere. Non ha senso di indirizzarci ai nostri nemici. Facciamo appello ai nostri compagni, nel senso stretto e più ampio del termine. Cerchiamo di incontrarci con ogni scintilla ribelle nelle anime delle persone che si sentono, proprio come ci sentiamo noi, annegati nei contratti imposti dal sistema.

Vogliamo chiarire in primo luogo che non siamo membri dell’O.R. Cospirazione delle Cellule di Fuoco, non per rinunciare a nessuna delle nostre responsabilità legali, ma per evitare l’identificazione del nostro discorso politico con il discorso dell’organizzazione, dato che manteniamo i nostri disaccordi. Naturalmente, restiamo impenitenti sulla la nostra scelta di sostenere e di fatto essere sostenuti dai compagni della CCF, e la nostra scelta di partecipare attivamente alla lotta anarchica.

In ogni caso, siamo nemici della loro giustizia, ed è solo ragionevole che dobbiamo essere trattati come tali.

Come anarchici, siamo ostili al sistema giudiziario e allo Stato nella sua interezza. Quindi, ogni accusa contro di noi è anche un titolo d’onore. Naturalmente, eravamo clandestini ancora prima che lo Stato ci ha dichiarati come tali, siccome avevamo messo in dubbio ed avevamo respinto la validità delle sue leggi molto tempo fa, rompendo con esso apertamente e segretamente. Abbiamo scelto di non rispondere al dilemma della “legalità o clandestinità”. Dopo tutto, l’azione rivoluzionaria non può essere definita come un atto autorizzato dalla legge. Se la legge riuscirebbe ad assimilarlo, perderebbe il suo vero significato.

Naturalmente, l’azione del rifiuto di consegnarsi non è solo una scelta parziale di rifiuto e di disprezzo per il sistema giudiziario e le sue marionette. Si tratta di una presa di posizione contro le decine dei -piccoli e grandi- colpi di stato, che il Potere infligge sulle nostre vite; dall’estorsione del lavoro salariato e dal essere intrappolati sia fisicamente che psicologicamente nei tentacoli della dittatura economica, alla repressione violenta tramite le armi da fuoco e i manganelli dei sbirri, e la proiezione virtuale di noi stessi come una pallida imitazione di ruoli, identità e prototipi visti sugli schermi di tutto il mondo tecnologico. La dittatura economica, basata sulle armi e il traffico della droga, si nutre del sangue proveniente dalle stragi umane che essa provoca, e organizza il mondo industrializzato saccheggiando la terra, torturando tutti gli esseri viventi che sono utili ai suoi scopi e uccidendo tutto ciò che non è in grado di adattarsi al suo sviluppo feroce.

La vita e l’esistenza di una persona libera, di un anarchico, non può essere determinata dai libri del diritto, dalle panchine giudiziarie o dai sapientoni autoritari. Questo è il linguaggio della sconfitta, della riconciliazione e della resa incondizionata; è come depositare la propria esistenza nel tritacarne e stare in attesa del arrivo di una sentenza. Terrorista colpevole o cittadino innocente. Tale punto di vista include l’accettazione di identità che il potere ci impone per dividerci e frammentarci, allo stesso modo, come fa con tutti i suoi nemici all’interno del mondo capitalista. Innocente o colpevole, legale o clandestino, pacifista o violento… Questo è il motivo per cui il meccanismo repressivo offre incarcerazioni in attesa di giudizio e pene detentive a priori, secondo la posizione politica dell’accusato e non in base alle prove ottenute. L’unico dilemma che riconosciamo è chiaro: con i ribelli in tutte le parti, con i nemici dell’esistente, o con coloro che creano e sostengono l’esistente…

In questo modo, avevamo già deciso da prima che se i meccanismi repressivi ci avessero messo nel loro mirino saremo difesi la nostra libertà come una causa personale. Perché quando la libertà viene contrattata in un’aula di tribunale in cambio di un po’ di rinuncia o di una leggera riaffermazione della propria convinzione politica, non è più libertà. Si tratta di sottomissione. Se non fossimo riusciti a rimanere liberi (assediati), sicuramente in questo momento avremmo avuto il modo di disprezzare i giudici e i loro rituali profani coperti di sangue, di essere al fianco dei nostri compagni che già sputano sui loro volti, sia attraverso la loro assenza o lottando per dimostrare le contraddizioni del sistema giudiziario.

Dichiariamo perciò che uno dei motivi per sottrarsi dalla giustizia è puramente la nostra dignità individuale. Un altro motivo è quello di continuare la lotta anarchica con tutti i mezzi e in tutte le sue forme. Perché, se avessimo abbandonato la lotta in questa condizione difficile, sarebbe stato come se non eravamo mai stati impegnati in essa. La nostra linea difensiva in qualsiasi tribunale sarà solo la difesa dell’azione anarchica, e in questo caso la difesa della violenza rivoluzionaria, in generale, e la sua forma di guerriglia, in particolare, che viene attaccata dai terroristi-giudici.

Questa lotta viene effettuata in primo luogo e soprattutto a livello delle coscienze e successivamente ad un livello “militare”. Questo non vuol dire la rinuncia dell’azione violenta, dal momento in cui aspettare passivamente i nostri tiranni sicuramente non promulga la coscienza. Abbiamo scelto invece la promulgazione dell’azione con tutti i mezzi e in ogni modo.

Nel mondo della violenza universale in cui viviamo, qualunque atteggiamento di vita che nella sua totalità non è violento, ovviamente, diventa impraticabile. Il capitalismo è la guerra di tutti contro tutti; è l’applicazione del motto “la tua morte è la mia vita”;  dalla concorrenza della schiavitù salariale fino alle guerre transnazionali. Pertanto, anche la sua accettazione passiva implica il supporto per un sistema totalmente brutale, visto che permette di sopravvivere se solo si lavora e si consuma nel suo quadro. Di conseguenza, la questione posta è come trasformare le nostre esistenze contro la macchina; di emanare la violenza, non ancora indiscriminatamente o pateticamente contro tutti noi compresi, ma in particolare contro gli amministratori e i difensori di questo sistema, contro tutte le piccole e grandi autorità, a cominciare dai grandi capitalisti che hanno maggior beneficio dallo sfruttamento, attraverso i curatori dello Stato che gestiscono la politica, e, infine, all'”ultimo dente della macchina”, i sbirri, i mercenari armati dello Stato.

Nella condizione di debolezza in cui ci troviamo contro lo Stato, i colpi più gravi al livello di violenza sono più facili da raggiungere attraverso la guerriglia. Le strutture della guerriglia nella fase in cui ci troviamo sono invitati a contribuire sia alla diffusione delle nostre idee con la creazione di azioni impressionanti e alla creazione di un timore rivale alla repressione. Ogni conquista di terreno ad una manifestazione, ad esempio, è naturalmente più fertile, visto che rende la pratica rivoluzionaria violenta direttamente appropriabile da molte persone, ma per il momento precisamente a causa della debolezza, l’azione sulla strada ha la scelta di rispettare alcuni accordi o altrimenti di essere soppressa, per questo i mezzi della violenza che scelgono i manifestanti sono di solito non corrispondenti a quelli della repressione. Quanto più ci moltiplichiamo e ci organizziamo più potenti diventeremo anche al livello della strada. E a questo punto è opportuno sottolineare che le strutture della guerriglia possono servire come modello di organizzazione militare nel presente per le battaglie frontali del futuro. Possono quindi contribuire al settore organizzativo come un progetto di esempio.

Per noi l’azione di guerriglia nel suo complesso non funziona in nessun modo in conflittualità con la nostra presenza sulla strada e nelle procedure aperte, invece può e deve essere complementare (competitive possono che essere solo scelte parziali sbagliate derivanti dalla mancanza di rispetto l’uno dall’altro nella loro lotta). Questa è un’impressione che cerca di ispirare lo stato per dividerci. Il suo metodo è la generalizzazione della repressione dopo ogni azione dinamica. Questo genera questa reazione psicologica alle persone che subiscono la depressione interiorizzandola. Perché siamo consapevolmente in grado di vedere che a lungo termine ogni azione violenta agisce come una conquista per noi, in quanto crea un terrore al nemico. Al contrario, la recessione dell’azione aumenta in modo gigantesco la repressione fino a quando non ha più senso perché abbia portato alla necrosi tutto (ad esempio nei paesi europei che non c’è più una violente azione rivoluzionaria è consueto ai sbirri di arrestare tutti dopo la fine di manifestazioni rudimentali senza obiezioni, una cosa che l’eredità dei continui conflitti in corso in Grecia abbia reso impensabile). Dal momento che si sceglie di resistere allo Stato la repressione è certa e naturalmente la soluzione non è di smettere di agire, ma di moltiplicare la propria lotta per vincere.

Un argomentazione che attende le “condizioni oggettive di maturare”, nella realtà, è un’argomentazione in attesa della condizione che lo Stato avrà già vinto. Nemmeno l’azione violenta rivoluzionaria, né la guerriglia urbana è un’occasione per calunnia, al contrario l’inerzia è la causa dell’esilio delle nostre idee nell’abisso del sovraccarico di informazioni offerte dalla propaganda capitalista, dei prodotti pubblicitari. Se non siamo conflittuali e aggressivi, la democrazia borghese ci assimila e ci vende come un’altra merce sui scaffali delle librerie, nelle conferenze universitarie per consumatori intellettuali, o anche sulle magliette e le spillette da balia dei punk.

L ‘”altra via”, conduce attraverso l’abbandono alla sconfitta. Perché ci saranno sempre “sconfitte” nelle piccole battaglie quando si è in guerra, ma fermentano la continuazione e il rafforzamento finché ci si resta in piedi e decente. Dal momento che viviamo e respiriamo in questo mondo, siamo in grado di contribuire anche noi nel plasmare le sue condizioni. Si tratta di una guerra di logoramento, una fiamma che una manciata di persone può tenere accesa in attesa di rinfuocarsi, come ad esempio il lancio di pietre con le forze della repressione era l’attività di alcuni compagni fino ad essere diffusa al livello di massa di oggi. Se non ci fosse questa eredità, la strada sarebbe certamente molto diversa. L’unica lotta persa quindi è quella che non è stata data.

La scommessa è la radicalizzazione della lotta, sia nel contesto delle idee sia in termini di azione. La rivoluzione è una lotta costante dentro e fuori di noi stessi, un continuo sforzo di auto-sviluppo, nessuna idea statica non ha posto in una mente ribelle. Ogni valore ed ogni idea, si mettono in questione, per dare vita a quelle nuove che a loro volta si metteranno in questione di nuovo. Ma ogni processo mentale non avrebbe alcun significato se non avesse il suo riflesso nel nostro rapporto con il mondo reale. Se non porta ad un confronto più intenso con la struttura autoritaria. Questo che ci rende anarchici è la nostra ferma posizione di ostilità nei confronti dell’autorità. Una posizione che trova il suo significato attraverso il dubbio, visto che mentre ci impegniamo di mettere in dubbio questa idea, essa diventa più forte. Durante il nostro tentativo di costruire le comunità di solidarietà vediamo sempre più profondamente la peste autoritaria, e guardandola negli occhi definiamo noi stessi e le nostre relazioni. Perché l’anarchia non appartiene a un aldilà immaginario, è qui, nella lotta per la sua conquista nel presente. La fantasia della sua diffusione universale alimenta le nostre speranze, ma non le nostre illusioni. Nella storia umana, nulla è dato per scontato.

Questa è la nostra posizione in relazione al processo. Quando il processo giudiziario viene applicato ai nemici dichiarati dello Stato, assume un’altro carattere. Diventa campo di conflitto in cui lo Stato cerca di mantenere la sua immagine di onnipotenza, di fronte agli insorti che costantemente mettono in evidenza le contraddizioni di questo processo miserabile. Il rito dell’obbedienza viene profanato. Perciò, lo stato democratico moderno fa sì che questi processi hanno uno status speciale.

La solidarietà ha bisogno di brillare per ottenere l’attenzione che si addice a questo processo e abbattere le mura temporanee che ci separano dai nostri fratelli imprigionati che danno la loro battaglia all’interno dei cimiteri di anime in cui la democrazia li abbia sepolti.

Per questa ragione il vuoto di azione creato dall’arresto della Cospirazione richiede la creazione di nuove organizzazioni. Oggi è più che necessario di organizzarci e di agire su tutti i livelli. Oggi che il mondo si trova in crisi, che le singole gabbie della comodità crollano insieme ai benefici dello stato sociale, è l’occasione per ampliarci e non ridurci sotto la paura della repressione. La repressione si presenta come una conseguenza del rafforzamento dello Stato e dobbiamo reagire a tutti i livelli.

I due nostri posti vuoti in combinazione con i catturati che rimangono impenitenti, possano ricordare ai nostri persecutori che la repressione non ha vinto, la lotta continua e per ognuno che viene catturato, qualcun altro prenderà la pistola e continuerà, e questa pistola li mirerà per sempre. Finché tentano di oscurare il sole dell’anarchia, c’è sempre il rischio di ricevere una pioggia di proiettili.

 NON CI RITIRIAMO – NON CI CONSEGNAMO 

Siamo solidali con i nostri compagni della Cospirazione delle Cellule di Fuoco,

 Il nostro compagno Theofilos Mavropoulos,

 i rivoluzionari anarchici accusati per lo stesso caso

 e tutti i prigionieri impenitenti della guerra rivoluzionaria.

ATTACCO CON OGNI MEZZO ALLA SOVRANITÀ DELLO STATO/CAPITALE 

Saluti ribelli a tutti coloro che lottano contro il sistema del potere.

NEMMENO UN MILIMETRO INDIETRO

7,62MM ALLE TESTE DEI NEMICI DELLA LIBERTÀ

VIVA La Cospirazione delle Cellule di Fuoco                                  

 10, 100, 1000 Organizzazioni Rivoluzionarie

  LUNGA VITA ALL’ANARCHIA 

  Dimitris Politis

 Giannis Michailidis

 

P.S.: Dichiariamo che non desideriamo la nostra rappresentazione da un avvocato, visto che vogliamo che a questo processo sia assolutamente chiara la nostra non partecipazione. Non abbiamo bisogno di rappresentazione, qualsiasi cosa dobbiamo dire, la pubblicheremo con un nostro comunicato.

originale in greco : i,ii

in inglese

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