Stato spagnolo: Se toccano uno/a – Su Monica e Francisco

Sono passati due mesi da quando cinque persone sono state arrestate ed isolate. Due di queste, Monica e Francisco, sono rinchiuse nel duro regime spagnolo FIES, e il resto è in libertà vigilata (sottoposti ad obblighi di firma settimanali presso il tribunale), in attesa del processo con le medesime accuse.

Molti compagni in giro ci hanno detto della apparente aura di segretezza che coprirebbe tutto ciò che riguarda l’attuale situazione dei/lle compagni/e e il caso e che dopo il circo mediatico che ha accompagnato gli arresti, qualcosa andava detto. La verità è che, come sappiamo già, contro i media e i loro rappresentanti, poco si può fare in termini di contropropaganda. Possiamo esporla, imparare come costruiscono le loro reti e vedere come lavorano a fianco con lo stato nel costruire un vuoto che cercano di riempire con il prossimo nemico interno: musulmani, indipendentisti, galiziani, animalisti accusati di aver aperto troppe gabbie, anarchici… Tutti questi riempiranno il vuoto lasciato dal ETA, un vuoto non solo nel senso di un nemico interno che nutre un enorme apparato burocratico, repressivo e giudiziario: il cosiddetto antiterrorismo; un’istituzione che si rifiuta di scomparire e che deve provare la propria necessaria esistenza ed efficienza… Un tale vuoto sarebbe notato nelle loro nuove celle che vanno riempite e sulle pagine dei giornali, qualcosa che potrebbe lasciar spazio ad altri problemi nelle teste dei lettori… Oggi poche preoccupazioni nascono dagli sfratti massicci, dal fatto che milioni di persone non arrivano alla fine del mese (neanche con la schiavitù salariale), che i politici continuano a riempirsi le tasche e ridere di noi. Ci sono dei fantasmi molto pericolosi, dicono, che dobbiamo davvero temere: immigrati, terroristi, ecc…

Chi ha letto le notizie del tempo ricorderà tutta l’enfasi xenofoba della quale si armano i detentori dello status quo, come giornalisti e intellettuali, e che ha descritto i/le nostri/e compagni/e. I loro intenti sono chiari: generare falsi miti. Iniziano a parlare del “triangolo mediterraneo”, che ci sono immigrati, “stranieri che vengono per fare brutte azioni”, “anarchici pericolosi che arrivano dall’estero” e “anarchici italiani e greci che arrivano per insegnare a quelli locali”. Ciò che questi esperti non capiscono è che lo stato spagnolo ha una grande, ricca, variegata e diffusa tradizione anarchica, vecchia quasi quanto l’anarchismo stesso: dalle lotte dei libertari andalusi, gli echi della propaganda del fatto, la settimana tragica del 1909, la rivoluzione del 1936, la guerriglia antifranchista, i milioni di individui nella Barcellona libertaria del 1977, l’anarcosindacalismo… tutti questi momenti ed eventi rendono chiaro che l’identificazione con pratiche e idee anarchico non è nulla di nuovo.

Riguardo alle indagini contro i/le nostri/e compagni/e: è una questione chiusa, ciò non significa che non possano apparire ancora nuove prove. Sappiamo anche che un’altra indagine è ancora aperta e sembra voler creare un’organizzazione anarchica internazionale, con grossi fastidi per alcuni/e compagni/e. Siamo certi che ci sorprenderanno, dato che recentemente abbiamo constatato l’illimitata ingenuità poliziesca; né sappiamo se gli ultimi arresti in Galizia sono parte di ciò. Non neghiamo l’esistenza di “legami internazionali”, o che gli anarchici si muovano (come fa il resto del mondo), in un mondo che in alcun modi ci costringe a muoverci anche quando non vorremmo farlo. Viaggiamo in cerca di complici, non lo neghiamo, ma ci rifiutiamo di riconoscere l’esistenza di un’organizzazione finta e strutturata che polizia e giudici amano immaginare. Di nuovo cercano elementi per far quadrare le loro teorie, anche se la loro geometria richiede deformazioni e nuovi tipi di angoli. Ciò che abbiamo visto realmente coi nostri occhi è la collaborazione tra autorità cilene, italiane e spagnole. Abbiamo visto le loro conferenze stampa, le strette di mano e gli elogi. E ci siamo nauseati. L’unica organizzazione terrorista internazionale che conosciamo è quella degli stati e delle loro istituzioni.

Dall’educazione che abbiamo ricevuto dalla religione, la secolarizzazione dei concetti che ha superato la religione stessa, colpa e punizione sono aspetti che abbiamo profondamente integrato in noi stessi. “Se non hanno fatto nulla, perché non lo dicono?” si chiedono delle persone ingenue. Altri, poco meno ingenui, parlano dei fatti dei quali sono accusati per negare la solidarietà. Entrambe le condotte hanno i loro indici accusatori, consapevoli o no, in qualche modo. Ogni azione è criticabile, anche quelle delle quali sono accusati i/le nostri/e compagni/e. Ma tra di noi, tra compagni/e, questo va fatto in modo serio e consapevole, in modo da dibattere e arrivare a conclusioni che favoriscano le lotte in corso. Il martellare dei media, dall’inizio, ha cercato di svalutare la solidarietà cosi da creare un divario e un vuoto che ci divide. Più forte delle mura di cemento delle prigioni è il vuoto generato dalla mancanza di solidarietà.

Sfortunatamente hanno trovato terreno fertilizzato da loro stessi; di nuovo anarchici buoni e cattivi, insurrezionalisti e anarchici sociali, quelli culturali e quelli d’azione. In base ad una falsa separazione, una dicotomia non esistente che viene da una analisi semplice e superficiale che, secondo noi, l’unica cosa che fa è confrontare i diversi fronti della lotta anarchica.

La stampa e la polizia trasmettono chiari messaggi a riguardo: “Se osate cercare di sovvertire l’ordine costituito vi rinchiuderemo, diffonderemo i vostri volti e i vostri nomi, e vi tratteremo per ciò che siete: terroristi”, “se esprimete solidarietà a chi fa queste cose, sarete trattati pure voi da terroristi”, e quant’altro. E come il più duro dei padri, la minaccia è più efficace della punizione stessa. Ma, se imparassimo ad affrontare l’attacco in modo da avere il minor danno possibile?

Se neghiamo la solidarietà alla gente che fa azioni con le quali non concordiamo, stiamo legittimando la voce dello stato e accettando le accuse, cosi come entrare in un’arena che non è la nostra, ma una degli aguzzini. Oltre a ciò che pensiamo dei fatti, siamo convinti che la solidarietà non viene mai mostrata da un punto di vista morale, dato che la morale è influenzata dai media. Inoltre, da un punto di vista completamente opposto, non crediamo che la validità di alcuna azione vada misurata in base al codice penale, alla durezza di una possibile condanna. Le leggi e la morale (che implicitamente generano anche le leggi) le lasciamo ai giudici, ai preti, ai giornalisti, a quelli che hanno paura di loro stessi. E alla rabbia degli oppressi.

La comunicazione con i/le nostri/e compagni/e prigionieri/e è stata difficile fin dall’inizio. Sappiamo che loro sono forti e col morale alto. Stanno ricevendo lettere (alcune ci mettono tanto ad arrivare) e possono inviare solo due lettere a settimana, una delle quali è per comunicare tra di loro. Francisco sta avendo colloqui, ma nelle ultime settimane non ha visto altri detenuti perché è nuovamente solo in sezione. Alcuni giorni fa gli hanno detto che potrebbe essere messo in FIES1, e che sarà trasferito a Cordoba. Monica, dopo essere stata in osservazione, da sola in sezione, ha visto rifiutato il vitto vegetariano, è attualmente nel carcere di Brieva, in FIES1, insieme a 4 prigioniere politiche e 8 prigioniere “comuni”. Non ha ancora ottenuto i colloqui (perché le procedure vanno rifatte dopo ogni trasferimento), ma può fare le telefonate.

Questi arrestati ci hanno sottoposto alcune questioni: come esprimere solidarietà? Cosa fare in modo che tutto il peso non ricada sugli amici più vicini? Cosa rappresenta il FIES per i prigionieri anarchici e come possiamo fare a riguardo? Come non restare passivi davanti al ricatto del carcere?

Abbiamo creato una email per chi volesse sapere di più su Monica e Francisco. Stiamo anche raccogliendo denaro per spese attuali e future, visto che crediamo che resteranno prigionieri fino al processo, e sappiamo tutti quante siano le spese.

Per eventuali dubbi, critiche, domande, contributi: solidaridadylucha@riseup.net

Non lasceremo nessuno da solo. Se toccano uno di noi, ci toccano tutti, una frase che amiamo urlare nei cortei. Vediamo se riusciamo a metterla in pratica.

Libertà e solidarietà!

tradotto dal 325

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